L’arresto di un ex dirigente del Comune di Milano fa saltare il “Salva Milano”. Succede tutto in 24 ore: prima il fermo di Giovanni Oggioni, componente della Commissione paesaggio, che avrebbe dettato la norma sul “Salva Milano” e fatto pressing per l’approvazione del testo in Parlamento. Poi la decisione del Comune di fare un passo indietro sullo stesso disegno di legge, che avrebbe dovuto far ripartire la città dopo il blocco dell’urbanistica causato dalle inchieste. «Gli elementi di novità, e purtroppo di maggiore gravità, descritti negli atti di accusa» nei confronti dell’ex dirigente Giovanni Oggioni, che è stato arrestato, «inducono questa amministrazione a non sostenere più la necessità di proseguire nell’iter di approvazione della proposta di legge cosiddetta Salva Milano», ha sottolineato in una nota l’amministrazione.
Qualcuno salvi Milano. Dagli abusi edilizi, certamente. Ma anche da se stessa, da quello che è diventata in questi ultimi anni. Da quella autostima che ha fatto la sua fortuna, ma che poi è degenerata in arroganza, condita da deliri di onnipotenza. Perché in fondo, anche se insomma la legge non lo consente, se lo facciamo noi qui al Nord va bene. L’importante è far girare l’economia, attirare soldi e investimenti. Non importa da dove, tantomeno come. Contano gli affari e poco altro: Milano guarda all’Europa e scimmiotta Londra, voltando le spalle alle periferie, alla classe media e ai pendolari, ovvero a quei polmoni dimenticati che ogni santo giorno ansimano remando controcorrente per tenere sulla rotta giusta la “città che sale”. Che però non è quella trasfigurata nel capolavoro futurista di Umberto Boccioni, bensì quella dei grattacieli che si protendono verso il cielo, moderni templi consacrati al dio denaro. Sui loro altari si può sacrificare tutto, persino la legalità. Bisogna produrre, costruire. Chi si ferma è perduto, lo si può lasciare indietro. Impossibile rallentare per tendergli la mano, tocca correre in avanti verso il prossimo meeting, la videocall, il briefing. Poi magari la sera, per rilassarsi, si va a sciabolare lo champagne da 5 mila euro. Per tacer di altri vizi. Uno stile di vita sopra le righe, che passa sopra la testa di chi non arriva a fine mese perché lo stipendio gli basta appena per pagare affitti (e bollette) sempre più salati. Quanto al comprar casa (un trilocale, mica un loft), per un comune mortale è quasi un miraggio. Una Milano sempre più esclusiva, altro che inclusiva. L’arcivescovo Mario Delpini a dicembre aveva ammonito: «Quando il reddito del lavoro non basta per il sostentamento della famiglia, per la continuità di una attività produttiva, aumenta il numero di coloro che non hanno il necessario per vivere, anche a Milano, anche in Lombardia, quando si sviluppano dipendenze indotte o colpevoli, uomini e donne percorrono vie senza uscita e cadono nella disperazione».
Intendiamoci, Milano è anche e soprattutto altro: solidarietà, impegno di parrocchie e associazioni, cultura, tanta sana imprenditoria. El coeur in man della città non ha ancora smesso di battere. Ma le disuguaglianze sono più che mai evidenti.
Basta fare un giro in Porta Nuova per scorgere i volti nascosti della città che si credeva una metropoli. Attorno crescono i boschiverticali popolati da influencer, presunte star e anonimi ricchi, in piazza Gae Aulenti si accampa l’esercito di giovani impiegati che si compra la schiscèta all’Esselunga e pranza accanto alla fontana, perché non si può permettere di spendere 10 euro per un panino tiepido. Sono gli stessi che magari prendono il treno ogni mattina alle 7, sopportando disagi e ritardi, oppure arrivano in auto dopo un’ora e mezza di coda in A4 e poi parcheggiano nelle strisce blu da 2 euro all’ora, perché quelle bianche ormai le hanno levate tutte.
A pochi metri da chi si gusta il pic nic di lavoro bivaccano i “maranza”, simbolo plastico di un’esclusione sociale che sempre più spesso sfocia in fenomeni delinquenziali. Sono mondi lontani che vivono in parallelo, senza intersecarsi mai. La Milano da bere tramontò in modo brusco con Tangentopoli, e anche stavolta si sente il fragore della bufera che si avvicina. Si salvi chi può. Ma forse non basterà una legge per schivarla.
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