Da Pontormo a de Chirico, il Museo Civico di San Domenico mette in mostra secoli di declinazioni del ritratto
Fino al 29 giugno presso il Museo Civico di San Domenico di Forlì è visibile l’attesa mostra Il ritratto dell’artista. Una significativa esperienza di carattere estetico, ed una straordinaria occasione di riflessione universale. Raccomandata non solo ad un pubblico amante dell’Arte, ma anche a coloro che sono interessati al discorso, assai più ampio, relativo alla consapevolezza del proprio sé. L’esposizione offre infatti numerosi spunti di varia natura, tocca corde importanti sia per chi ha dimestichezza con l’Arte, sia per coloro che entrano presso il magnifico spazio del Museo digiuni di riferimenti in assoluto.
Curata con passione da Cristina Acidini, Fernando Mazzocca, Francesco Parisi e Paola Refice, la mostra celebra il ventennale delle grandi mostre promosse dalla Fondazione Bancaria Forlivese. Si tratta di un vasto percorso espositivo che prende inizio dall’Ex Chiesa di San Giacomo per poi svilupparsi nelle sale che un tempo furono della biblioteca del Convento di San Domenico. Se in primis ci si imbatte nella narrazione relativa al mito di Narciso (dalle Metamorfosi di Ovidio), in un secondo momento si passa ad ammirare oggetti dalla carica simbolica fortissima. Maschere teatrali, in latino chiamate “persona” perché servivano a far risuonare, per-sonare, le parole degli attori. E specchi incisi, in qualche modo metafora dell’analisi sul sé, nel quale riflettere il volto, veicolo del divino.
Osservare l’osservatore
Nel Medioevo troviamo una lunga serie di allegorie, incarnate in immagini spesso a soggetto femminile. Come nel caso della “Prudenza”, accompagnata dalla presenza di un serpente (“siate dunque prudenti come i serpenti”, recita il Vangelo secondo Matteo), e uno specchio (strumento che consente appunto la conoscenza di sé stessi col fine poi di agire in maniera virtuosa, coerentemente ai propri poteri e limiti al contempo). Sul tema dello specchio Acidini scrive: “La coscienza della propria identità interiore passa attraverso la contemplazione dell’immagine del sé”. Un sé che può declinarsi all’opposto – rispetto alla prudenza – in quanto “Vanitas” (nome che in latino designa un tipo di natura morta che ricorda la brevità della vita e dei piaceri di natura terrena).
Il cuore pulsante dell’esposizione è probabilmente invece la serie magnifica di ritratti raccolti ai piani superiori. Come quello in cui scorgiamo Giovanni Bellini (nella “Presentazione al tempio”), unico individuo ad osservare l’osservatore nella composizione. Per via dell’eccezionale splendore in particolare occorre menzionare poi l’Autoritratto alla spinetta di Sofonisba Anguissola, il doppio ritratto di Iacopo Carucci detto Pontormo, la Giuditta con la testa di Oloferne di Cristofano Allori. E ancora l’autoritratto di Artemisia Gentileschi in veste di Allegoria della Pittura. Un altro significativo autoritratto è quello di Anne Seymour Damer, che firma la sua scultura con caratteri provenienti dall’alfabeto greco per marcare l’appartenenza ad una “linea ereditaria” nei confronti dei grandi scultori antichi.
L’immagine di noi stessi
Ma a lasciare a bocca aperta sono anche gli autoritratti di Hayez, Moreau, Fattori, Von Stuck, Sargent, Alma Tadema. Insieme a tanti altri autori ancora, che, autoritraendosi, condividono con l’osservatore una chiara dichiarazione d’intenti, per rivendicare il proprio posto nella società e allo stesso tempo offrire una versione di sé agli altri coerente con la propria visione del sé (indimenticabile lo sguardo di Juana Romani nel proprio autoritratto a tal proposito). E ancora degni di nota sono l’autoritratto di Giacomo Balla (che si coglie nell’espressione dello stupore, la stessa spesso segno dell’incontro dell’uomo in relazione a quella che è la Vera Arte), di Donghi, Guttuso, Sciltian, Annigoni, Levi, de Chirico.
Insomma: il visitatore resterà ammaliato da tante illustri presenze, donne e uomini che hanno saputo immortalare la propria immagine in epoche in cui la fotografia non era parte fondante della rappresentazione del sé (sebbene vi siano anche autoritratti di autori più a noi vicini in termini temporali, come quello di Chuck Close ad esempio).
Dunque: in un’epoca storica in cui i “selfie” sono la regola, scandagliare il rapporto tra noi stessi (in quanto individui dotati di una precisa personalità, coscienza, vita emotiva), e l’immagine di noi stessi, potrebbe aiutarci a ridefinire un equilibrio che passi dalla salute mentale, per giungere alla coscienza di sé. In toto un evento riuscitissimo, meritevole di una visita in persona, anziché solo virtuale. Poiché quando si visita una mostra d’Arte se ne esce sempre cambiati, migliorati di sicuro.
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