Sul rapporto tra strumentalità e autonomia sotteso al diritto di accesso ex art. 22 l. n. 241/1990

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Diritto di accesso – Art. 22 l. n. 241/1990 – Irregolarità contributive – Cause di esclusione – Art. 80, comma 5 d. lgs. n. 50/2016 – Attualità e autonomia dell’interesse – Art. 24 l. n. 241/1990

Consiglio di Stato, sez. III, 25 ottobre 2024, n. 8558

Se per un verso, il giudizio sull’accesso, in quanto giudizio sul rapporto, non può prescindere dall’attualità dell’interesse ostensivo che deve sussistere sia al momento dell’istanza, sia al momento della decisione secondo un’esegesi dinamica ed effettiva dei caratteri dell’interesse sostanziale enucleati dall’art. 22, co. 1, lett. b) legge n. 241 del 1990, per altro verso, la latitudine di questo interesse non deve patire improprie compressioni a cagione di letture restrittive o prognosi eccessivamente intrusive sulle strategie difensive dell’istante.
È  manifestamente inconferente l’argomento opposto dall’amministrazione alla luce del limpido dato letterale dell’art. 22, co. 1, lett. d) l. 241/1990 a termini del quale per documento amministrativo si intende ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualsiasi altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale: la littera legis è inequivocabile nel ricomprendere nel perimetro degli atti ostensibili anche quelli interni, purché detenuti da una pubblica amministrazione.
L’acquisizione del documento potrebbe plausibilmente sortire effetti, pur sempre in astratto, sulla sorte della prima graduata ove emergesse una fattispecie a carattere escludente per irregolarità contributiva ex art. 80, co. 4 d.lgs. 50/2016 con reviviscenza delle chances aggiudicatorie.
L’attività ostensiva incontra il duplice limite, ontologico e normativo, della materiale esistenza dei documenti richiesti al momento dell’istanza unitamente alla espressa preclusione delle istanze volte a compulsare la pubblica amministrazione affinché elabori dati in suo possesso al fine di soddisfare la richiesta di accesso (v. art. 2, co. 2 D.P.R. 184/2006). In buona sostanza, il diritto di accesso documentale ha una chiara fenomenologia puntiforme e statica, giacché deve additare documenti individuati (o individuabili) nel loro sostrato fenomenico insuscettibili di manipolazione o elaborazione ai ristretti fini dell’accesso.

