la vera sorpresa per l’Italia è sui conti pubblici, deficit sceso dal 7,2% al 3,4%

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Secondo i dati diffusi ieri dall’Istat, il Pil nominale dell’Italia nel 2024 è cresciuto del 2,9%, mentre in volume l’aumento è stato dello 0,7%. Un dato quest’ultimo che ci riporta a quanto Marco Fortis, direttore della Fondazione Edison e docente di Economia industriale all’Università Cattolica di Milano, ci aveva detto in un’intervista di inizio dicembre.



Professore, il Pil nel 2024 alle fine è cresciuto più di quello che si pensava nei mesi scorsi…

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In effetti, negli ultimi tempi quasi tutti i previsori pensavano si potesse arrivare a una crescita dello 0,5%. Tuttavia, come ebbi modo di spiegare già tre mesi fa, mi sembra che non ci sia accorti che nel 2024 c’erano quattro giorni lavorativi in più rispetto al 2023. Di conseguenza, i dati trimestrali destagionalizzati e corretti per il calendario andavano valutati tenendone conto. Penso in ogni caso che siano altri i dati più sorprendenti comunicati dall’Istat.



A quali dati si riferisce?

A quelli relativi alla finanza pubblica, visto il pessimismo in merito degli ultimi mesi. Siamo, infatti, l’unico Paese del G7 a essere tornato all’avanzo primario dopo il Covid già nel 2024, addirittura con un +0,4%. Stiamo parlando di quasi 10 miliardi di euro. E così ora il deficit su Pil è sceso dal 7,2% del 2023 al 3,4% ed è vicino alla soglia del 3%.

E per quanto riguarda il debito/Pil, il dato su cui l’Italia è stata spesso penalizzata in Europa e sui mercati?

Il debito/Pil è passato dal 134,6% del 2023 al 135,3%, facendo meglio non solo delle stime del Governo (135,8%), ma soprattutto di quelle della Commissione europea (136,6%), del Fmi (136,9%) e di Moody’s (139,7%). Forse il nostro Paese meriterebbe ben altra considerazione da parte delle agenzie di rating, la stessa che i mercati stanno dimostrando visti i livelli cui si attesta lo spread.



Questi risultati sono ancor più sorprendenti se si considera che, sempre stando a quanto comunicato dall’Istat, la spesa per gli interessi sul debito l’anno scorso è aumentata del 9,5%.

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Di fatto, com’è stato per più di 20 anni prima del Covid, esclusi i periodi di recessione, la voce che incide maggiormente sul debito pubblico del nostro Paese è quella relativa alla spesa per gli interessi. L’Italia sta quindi dando una dimostrazione di buon comportamento fiscale.

Torniamo ai dati sul Pil. L’Istat ha mostrato che il valore aggiunto dell’industria manifatturiera è sceso dello 0,7%. Questo nonostante un calo della produzione industriale del 3,5%. Come si spiega?

Il dato relativo al valore aggiunto delle attività manifatturiere mostra una dinamica molto diversa e meno drammatica rispetto a quella dell’indice della produzione industriale. Quest’ultimo è uno strumento sempre più impreciso in un contesto in cui vi sono modificazioni strutturali delle varie componenti della manifattura. In particolare, nel nostro Paese si producono meno beni a basso valore aggiunto, mentre aumentano quelli con un valore aggiunto più elevato.

Come valuta, invece, l’andamento di consumi, investimenti ed export?

Se consideriamo che lo scorso anno stavamo uscendo da un periodo di elevata inflazione e non mancavano preoccupazioni dettate dal contesto internazionale, penso sia più che positivo aver visto crescere dello 0,2% il contributo al Pil della spesa delle famiglie e dello 0,4% quello della domanda estera netta. Per quanto riguarda gli investimenti, quelli in fabbricati non residenziali e altre opere sono cresciuti del 10% circa. Significa che qualcosa dal punto di vista della messa a terra delle risorse del Pnrr si sta muovendo. A proposito degli investimenti si può esprimere un piccolo appunto.

Quale?

Viste anche le difficoltà relative a Transizione 5.0, si sarebbe potuto investire sulla più rodata Industria 4.0 senza incidere troppo sui conti pubblici, visto come sono andati bene. In questo modo si sarebbe potuto ottenere un aumento del Pil nominale più consistente rispetto al +2,9% registrato.

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Dopo un 2024 che si è chiuso forse meglio di quanto ci si potesse immaginare negli ultimi tempi, come dobbiamo guardare al 2025?

Non è facile oggi fare una previsione economica tenendo conto di un quadro particolarmente incerto tra gli annunciati dazi Usa, l’inflazione in lieve aumento e la possibile pace in Ucraina. Non dimentichiamo poi che potrebbero esserci importanti investimenti nella difesa in Europa che avrebbero certamente ricadute anche su parte della nostra industria. Abbiamo in ogni caso una situazione demografica che non ci favorisce, visto che perdiamo ogni anno dei consumatori.

In questo quadro abbiamo qualche certezza o punto di forza su cui poter contare?

Al momento le certezze che abbiamo sono relative ai conti pubblici in ordine e a un buon livello di resistenza complessivo del sistema Italia in un contesto europeo molto difficile, vista la crisi industriale della Germania e la situazione fiscale della Francia. Non va trascurata, in ogni caso, una caratteristica importante del nostro sistema produttivo.

A che cosa si riferisce?

Ci sono nuove componenti del Made in Italy che rappresentano degli elementi di resilienza del nostro sistema produttivo. Se negli anni Novanta il Made in Italy era prevalentemente rappresentato da moda e mobili, oggi abbiamo anche farmaceutica, agroalimentare e cosmetica. A differenza di altri Paesi, abbiamo, quindi, una diversificazione che ci permette di poter affrontare meglio i cali di alcuni settori.

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(Lorenzo Torrisi)

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