Her Future at Risk. Perché dobbiamo riportare al centro donne e ragazze nella risposta alla crisi umanitarie

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Il nostro nuovo report sui costi di genere e generazionali delle crisi umanitarie 

“Le donne sono essenzialmente tagliate fuori dalla società. Non possono lavorare, non possono studiare e non hanno accesso alle risorse di base. Il sistema le discrimina a ogni livello.” – Claudia Oriolo, Coordinatrice Regionale di WeWorld per l’Eurasia  

Le donne sono sottorappresentate nei negoziati di pace e nei processi decisionali. Nonostante gli studi riconoscano il loro ruolo essenziale, continuano a essere emarginate. Nei contesti di emergenza, le loro esigenze specifiche vengono spesso trascurate.” – Giovanna Fotia, Rappresentante Paese di WeWorld in Palestina  

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Le crisi umanitarie non colpiscono tutte le persone allo stesso modo. A pagarne il prezzo più alto sono le persone in condizioni di maggiore vulnerabilità, soprattutto donne, bambine e ragazze, che già affrontano disuguaglianze profonde e che, in situazioni di crisi ed emergenza, si trovano ancora più esposte a rischi e soprusi.  

Allo stesso tempo, vengono spesso escluse dalle decisioni che riguardano il loro futuro. Nei negoziati di pace e nelle strategie umanitarie, il loro ruolo è marginale a causa di stereotipi e norme culturali radicate, che impediscono loro di partecipare attivamente. Eppure, un loro coinvolgimento attivo potrebbe davvero fare la differenza.  

Perché dobbiamo parlarne adesso?  

Entro la fine del 2025, oltre 305 milioni di persone in 72 paesi – soprattutto in Africa meridionale e orientale, Medio Oriente e Asia – avranno bisogno di aiuti umanitari a causa dell’aggravarsi delle crisi. Negli ultimi decenni, capire e definire queste crisi è diventato sempre più complicato: conflitti, instabilità politica, crolli economici e problemi sociali si intrecciano, creando emergenze sempre più difficili da affrontare in modo rapido ed efficace.  

Ma c’è un altro problema: molte crisi restano invisibili. Quelle che si verificano in aree considerate meno strategiche dai media e dalla politica ricevono poca attenzione, lasciando le popolazioni colpite – in particolare donne e ragazze – ancora più ai margini. E mentre il loro diritto alla sicurezza, all’educazione e alla partecipazione viene sistematicamente attaccato in molte parti del mondo, gli aiuti umanitari continuano a ignorare la prospettiva di genere. Oggi, meno dello 0,34% dei fondi globali viene destinato alle organizzazioni che promuovono la partecipazione femminile nel settore umanitario e nei contesti di emergenza.  

È un segnale chiaro: le risorse sono insufficienti e le risposte sono inadeguate. Per fermare il ciclo di violenza e disuguaglianza, dobbiamo portare al centro le donne e le ragazze nella risposta alle crisi umanitarie. 

“Nonostante il settore umanitario abbia compiuto numerosi sforzi per integrare la questione di genere negli interventi, rispondere alle esigenze specifiche di donne e ragazze rimane una sfida.” – Giovanna Fotia, Rappresentante Paese di WeWorld in Palestina    

Her Future at Risk  

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Di questo, e di molto altro, parliamo nel nostro nuovo report, “Her Future at Risk. The Cost of Humanitarian Crises on Women and Girls.  Il titolo evidenzia la complessità degli impatti che le crisi umanitarie hanno su donne e ragazze, sia nell’immediato che nel lungo termine. La parola “Her” non rappresenta solo i milioni di donne e bambine colpite, ma anche la loro resilienza e il loro potenziale nel guidare il cambiamento. Nel rapporto, infatti, sottolineiamo l’urgenza di garantire loro spazio, strumenti e opportunità per essere parte attiva nei processi decisionali e nelle soluzioni alle crisi, riconoscendo il loro ruolo fondamentale nella costruzione di risposte più efficaci e sostenibili.  

Le donne spesso subiscono discriminazioni a causa del loro genere, che limitano il loro accesso all’educazione, all’occupazione, all’assistenza sanitaria e ad altre opportunità. Inoltre, gli stereotipi di genere possono limitare la loro partecipazione all’azione umanitaria.” – Olena Ostapenko, Cash Officer di WeWorld in Ucraina  

L’impatto delle crisi umanitarie: una questione di genere e generazionale   

Nella ricerca analizziamo l’impatto delle crisi umanitarie in otto paesi – Afghanistan, Burkina Faso, Etiopia, Mali, Mozambico, Niger, Palestina e Ucraina – dove operiamo insieme a ChildFund Alliance, il network globale impegnato nella difesa dei diritti di bambini e bambine, di cui WeWorld è l’unico membro italiano.  

Per ciascuno di questi paesi, integriamo i dati del ChildFund Alliance World Index 2024, che misura la tutela e le violazioni dei diritti di donne, bambini e bambine, con le testimonianze dirette di operatrici umanitarie, attiviste, donne e ragazze coinvolte nei nostri interventi. Unendo numeri e voci dal campo, offriamo una prospettiva concreta e approfondita sulle loro esperienze nei contesti di crisi.  