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Il caso di specie

La decisione del Consiglio di Stato si risolve in una disamina dei requisiti richiesti dall’ordinamento per l’esercizio del diritto di accesso, ai sensi dell’art. 22 e ss. della l. n. 241/1990.
Nel caso di specie , una società  terza graduata aveva formulato un’istanza di accesso agli atti nei confronti dell’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale chiedendo l’ostensione “ degli  atti e dei documenti afferenti all’iter istruttorio avviato da Codesto Ente in ordine alla valutazione sulle violazioni contributive/previdenziali accertate dall’Ufficio ispettivo del Lavoro della Provincia di Trento” nei confronti di una consorziata esecutrice del RTI Omissis, risultato aggiudicatario della procedura aperta finalizzata all’acquisizione del servizio CUP.  
L’istante allegava come interesse diretto, concreto e attuale, ai sensi dell’art. 22, co. 1, lett. b) della l. n. 241/1990, l’esigenza di verificare l’effettiva sussistenza dei requisiti di ordine morale sotto il profilo della regolarità̀ contributiva in capo alla società membro del RTI (CNS), risultato aggiudicatario: l’accertamento di tale irregolarità avrebbe infatti portato alla esclusione automatica di tale concorrente, ex dall’art. 80, comma 4, d.lgs. n. 50/2016 (ratione temporis applicabile; ora si v.  l’art. 94, comma 6 del d.lgs. n. 36/2023)
L’INPS riscontrava la suddetta istanza e  negava l’accesso  “in quanto la documentazione addotta risulta essere la medesima già in possesso della richiedente [n.d.r. e inoltre] (…) la richiesta relativa all’accesso dell’iter istruttorio si evidenzia che è un atto interno, e lo stesso non risulta influente ai fini descritti della richiedente”.
Tale diniego veniva impugnato dall’istante innanzi al T.a.r Veneto, poi riassunto davanti al T.a.r Lazio, che, con sentenza n. 9921 del 17 maggio 2024, respingeva il ricorso ritenendo insussistente l’interesse a ottenere l’acquisizione della documentazione richiesta. Ciò in quanto, secondo il g.a., l’esigenza difensiva principale – sottesa all’ottenimento dell’accesso agli atti – risulterebbe ormai esaurita, considerata la definizione con sentenza passata in giudicato del (diverso) giudizio proposto dalla ricorrente avverso la società membro del RTI aggiudicatario. Inoltre, il Collegio evidenziava che la documentazione della quale la ricorrente domanda l’ostensione sarebbe già in suo possesso.
L’appellante,  impugnando la sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 22 e ss., l. n. 241/1990, dell’art. 100 c.p.c., dell’art. 116 c.p.a., degli artt. 24 e 97 Cost. e per eccesso di potere, ha censurato davanti al Consiglio di Stato la sentenza di prime cure nella parte in cui ha indebitamente sovrapposto l’interesse sostanziale all’accesso documentale con l’interesse a ricorrere, di stampo processuale.
Nello specifico, osservava che l’interesse difensivo, secondo la nozione consacrata a livello eurounitario, è da intendersi in senso più lato e strumentale rispetto alla nozione tradizionale dell’interesse all’azione accolta dall’ordinamento nazionale.
Con la conseguenza che tale interesse non potrebbe ritenersi esaurito come invece affermato dal primo giudice; le sentenze pronunciate dal Consiglio di Stato negli altri giudizi sarebbero infatti comunque passibili di impugnazione (straordinaria) per revocazione a causa dell’insorgere di “documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell’avversario” (art. 395, comma 1, n. 3, c.p.c.).
L’appellante poneva altresì all’attenzione della Collegio di aver comunque dispiegato intervento ad adiuvandum nei separati giudizi incardinati dalla  società seconda graduata; sicché l’interesse dovrebbe ancora considerarsi concreto e attuale – seppur in via indiretta e mediata – per la possibilità della pubblica amministrazione, una volta accertate le irregolarità contributive in capo all’aggiudicataria, di agire in autotutela nel senso dell’esclusione di quest’ultima, determinando così lo scorrimento della graduatoria e rivitalizzando le chance di aggiudicazione dell’appellante (terza graduata).
Conclusivamente, l’appellante sottolineava come il suo interesse all’accesso ai documenti detenuti dall’INPS non si sarebbe in realtà esaurito con la definizione del giudizio amministrativo principale.
 Ciò anche in considerazione del fatto che   a seguito della definizione di detto giudizio comunque permarrebbe l’interesse a verificare  se il RTI aggiudicatario vanti effettivamente il possesso continuativo del requisito di regolarità contributiva, imposto dall’art. 80, comma 4, d.lgs. n. 50/2016, con conseguente reviviscenza della chance aggiudicatorie in capo alla ricorrente .
E, dall’altro lato, in quanto la pur avvenuta parziale soddisfazione della pretesa conoscitiva di accesso ai documenti – fatta valere dal primo giudice a tacitazione della istanza ostensiva – non varrebbe ad estinguerla in toto.

