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Lo sciopero del 27 febbraio: un’“uditrice” fa sentire la sua voce, i mot uniti contro la separazione delle carriere

“Cambiando lavoro, stai cambiando anche tu?” Il seme del fico sacro, Mohammad Rasoulof

Nel corso del dibattito pubblico svoltosi al cinema Adriano di Roma il 27 febbraio scorso, in concomitanza con lo sciopero dei magistrati a difesa della costituzione, ho dismesso le vesti di magistrata ordinaria in tirocinio, sfidando la mia inesperienza a parlare in pubblico fra illustri relatori, per lanciare un messaggio alla società civile.

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Come noto agli addetti ai lavori, il magistrato ordinario in tirocinio (cd. M.O.T.), è colui che, dopo il superamento del concorso in magistratura, affianca per un periodo, nel nostro caso della durata di un anno, un magistrato affidatario, collaborando e assistendolo nello svolgimento delle sue funzioni. Come suggerisce il termine stesso di “uditore”, con cui eravamo definiti fino al 2007, in questo periodo dovremmo dedicarci principalmente all’apprendimento e alla comprensione di un mondo nuovo e complesso, come quello al quale siamo approdati.

Tuttavia, in un’occasione come questa, far sentire la voce anche di un MOT era un diritto e, allo stesso tempo, un dovere.

Il nostro diritto di intervenire derivava non solo dagli intensi anni di studio che, con i miei 598 colleghi di tirocinio, abbiamo affrontato preparando il concorso in magistratura, e che ci hanno consentito di superare una selezione rigidissima, come è giusto che sia, e come spero che rimarrà sempre. Ma anche dalla tenacia e dalla forza di volontà che abbiamo dimostrato nel non arrenderci, continuando a studiare negli anni giorno dopo giorno, imperterriti e senza alcuna scadenza ravvicinata. Per chi partecipa al concorso in magistratura ormai è un dato scontato, che tende ad accettare come stato delle cose. Ma non è superfluo evidenziare che fra il momento della iscrizione al bando e quello delle prove scritte passano in media 8-9 mesi, cui segue la correzione degli elaborati (10 mesi di media), lo svolgimento degli orali (8-10 mesi), cui si aggiungono infine altri due mesi per l’approvazione del DM di nomina e della celebrazione del giuramento. Ciò significa che, eccettuati i colleghi che riescono a superare il concorso al primo tentativo, chi invece non si arrende ai primi insuccessi, continua a studiare negli anni, nonostante il tempo che scorre, destreggiandosi fra il lavoro, costosissimi costi di preparazione, e, talvolta, anche le necessità familiari.

E il diritto di parlare lo abbiamo rivendicato per spiegare il motivo per cui i MOT, prima ancora di prendere le funzioni, hanno deciso di scioperare, ed esprimere così, assieme ai colleghi più anziani, le ragioni del loro dissenso alla riforma.

La gioia per l’agognato successo si è subito infatti per noi colorata di amarezza nell’apprendere che, dopo questo lungo e faticoso percorso ad ostacoli, ad attenderci al nostro ingresso in magistratura si stagliava la riforma costituzionale. Una riforma che vorrebbe snaturare quella giurisdizione unitaria di cui abbiamo a lungo sognato di far parte: quell’ordine composto da individui indipendenti, autonomi e imparziali, che applica una legge “uguale per tutti”, tutela i diritti dei cittadini, invera il principio di legalità e quello dello stato di diritto, e così facendo protegge la democrazia.

L’amarezza è suscitata anche dal fatto che, grazie alle settimane trascorse alla Scuola Superiore della Magistratura, abbiamo sperimentato il sentimento di appartenenza ad un ordine unico. In questa sede i MOT di tutta Italia, futuri giudici e futuri PM, frequentano la stessa formazione, condividono idee, confrontano visioni e sviluppano così un’unica cultura della giurisdizione. Ma la riforma costituzionale ci vorrebbe separare e dovremmo distruggere ciò che abbiamo costruito, e dimenticare il sentimento di appartenenza comune che abbiamo sviluppato, come se tutto ciò non fosse mai avvenuto.

