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L’utopia del progresso e l’imperativo dell’avanzamento senza ostacoli ha rappresentato per lungo tempo una prospettiva di vita innegabile per intere generazioni di abitanti del pianeta. Il carattere apparentemente irrisolvibile della crisi climatica e i suoi devastanti effetti sulla sopravvivenza delle comunità, in primis dei Paesi del Sud mondiale, si affianca, paradossalmente, all’apertura di nuovi fronti mondiali dello sviluppo economico, guardando con favore alle nazioni BRICS che stanno conquistando importanti riconoscimenti sul versante dell’innalzamento del reddito medio pro-capite e prospettarsi di una velocizzazione della crescita economica nei prossimi decenni, incalzando le superpotenze dell’economia internazionale.
Decrescere senza pensieri: i soldi fanno veramente la felicità?
Quando ci poniamo criticamente di fronte al concetto di crescita economica siamo spinti a interrogarci su quale sia la direzione verso la quale si indirizza questa tendenza. La crescita non è da intendersi esclusivamente in termini di incremento quantitativo delle risorse e dei risultati, ma anche come prospettiva migliorativa rispetto allo stato attuale delle cose, valutando la qualità degli esiti e la portata delle loro conseguenze sulla popolazione. Emerge, pertanto, una discussione sempre più serrata e popolarizzata in merito al tema della sostenibilità che, partire dal concetto stesso, è chiamata a coniugare i pilastri di economia, società e ambiente, perchè gli stessi interagiscano e si rafforzino in maniera rispettosa ed equilibrata. La società utopica della crescita senza limiti, un non-luogo ipotizzato, più o meno alternativo a quello attualmente esistente, ma, di fatto, irraggiungibile è stato oggetto di auspici e macchinazioni perché la realtà arrivasse ad assomigliarci. Il desiderio connaturato nella mente umana di perfezionamento si scontra con la finitezza delle risorse disponibili sul globo, al grido di “There is no Planet B”, nella consapevolezza che l’avanzamento si compone di una coscienza del progresso sociale storicamente esperito dalla razza umana ma anche dal una prospettiva migliorativa futura.
La sistematicità delle crisi economiche e sociali in cui siamo immersi ha a che fare con una velocissima elaborazione informazionale grazie alla pervasività delle tecnologie digitali, il potenziamento delle capacità sul versante computazionale che sta alla base di meccanismi di ricerca e di elaborazione dati sempre più raffinata e pervasiva, la nascita di un tecno-universo che si sovrappone a quello reale rispetto alla sfera economica, politica, culturale e quella rivolta alla cura della persona. Arriviamo, pertanto, a fare fronte a modelli produttivi basati sulla delocalizzazione dell’attività di impresa dove le realtà dell’automatizzazione e dell’ideazione soggiornano nelle grandi nazioni avanzate, mentre la manodopera a basso prezzo viene reperita e identificata all’interno di Paesi le cui deplorevoli condizioni di vita rendono necessario l’impiego di uomini, donne e persino minori per assicurare a sopravvivenza del nucleo familiare. La non fattibilità sul lungo termine e l’evidente compromissione della dignità dell’essere umano non fanno altro che contribuire a cicli viziosi di sovrapproduzione, dispersione dei residui delle attività industriali abbandonati in grandi discariche a cielo aperto. L’incremento delle diseguaglianze sociali, la stagnazione e la compromissione dei processi democratici sono alla base di una sostanziale sfiducia verso gli esiti attuali del modello economico capitalista, che genera squilibri nella ripartizione dei beni e dei benefici da esso derivanti.
Lo sviluppo incontrastato e illimitato è, quindi, oggetto di revisione da parte di autori come il filosofo ed economista francese Serge Latouche che propone i modello della decrescita felice, in una società votata alla crescita ma che, nella prassi, non sempre riesce realmente ad avanzare ugualmente per tutti. Il concetto di decrescita impone l’assunzione di una nuova mentalità basata sui valori dell’ecologia e della cura dell’esistenza del singolo e della collettività. Rieducando le persone al paradigma del piacere della vita in quanto tale si imposta una visione rivoluzionaria che ristabilisce l’importanza della riflessione e della visione progettuale innestata su alcuni concetti chiave: tra questi si possono citare quello di ridistribuzione, riciclo, riutilizzo, ristrutturazione e rivalutazione, ponendo nuovamente in circolo ciò che era stato accantonato o dimenticato sulla base di un presupposto evolutivo.
Come sopravvivere al cambiamento: una nuova rotta
Il concetto di decrescita non implica il regredire, bensì crea i presupposti per evolvere verso percorsi fin’ora non sperimentati, non obbedendo alle logiche del mercato ma unicamente alle richieste della persona, i cui bisogni meritano di essere soddisfatti. La concretezza di un’utopia come quella della decrescita fa si che il suo manifesto trovi le basi nel concetto di semplicità, un imperativo morale e complessa sfida, il cui raggiungimento offre ragguardevoli risultati in termini di benessere condiviso.
La decrescita deve avvenire sul piano economico, quanto su quello politico e sociale, basandosi concretamente sull’assunzione di un impegno nella riduzione della produzione e dei consumi, opponendosi all’accumulo illimitato, per garantire un più equo tattamento dei lavoratori, una più equilibrata convivenza tra le persone e ristabilendo un bilanciamento nell’integrazione dell’uomo con i sistemi ecologici della natura.
Economia e società devono essere congiuntamente riviste con l’obiettivo di perseguire giustizia sociale e sostenibilità ambientale. Tra gli esiti auspicati vi è la nascita e l’assunzione di pratiche che si rifacciano a modelli economici sempre più partecipati e condivisi che implicano l’assunzione di modelli di autogestione per l’assunzione di modelli pianificatori che prendano in considerazione il valore di tutte le parti, in linea con i presupposti della democrazia.
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