La decisione

I giudici della III sezione individuano due “segmenti” fondamentali della trattazione: il primo volto alla verifica circa la sussistenza di un interesse diretto, concreto e attuale, collegato ai documenti ai quali è chiesto l’accesso e corrispondente a situazioni giuridicamente tutelate dell’appellante; il secondo volto a perimetrare l’ambito dei documenti effettivamente ostensibili.
Con riferimento al primo punto, viene messo in evidenza come nel caso concreto la società appellante abbia specificamente indicato le esigenze probatorie e difensive sottese alla richiesta di accesso ai documenti detenuti dall’INPS, avendo quest’ultima chiaramente delineato nell’istanza di accesso: la propria partecipazione alla gara, la pendenza illo tempore dei giudizi amministrativi avverso gli atti di gara e la rilevanza dei documenti anelati ai fini della comprova del requisito di regolarità contributiva della società parte del RTI controinteressato.
Il Consiglio di Stato afferma, dunque, l’erroneità della sentenza del giudice di prime cure  che, preso atto della definizione in senso sfavorevole con sentenza passata in giudicato del giudizio proposto dalla ricorrente avverso il  RTI Omissis, aveva tratto come conseguenza la sopravvenuta insussistenza di qualsivoglia interesse difensivo in capo alla ricorrente.
Invero, i giudici di Palazzo Spada sottolineano come lo strumentario difensivo di parte appellante  non possa ritenersi esaurito alla luce della soccombenza in distinti giudizi allo stato passati in giudicato. Ciò in quanto  i giudicati formatisi sarebbero ancora astrattamente suscettibili del rimedio impugnatorio della revocazione straordinaria   in forza del combinato disposto degli artt. 106 c.p.a. e 395, n. 3 c.p.c.
Sotto un ulteriore profilo, rileva il Collegio, l’intervento adesivo ad adiuvandum della ricorrente proposto nei paralleli giudizi impugnatori promossi dalla società seconda classificata nei confronti del RTI Omissis dimostrerebbero la perdurante sussistenza del nesso di strumentalità verso la documentazione anelata.  
Viene in questo senso richiamato l’insegnamento nomofilattico dell’Adunanza Plenaria secondo cui “la pubblica amministrazione detentrice del documento e il giudice amministrativo adito nel giudizio di accesso ai sensi dell’art. 116 c.p.a. non devono invece svolgere ex ante alcuna ultronea valutazione sull’ammissibilità, sull’influenza o sulla decisività del documento richiesto nell’eventuale giudizio instaurato, poiché un simile apprezzamento compete, se del caso, solo all’autorità giudiziaria investita della questione e non certo alla pubblica amministrazione detentrice del documento o al giudice amministrativo nel giudizio sull’accesso, salvo il caso di una evidente, assoluta, mancanza di collegamento tra il documento e le esigenze difensive e, quindi, in ipotesi di esercizio pretestuoso o temerario dell’accesso difensivo stesso per la radicale assenza dei presupposti legittimanti previsti dalla l. n. 241 del 1990” (Cons. Stato, Ad. Pl., 18 marzo 2021, n. 4).
A parere del Collegio, dunque, la società appellante avrebbe esaurientemente dato prova di vantare un interesse dotato del requisito di attualità, stante l’inesaurito panorama dei rimedi processuali ancora in astratto percorribili .
Tale conclusione sarebbe del resto suffragata dalla circostanza per cui l’acquisizione del documento potrebbe plausibilmente sortire effetti di stampo sostanziale: ciò in quanto qualora l’esercizio del diritto di accesso mettesse in luce la configurabilità di una causa di esclusione per irregolarità contributiva (ai sensi dell’art. 80, co. 4 d.lgs. 50/2016) a carico dell’aggiudicataria, ciò determinerebbe la reviviscenza delle chances aggiudicatorie della stessa ricorrente, alla luce del fatto che lo scorrimento della graduatoria determinerebbe le opportune e ulteriori verifiche di anomalia dell’offerta anche nei confronti della società seconda graduata.
A tal fine, viene richiamato il consolidato principio della indefettibile continuità nel possesso dei requisiti soggettivi che si proietta  – al pari dell’esperibilità delle pretese ostensive – anche nella fase esecutiva della commessa (cfr. Cons. Stato, Ad. Pl., 2 aprile 2020, n. 10).
In ultima battuta, deve ritenersi privo di pregio anche l’ulteriore argomentazione utilizzata dal giudice di prime cure che si fonda sull’asserita parziale soddisfazione della pretesa ostensiva e sulla natura esplorativa dell’istanza che riguarderebbe meri atti interni della procedura condotta dell’ente previdenziale.
Per un verso, infatti – secondo i giudici di Palazzo Spada – la circostanza (veritiera) che la pretesa ostensiva sia stata parzialmente soddisfatta non potrebbe certo costituire ragion valida a esonerare l’INPS dall’obbligo di rendere visionabile la residua documentazione al richiedente; per altro verso, l’affermazione della natura meramente esplorativa dell’iniziativa ostensiva di Omissis si scontrerebbe con la realtà dei fatti, avendo quest’ultima meticolosamente delimitato la fattispecie procedimentale verso cui nutre interesse (i.e. il procedimento avente ad oggetto la valutazione delle violazioni contributive/previdenziali accertate dall’Ufficio ispettivo del Lavoro della Provincia di Trento a carico della Omissis, e dunque lo stato della regolarità contributiva della società membro del RTI aggiudicataria).
Né tanto meno viene ritenuto conferente dal Collegio l’argomento opposto dall’amministrazione  sulla natura meramente interna degli atti in relazione ai quali è stata avanzata l’istanza di accesso: il  limpido dato letterale dell’art. 22, co. 1, lett.  d) l. 241/1990 (a mente del quale deve considerarsi documento amministrativo “ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualsiasi altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale”),  induce inequivocabilmente a ritenere ostensibili anche gli atti interni, purché detenuti da una pubblica amministrazione
Quanto invece al secondo “segmento” della trattazione (i.e. la perimetrazione dell’ambito dei documenti effettivamente ostensibili), il Consiglio di Stato si limita laconicamente a sottolineare come la pretesa dell’appellante debba trovare accoglimento limitatamente ai documenti materialmente esistenti nel fascicolo tenuto da INPS in relazione al procedimento volto alla valutazione sulle violazioni contributive/previdenziali a carico della società membra del RTI aggiudicataria, non essendo l’Istituto tenuto ad elaborare documenti ulteriori, né fornire informazioni non desumibili de plano dal fascicolo posseduto.
Di talchè, partendo dalla considerazione per cui sia il provvedimento gravato, sia la statuizione di prime cure hanno fatto malgoverno dei limpidi principi che presiedono all’accesso documentale, quale precipitato applicativo del principio di trasparenza dell’attività amministrativa, il Collegio perviene  alla conclusione che l’appello proposto dalla società Omissis debba essere accolto, con contestuale annullamento del provvedimento di diniego e ordine all’Istituto dell’ostensione dei documenti richiesti, con i soli limiti di quelli già desumibili de plano dal fascicolo tenuto dall’ente.