A maggio sceglieremo in ordine di graduatoria il nostro primo Tribunale di assegnazione e le funzioni che vogliamo ricoprire, se giudicante o requirente, e saremo noi ad assistere alla prima stortura della riforma in ordine cronologico. Perché ci saranno bravissimi e preparatissimi potenziali futuri PM che ben si guarderanno dallo scegliere una funzione che, se la riforma costituzionale venisse approvata, uscirebbe dall’ordine giurisdizionale così come lo conosciamo per divenire altro. Altro che rischia di ricadere nell’orbita di influenza dell’esecutivo e perdere il connotato di indipendenza che caratterizza il potere giurisdizionale. Ci saranno invece altri colleghi che, per ragioni di graduatoria, sceglieranno una funzione che non rispecchia la loro vocazione, senza poter ambire nemmeno una volta a poter cambiare funzioni correggendo il tiro, come accade nel sistema attuale. Ed è veramente un’occasione mancata quella di non assecondare appieno le inclinazioni, e non sfruttare al massimo le potenzialità e le rinnovate energie di 599 nuovi giovani colleghi, che si accingono a mettersi a servizio della società.

Dall’11 novembre stiamo frequentando le aule dei tribunali a fianco dei nostri affidatari e collaboriamo con loro con entusiasmo, impegno e dedizione, per poter arrivare il primo giorno della presa di funzioni più preparati che possiamo per svolgere un ruolo che ci appare quasi sacrale: amministrare la giustizia in nome del popolo italiano.

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Siamo consapevoli della difficoltà tecnica del nostro lavoro e della pregnanza di ogni nostra singola decisione sui diritti fondamentali delle persone. Ci sentiamo da un lato onorati, dall’altra non lo nego, un po’ tesi, e ben consci che, accingendoci a prendere le funzioni, dovremmo impiegare tutte la nostra cultura giuridica, la nostra sensibilità e il nostro equilibrio per essere sin da subito all’altezza del nostro delicatissimo ruolo.

In una situazione fisiologica, non dovremmo preoccuparci di altro, e questo già basterebbe a riempire i nostri pensieri. Sono, del resto, queste le stesse sensazioni descritte da tutti i colleghi più anziani nei racconti a proposito della loro esperienza come magistrati di prima nomina.

Tuttavia, i miei 598 colleghi di tirocinio, e i circa 800 futuri MOT che arriveranno dopo l’esaurimento dei due concorsi successivi in svolgimento, dovranno convivere anche con un’ulteriore e legittima preoccupazione.

Quella di non riuscire, nostro malgrado, a tutelare adeguatamente i diritti dei singoli, a non assumere le funzioni timorosi e impauriti, ad evitare meccanismi di giustizia difensiva, se la riforma costituzionale dovesse essere approvata, se, come è stato ventilato da giuristi ben più esperti di noi, dovesse vacillare il principio di indipendenza della magistratura. Se il nostro organo di autogoverno, cd. pietra angolare della nostra autonomia e indipendenza, diviso ed eletto per sorteggio, dovesse uscirne svilito, delegittimato, diviso e indebolito. Se, come paventato da parte di alcuni, la stessa ANM dovesse separarsi.

E volgiamo lo sguardo dalla riforma stessa al contesto generale in cui questa si inserisce.

Dovremo insediarci a dicembre nei tribunali di assegnazione (il più delle volte, tribunali di frontiera), e, come i colleghi più avanti di noi nel percorso ci raccontano, saremo verosimilmente chiamati a smaltire l’arretrato dovuto alla vacanza di organico che ha preceduto la nostra assegnazione. Talvolta anche a sopperire anche ad una problematica strutturale: le inefficienze del sistema giustizia. Ciò di cui la riforma, che è riforma della magistratura, e non della giustizia, non si occupa. E la giustizia, banalmente, avrebbe bisogno di maggiori risorse, umane e materiali, senza alcuna necessità di modificare la Costituzione.

È paradossale, per utilizzare un eufemismo, che la maggior parte delle persone guardi ai magistrati come una potentissima e irraggiungibile casta quando, appena entrati in magistratura, una delle prime evidenze che apprendiamo sono le condizioni in cui molti colleghi sono costretti a lavorare: facendo del loro meglio, lottando eroicamente contro dotazioni informatiche insufficienti, talvolta obsolete e mal funzionanti, personale amministrativo e polizia giudiziaria numericamente carente, tribunali fatiscenti, carceri sovraffollate.