Il nostro intervento in Afghanistan  

Nel report dedichiamo un’attenzione particolare alla situazione in Afghanistan, dove, oltre a una crisi umanitaria protratta – aggravata da decenni di conflitti, instabilità politica, recessione economica e insicurezza alimentare, e ulteriormente compromessa dagli effetti del cambiamento climatico – la condizione di donne e ragazze è drasticamente peggiorata dal 2021. Il ritorno al potere del regime talebano ha portato a una sistematica violazione dei loro diritti, cancellando progressi e libertà faticosamente conquistati. Per descrivere questa realtà si sta iniziando a utilizzare il termine “Gender Apartheid”, un’espressione che denuncia la repressione quotidiana e le politiche discriminatorie che costituiscono una vera e propria persecuzione di genere.  

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“Le donne devono affrontare sfide significative, soprattutto dopo i recenti sviluppi nel governo talebano. Uno dei principali fattori di rischio per le donne è il divieto di lavorare, un’imposizione che non solo limita le loro opportunità economiche, ma mina anche la loro autonomia e loro indipendenza economica.” – Kadijah Azizi, Mobilitatrice Comunitaria di WeWorld in Afghanistan  

“Molte donne subiscono abusi, violenza domestica e violenza sessuale, ma hanno un accesso limitato alla giustizia e ad altre misure di protezione.” – Somaia Sediqi, Mobilitatrice Comunitaria di WeWorld in Afghanistan  

Dal 2021, le restrizioni imposte ai programmi che integrano la prospettiva di genere negli interventi umanitari hanno drasticamente ridotto lo spazio operativo delle organizzazioni nazionali e internazionali. Questo ha escluso sempre più le organizzazioni di donne femministe e le donne afghane dai processi decisionali, limitando gravemente la capacità di rispondere ai bisogni di donne e ragazze.  

Nonostante queste difficoltà, continuiamo a lavorare per portare al centro le loro esigenze e i loro diritti. Lo facciamo collaborando con associazioni e organizzazioni locali, coinvolgendo mobilitatori e mobilitatrici comunitarie e valorizzando il ruolo fondamentale delle donne nelle situazioni di crisi. Il nostro intervento non si limita a garantire l’accesso ai servizi essenziali: è una strategia per difendere il loro diritto al presente, essenziale per proteggere il loro diritto al futuro. Solo così i diritti e le potenzialità di donne e ragazze potranno essere pienamente riconosciuti, permettendo loro di diventare parte attiva della comunità e protagoniste del cambiamento.  

Il diritto al futuro: un patto per le nuove generazioni

Le crisi umanitarie colpiscono più duramente donne e ragazze, amplificando le disuguaglianze di genere e limitando i loro diritti. L’accesso a diritti e servizi essenziali come acqua, alloggi, sanità ed educazione diventa più difficile, aumentando i rischi di violenza, sfruttamento e abusi.  

  • Violenza di genere: Il 70% delle donne subisce violenza di genere, spesso da gruppi armati o forze dell’ordine. La violenza sessuale viene usata come arma di guerra per infliggere danni fisici e psicologici, destabilizzando intere comunità.  

“Donne e ragazze sono vulnerabili a molestie e violenze nelle loro case, all’interno della comunità e quando accedono ai servizi. Questo include la violenza da parte dei combattenti e delle forze militari, creando un senso di insicurezza pervasivo. Inoltre, lo stigma sociale e le barriere logistiche rendono difficile accedere ai servizi di supporto per le donne vittime di violenza.”  
– Hadeel Tahboub, West Bank Protection Consortium Programme Manager di WeWorld in Palestina  

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  • Salute a rischio: Il 60% delle morti materne avviene in contesti di crisi, e la metà di queste è legata ad aborti non sicuri. La salute riproduttiva e sessuale, compresa la salute mestruale, delle donne viene spesso ignorata, ostacolata da norme patriarcali e dallo scarso accesso alle cure.  
  • Educazione negata: Nei paesi colpiti dalle crisi, 85 milioni di bambini non vanno a scuola, e il 52% sono bambine. Le ragazze hanno 2,5 volte più probabilità di abbandonare gli studi rispetto ai coetanei maschi e, in alcuni contesti, non possono proprio frequentare la scuola.  

“Sono preoccupata per la mia educazione. Ora e per il futuro.”  
– Sofia, 14 anni, Ucraina  

  • Matrimoni forzati e precoci: Le bambine che si sposano prima dei 15 anni hanno il 50% di probabilità in più di subire violenza domestica e sono più esposte a gravidanze precoci e a complicazioni mortali. Nei conflitti e nelle crisi economiche, molte famiglie ricorrono ai matrimoni forzati per garantire un futuro alle figlie.  