Brevi profili ricostruttivi

La sentenza in commento, nel riconoscere la legittimità della pretesa ostensiva dell’appellante, chiarifica la portata e i requisiti del diritto di accesso c.d. “documentale”, di cui all’art. 22, comma 1, lett. a) l. n. 241/1990.
Viene così richiamato in primis la necessità della sussistenza di un nesso di strumentalità tra il diritto all’accesso e il bene della vita  perseguito dall’istante, sulle orme dell’autorevole orientamento della Plenaria, secondo cui “in materia di accesso difensivo ai sensi dell’art. 24, comma 7, della l. n. 241 del 1990 si deve escludere che sia sufficiente nell’istanza di accesso un generico riferimento a non meglio precisate esigenze probatorie e difensive, siano esse riferite a un processo già pendente oppure ancora instaurando, poiché l’ostensione del documento richiesto passa attraverso un rigoroso, motivato, vaglio sul nesso di strumentalità necessaria tra la documentazione richiesta e la situazione finale che l’istante intende curare o tutelare” (Cons. Stato, Ad. Pl., 18 marzo 2021, n. 4).
Successivamente, il giudice chiarisce  che l’interesse difensivo vantato dalla società, ricostruito anche secondo le coordinate più ampie e comprensive del diritto unionale, non possa ritenersi ineluttabilmente esaurito all’esito di precedenti  giudizi amministrativi ancorché passati in giudicato, e conserva quei caratteri di concretezza e attualità richiesti dalla norma primaria ai fini dell’accesso documentale (pronunce Fastweb (CGUE, sentenza del 4 luglio 2013, C-100/12) Puligienica (CGUE, 5 aprile 2016, C-689/13) Lombardi (CGUE, 5 settembre 2019, C-333/18). Nella specie, infatti, lo strumentario dfensivo a disposizione dell’istante non poteva ritenersi del tutto esaurito, essendo ancora possibile esperire il rimedio impugnatori della revocazione straordinaria.
Si rileva ancora che l’acquisizione del documentazione potrebbe plausibilmente sortire effetti, sulla sorte dell’aggiudicataria, ove emergesse una fattispecie a carattere escludente per irregolarità contributiva ex art. 80, co. 4 d.lgs. 50/2016 (attuale art. 94, comma 6 d. lgs. n. 50/2016), determinando lo scorrimento della graduatoria.
La sentenza richiama dunque il consolidato principio della indefettibile continuità nel possesso dei requisiti soggettivi che si proietta anche in fase esecutiva( “in relazione a vicende che potrebbero condurre alla risoluzione per inadempimento dell’aggiudicatario e quindi allo scorrimento della graduatoria o alla riedizione della gara” (Cons. Stato, Ad. Pl., 2 aprile 2020, n. 10).
Respingendo l’iter logico-argomentativo del T.a.r. Lazio – che aveva affermato l’assenza di esigenza difensiva da parte della società ricorrente stante la definizione con sentenza passata in giudicato del giudizio proposto dalla stessa  avverso l’aggiudicataria – il Consiglio di Stato ha poi sottolineato come non competa al giudice amministrativo, investito della cognizione del giudizio sull’accesso, sindacare nel merito la pertinenza o l’ammissibilità dei documenti richiesti, né vagliare la posizione processuale dell’appellante nei separati giudizi sul merito dei rapporti amministrativi sub iudice (Cons. Stato, Ad. Pl., 18 marzo 20210, n. 4).
Quanto invece alla delimitazione della latitudine applicativa del diritto di accesso, assume rilievo la l’affermazione per cui l’attività ostensiva incontrerebbe soli due limiti: il primo, di stampo ontologico, attinente alla materiale esistenza dei documenti richiesti al momento dell’istanza; il secondo, di derivazione normativa,  riguardante l’espressa preclusione di istanze volte a compulsare la pubblica amministrazione affinché elabori dati in suo possesso al fine di soddisfare la richiesta di accesso ( ex art. 2, co. 2 D.P.R. 184/2006). Ciò in quanto il diritto di accesso documentale possiederebbe una “chiara fenomenologia puntiforme e statica, giacché deve additare documenti individuati (o individuabili) nel loro sostrato fenomenico insuscettibili di manipolazione o elaborazione ai ristretti fini dell’accesso”.