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Come se tutto ciò non bastasse, noi magistrati di prima nomina potremmo avere un compito aggiuntivo, e quanto mai arduo da assolvere: prendere decisioni che riteniamo giuste nel merito, esatte tecnicamente ma che sappiamo essere sgradite, in un contesto di continui attacchi del potere politico alla magistratura tutta (in ultimo, anche quella internazionale) e ai magistrati come singoli. In un contesto di ormai perenne violenza verbale e toni esasperati, in cui nell’ultimo mese abbiamo assistito, senza soluzione di continuità, alla vicenda delle mancate convalide del trattenimento dei migranti in Albania, alla vicenda Almasri a quella Lo Voi. In un contesto in cui i dettagli delle vite personali di coloro che assumono provvedimenti non graditi al potere vengono scandagliati e divulgati dagli organi di stampa.

In un contesto in cui la riforma costituzionale della separazione delle carriere viene brandita come un’arma contro di noi e presentata all’elettorato come una punizione a una magistratura troppo debordante, invadente, ostativa. Noi, nel frattempo, guardando indietro ai sacrifici compiuti per inseguire un sogno, increduli ci chiediamo: abbiamo studiato tanti anni per essere ostativi o non ostativi o per applicare la legge uguale per tutti e tutelare i diritti delle persone?

Ed ecco che, in questa contingenza storica, il diritto di parlare degli ultimi arrivati diventa un dovere civico. Quello di mettere in guardia la società civile rispetto alle concrete conseguenze per tutti dell’erosione del principio di indipendenza della magistratura: il grave e serio pregiudizio alla tutela dei diritti fondamentali di ognuno.

E volevamo che l’opinione pubblica fosse ben conscia del fatto che anche noi, appena entrati in magistratura, ci opponiamo alla riforma costituzionale. E che questo smentisce nei fatti l’addebito che viene continuamente mosso ai magistrati, quello di opporsi alla riforma per difendere uno status quo. Uno status quo che noi, per definizione, ancora nemmeno conosciamo. Per evidenziare che la tutela dell’indipendenza della magistratura è quanto di più lontano dall’essere un interesse corporativo, ma è interesse, prima di tutto, dei cittadini. Quello a non incappare mai in un giudice impaurito, condizionabile, non imparziale e indipendente.

Durante l’assistenza prestata nel corso della lunga malattia di mio padre ho incontrato moltissimi medici, e ricordo bene che le peggiori decisioni di cura, o dovrei dire non cura, sono state prese da quei medici che avevano perso di vista l’interesse che dovevano tutelare, quello di chi avevano davanti, del paziente, perché troppo indaffarati a ponderare le conseguenze legali delle loro scelte terapeutiche e assorbiti dalle loro strategie di medicina difensiva. Avendo vissuto tutto questo dalla parte del paziente, non vorrei mai e poi mai, da cittadino, avere a che fare con un magistrato simile. 

La partecipazione dei MOT e dei giovani magistrati alle iniziative di dialogo con la società civile organizzate in tutta Italia, in concomitanza con lo sciopero del 27 febbraio a tutela della costituzione, è stata massiccia e particolarmente sentita. Fino a raggiungere picchi come quelli di Bologna (31 MOT su 35).

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Del resto, proprio una collega MOT in servizio presso il Tribunale di Bologna aveva coraggiosamente e orgogliosamente preso la parola all’assemblea straordinaria indetta all’ANM lo scorso 15 dicembre. Quella stessa assemblea che ha deliberato, fra le altre cose, la giornata di sciopero del 27 febbraio.

I MOT che il giorno del 27 febbraio erano impegnati nella formazione alla Scuola Superiore di Scandicci non si sono arresi (ormai ci siamo abituati), e hanno in via del tutto spontanea manifestato il loro sostegno e la loro vicinanza, come da foto in apertura a questo articolo.

In un momento storico caratterizzato da conflitti, scontri e future separazioni, noi MOT, nel rispetto delle reciproche differenze di sensibilità di ognuno di noi, rimaniamo uniti in difesa della nostra Costituzione.



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