Le 32 persone bloccate in mare da 4 giorni a largo dell’Italia sono state salvate da Sea Watch

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Il 1° marzo il gommone su cui erano partiti dalla Libia si è ribaltato, una persona è morta. Gli altri, tra cui quattro donne e due bambini, si sono arrampicati sulla piattaforma petrolifera Miskar, in acque internazionali al largo della costa tunisina. Da allora sono rimasti lì. In un video, pubblicato da Mediterranea, chiedevano aiuto. Così si è mossa la ong tedesca: «Nessuna delle autorità contattate si è assunta la responsabilità giuridica e umanitaria di un soccorso obbligatorio»

«Le 32 persone bloccate per quattro giorni sulla piattaforma Miskar sono adesso a bordo di Aurora, la nave veloce di Sea-Watch». A comunicarlo è la stessa ong tedesca, che ha fatto sapere di aver soccorso i naufraghi, ora assistiti dall’equipaggio. 

«Nessuna delle autorità contattate si è assunta la responsabilità giuridica e umanitaria di un soccorso obbligatorio», ha denunciato la portavoce di Sea-Watch, Giorgia Linardi, «lo abbiamo fatto noi, con la nostra Aurora». Un «gravissimo vuoto istituzionale – segnala Linardi – dettato da politiche disumane e profondamente razziste».

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Il naufragio

Il naufragio è avvenuto sabato 1° marzo, quando il gommone su cui viaggiavano si è ribaltato a causa del mare in burrasca. Una persona è morta. Le altre 32, fra cui quattro donne e due bambini piccoli, si sono salvate arrampicandosi sulla piattaforma petrolifera Miskar, situata in acque internazionali al largo della costa tunisina, di fronte a Sfax. Da allora sono rimaste lì, senza cibo né acqua, sdraiati su una grata metallica, per quattro giorni.

Alcuni avevano indosso una felpa, altri solo una maglietta a maniche corte. È il racconto raccolto dalla ong Mediterranea Saving Humans dell’ultimo naufragio di fronte alla Sicilia, con protagonista un gruppo di migranti originari del Tigray, la zona dell’Etiopia sconvolta da una guerra durata oltre due anni e terminata ufficialmente a fine 2022 con centinaia di migliaia di sfollati.

«Abbiamo fame, freddo e ci sono malati. Se potete venite ad aiutarci, altrimenti faremo la fine degli altri», diceva nel breve video inviato alla ong uno dei naufraghi in tigrino, la lingua parlata soprattutto in Eritrea e nel nord dell’Etiopia. Secondo Mediterranea, queste persone sono partite venerdì 28 febbraio dalla Libia, al momento non è chiaro esattamente da quale località, e si sono messe in contatto fin dall’inizio con Alarm Phone, il servizio che fornisce assistenza telefonica ai migranti nel Mediterraneo.

Sabato, dopo il naufragio del gommone, tutti i migranti a eccezione di uno si sono salvati arrampicandosi sulla piattaforma petrolifera Miskar, di proprietà della società British Gas. La struttura si trova in acque internazionali, a poche decine di miglia dalla zona Sar di Malta e dall’isola di Lampedusa.

«Le autorità italiane e quelle maltesi lo sanno fin dall’inizio, il primo alert è stato inviato loro sabato via email da Alarm Phone, ma nessuno ha risposto», aveva denunciato a Domani Casarini.

Le richieste di assistenza

Nel pomeriggio di sabato l‘aereo da ricognizione Seabird, della ong Sea Watch, ha volato sulla zona riprendendo in video un gommone nero, vuoto, situato vicino alla piattaforma petrolifera, e accertandosi della presenza sulla struttura metallica del gruppo di migranti. «Sono cinque giorni che non mangiamo. Stiamo morendo di freddo», diceva nel video uno degli uomini descrivendo la situazione sulla piattaforma.

Credits: Sea Watch / Rebecca Giarola

Luca Casarini, fondatore di Mediterranea Saving Humans, aveva spiegato a Domani: «La piattaforma è vuota ed è automatizzata. Abbiamo provato a contattare British Gas, ma non ci ha risposto nessuno. Anche la Tunisia finora non ha fornito assistenza ai naufraghi, ma in ogni caso queste persone non devono essere deportate verso Tunisi perché non è un paese sicuro, lì verrebbero imprigionate invece che soccorse. Le autorità europee ed italiane devono prestare soccorso immediato».

Sea Watch, così come Mediterranea, aveva chiesto alle autorità europee di soccorrere subito il gruppo di naufraghi, senza attendere l’intervento delle autorità tunisine. Il timore era che la Tunisia potesse decidere di espellere i migranti verso la Libia o imprigionarli in patria.

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Il salvataggio

Nell’inerzia delle autorità europee, si è mossa la ong Sea Watch. La sua nave di salvataggio veloce, la Aurora, è partita da Lampedusa e intorno alle 15 è arrivata di fronte alla piattaforma Miskar, fanno sapere fonti della ong. Il nodo cruciale era capire se fosse possibile o meno per i migranti salire sull’imbarcazione. Non era scontato, visto che la piattaforma petrolifera risulta di fatto essere in territorio tunisino, dunque spettava alle autorità di Tunisi decidere.

Credits: Sea Watch / Rebecca Giarola

«Il nostro ruolo come società civile è esserci laddove le istituzioni preferiscono girarsi dall’altra parte», ha aggiunto Linardi, «in un Mediterraneo dove l’omissione di soccorso è ormai prassi impunita mentre l’obbligo di soccorrere chiunque si trovi in pericolo è regolarmente criminalizzato».

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