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Saldo e stralcio

 

Brevi considerazioni finali

Lo sforzo argomentativo della sentenza del Consiglio di Stato si coglie nella misura in cui procede al bilanciamento, in una visione sinottica e sinergica, dei diversi valori sottesi all’istituto dell’accesso agli atti: da una parte, l’esigenza che tale diritto sia subordinato alla sussistenza di un interesse concreto, personale e serio collegato alla tutela di situazioni giuridicamente rilevanti e a specifiche esigenze del richiedente, non riconducibili a mera curiosità; dall’altro, la valenza autonoma di tale diritto – volto ad assicurare la trasparenza dell’azione amministrativa – rispetto alla difesa in giudizio della situazione sottostante.
La sentenza si inserisce dunque in quella scia interpretativa sull’autonomia della domanda di accesso, che comporta l’obbligo per il giudice, chiamato a decidere su tale domanda, di verificare i soli presupposti legittimanti la richiesta e non anche la rilevanza dei documenti richiesti rispetto al giudizio principale pendente
Come già chiarito dalla Plenaria del Consiglio di Stato, infatti, da una parte,l’amministrazione detentrice del documento e il giudice amministrativo adito nel giudizio di accesso non devono, in linea generale,  svolgere ‘ex ante’ alcuna ultronea valutazione sull’ammissibilità, sull’influenza o sulla decisività del documento richiesto nell’eventuale giudizio instaurato, in quanto un simile apprezzamento compete, solo all’autorità giudiziaria investita della questione (Cons. Stato, Ad. Plen., 18 marzo 2021 , n. 4).
 E, dall’altra, l’autonomia del diritto di accesso documentale difensivo deve altresì comportare e che esso sia esercitato indipendentemente dalla previsione e dall’esercizio dei poteri processuali di esibizione istruttoria di documenti amministrativi e di richiesta di informazioni propri del processo civile (Cons. Stato, Ad. Plen., 25 settembre 2020 , n. 21)
Ciò, del resto, trova una conferma positiva nella predisposizione, nel Codice del processo amministrativo, di un’azione a tutela dell’accesso (art. 117 c.p.a.), dove l’interesse alla conoscenza dei documenti amministrativi assurge  a bene della vita autonomo; con il logico corollario che la posizione che legittima l’accesso non deve possedere tutti i requisiti che legittimerebbero al ricorso avverso l’atto lesivo della situazione giuridica vantata, essendo al contrario sufficiente che l’istante sia titolare di una posizione giuridicamente rilevante e che il suo interesse si fondi su tale posizione.



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