“Molti bambini soprattutto le femmine, sono costretti a lasciare la scuola perché vengono costretti a sposarsi; quindi, dobbiamo sensibilizzare i nostri genitori sul tema del matrimonio infantile.”  
– Samia, 12 anni, Niger  

  • Esclusione dai processi di pace: Nel 2023, le donne hanno rappresentato solo il 9,6% delle persone coinvolte nei negoziati di pace, il 13,6% dei mediatori e il 26,6% dei firmatari di accordi di pace. Eppure, quando le donne sono coinvolte nei negoziati, la probabilità che un accordo di pace duri almeno due anni aumenta del 20%.  

“I ruoli di genere rimangono uno dei maggiori ostacoli alla partecipazione nel settore umanitario. Sebbene alcune donne siano riuscite a sfidare queste norme, assumendo ruoli di leadership o fondando associazioni locali in ambito umanitario, troppe sono ancora confinate al ruolo di mogli e madri. Le aspettative culturali e le pressioni della società scoraggiano le donne dal perseguire carriere o ruoli al di fuori delle loro responsabilità domestiche.”  
– Viviana Bianchessi, Rappresentante Paese di WeWorld in Mali  

Il nostro intervento in contesti umanitari  

Le crisi umanitarie non ricevono tutte la stessa attenzione. Spesso si interviene dove l’emergenza è più visibile, ma la risposta non dipende solo dalla gravità della situazione: opinione pubblica, copertura mediatica e interessi politici internazionali influenzano quali crisi vengono raccontate e affrontate. Di conseguenza, le crisi che durano da anni, colpiscono aree remote o si intrecciano con dinamiche politiche complesse finiscono per essere dimenticate, anche quando i bisogni delle persone sono altrettanto urgenti. E a pagarne il prezzo più alto sono sempre le persone in condizioni di maggiore vulnerabilità, soprattutto donne e ragazze, che vedono le disuguaglianze amplificarsi e le loro possibilità di ripresa ridursi.  

  • Una bambina nata oggi in Afghanistan dovrà aspettare 210 anni affinché i suoi diritti umani siano pienamente attuati. (ChildFund Alliance World Index, 2024). 
  •  In Burkina Faso, ogni tre giorni e mezzo una ragazza sotto i 19 anni rimane incinta (ChildFund Alliance World Index, 2024). 
  •  Nel 2023, 10 bambine e bambini palestinesi su 100 non andavano a scuola (ChildFund Alliance World Index, 2024).   
  •  In Mozambico, quasi 1 donna su 5 ha detto di aver subito violenza da partner del partner. (ChildFund Alliance World Index, 2024).

Nel nostro report analizziamo i contesti in cui operiamo da anni: paesi come Afghanistan, Burkina Faso e Mozambico, dove conflitti, insicurezza alimentare ed eventi climatici estremi si intrecciano, creando instabilità cronica. In Ucraina, la guerra ha devastato infrastrutture e servizi essenziali, aumentando la dipendenza dagli aiuti, mentre in Mali il conflitto con gruppi armati e attacchi terroristici colpisce duramente la popolazione, limitando l’accesso a istruzione e lavoro, soprattutto per donne e ragazze. In Palestina, violazioni sistematiche del diritto internazionale e dei diritti umani aggravano una crisi già drammatica.  

In Mozambico si prova a ricostruire dopo il ciclone Chido  

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Home Sweet Home – Immagini di resistenza dalla Palestina  

Ucraina: 3 anni dopo  

In questi scenari, il nostro impegno è chiaro: rimanere accanto a chi rischia di rimanere indietro. Lavoriamo con donne e ragazze, le più escluse dalle risposte umanitarie, per garantire loro spazio, voce e opportunità, affinché possano essere parte attiva della società e della risposta alle crisi che le colpiscono.  

Donne e ragazze al centro dell’intervento umanitario  

Il report si chiude con raccomandazioni concrete per affrontare le disuguaglianze sistemiche e garantire che donne e bambine siano protagoniste in ogni fase della risposta umanitaria. Per costruire un futuro più giusto, non basta rispondere alle emergenze: dobbiamo trasformare le strutture che mantengono donne e ragazze ai margini. Questo significa smantellare le disuguaglianze alla radice, creando spazi in cui possano essere protagoniste della ricostruzione delle loro comunità e delle soluzioni alle crisi.  

Il primo passo è guardare in profondità: un’analisi di genere attenta permette di capire le norme e gli squilibri di potere che penalizzano le donne fin dall’infanzia. Solo così possiamo andare oltre gli interventi temporanei e agire sulle cause reali delle disuguaglianze.  

Ma il cambiamento non può essere solo sulle spalle delle donne. Dobbiamo coinvolgere anche uomini e ragazzi, in particolare i più giovani, affinché diventino alleati nella lotta per i diritti e mettano in discussione le norme che perpetuano discriminazione e violenza.  

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Infine, dobbiamo fare rete: lavorare con organizzazioni femministe, comunità locali e associazioni di donne è fondamentale per costruire soluzioni concrete e sostenibili. Sono loro, le persone direttamente colpite, a dover essere al centro del cambiamento.  

Le crisi non colpiscono tutti allo stesso modo, e neanche le risposte possono essere neutrali. Per costruire un futuro più giusto, dobbiamo assicurarci che donne e ragazze non siano lasciate indietro, ma siano protagoniste del cambiamento.  



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