il male che respira in provincia, tra Stranger Things, Stephen King e David Lynch

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Crescere fa paura. E in provincia, luogo di peccati e di sacrifici, di più ancora. E in questo romanzo, il trapasso è vissuto come un trauma vissuto sotto pelle, amplificato da una vocazione malsana alla paura, che sembra tramandata dal folklore perverso di una terra di frontiera, battuta da contrabbandieri, personaggi borderline e sabba maledetti. 

Spettri Diavoli Cristi Noi di Riccardo Ielmini (Neo Edizioni) esplora i territori delle paure ancestrali e li mette in contatto con storie d’amicizia e formazione, gravate dal peso della memoria e dell’angoscia. E poi c’è il Male, quello vero, quello che ti guarda negli occhi e sorride, che in questo romanzo incombe come un ospite indesiderato. Forse il vero protagonista invisibile di questa storia.

Il romanzo racconta di vite interrotte, di adolescenze spezzate, di orrori sconvolgenti, come lo può essere una messa nera spiata nei boschi. E lo fa con uno stile ipnotico, lirico, che scorre denso, capace di evocare atmosfere cupe, dalla potenza cinematografica.

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Spettri Diavoli Cristi Noi adotta fin da subito un’angolazione narrativa inusuale. Mixa lo stile di un memoir maledetto a quello tipico delle leggende urbane. Un viaggio tra amicizie feroci, riti oscuri e paure che non smettono di mordere. La voce narrante è quella di un uomo che ripercorre la sua giovinezza, vissuta insieme ai suoi amici di un tempo, la “ghenga”, detta anche Confraternita. Il gruppo di ragazzi cresce in un contesto liminale, la Contea, dove le superstizioni si mescolano alla cruda realtà della provincia, che si trova a fare i conti con una serie di morti inspiegabili, che diverranno poi un fardello custodito nel passaggio tra l’infanzia e l’età adulta. Difatti la Confraternita non è solo un gruppo di adolescenti in cerca di avventure, ma il simbolo di un passaggio dall’innocenza alla consapevolezza matura dell’esistenza del male.

Il lettore parte assieme al gruppo di ragazzi, in sella alle proprie bmx, che scorrazzano nei boschi che sembrano custodire antichi segreti. Atmosfere e sapori più vicini a Stephen King che a Stranger Things, o più a Niccolò Ammaniti che a Stand by me. L’adolescenza della Confraternita e la paura del Diavolo, radicata a causa delle superstizioni delle vecchie del paese, è segnata da quelle esplorazioni silvestri e dalle storie di presenze oscure per combattere la noia. 

Durante un’escursione notturna, i ragazzi assistono a un rito satanico nella chiesa di San Michele Arcangelo. Tra i partecipanti c’è Indiano Joe (che nella mia testa avrà sempre la faccia di Bob di Twin Peaks), una figura inquietante che sembra a capo della cerimonia.

Dopo aver assistito al rito, i ragazzi vivono nell’angoscia. Decidono di andare dai carabinieri, ma senza raccontare tutto, per paura di ritorsioni. Tuttavia, il male sembra dilagare ugualmente. Seguono delitti raccapriccianti e macabri rituali. La prosa si muove tra realismo crudo e una dimensione quasi onirica e fiabesca. E ci regala un susseguirsi di personaggi incredibili: Fredy, il capo della Confraternita, il visionario, quello che vede più in là degli altri; Don Calo, un uomo legato alla criminalità locale, che sembra aver preso in mano la “giustizia” della Contea; Artù il Muto, un tempo tossicodipendente, ora figura leggendaria del paese. E l’Uomo dei Boschi, vecchio misterioso, segnato dalla scomparsa della figlia in circostanze mai chiarite, che sembra essere una sorta di guardiano contro il male, una figura quasi mistica che veglia sulla Contea.

Il finale è inaspettato, aperto, simbolico, quasi mistico. Il lettore viene costretto a convivere con interrogativi che forse non si possono risolvere: il male è qualcosa che non si può distruggere? Noi tutti rimaniamo con la sensazione di un’ombra che non si dissipa mai del tutto, un’eco che continua a rimbombare nei vicoli della provincia.

Infine, ciò che rende questo romanzo unico e diverso, è il suo stile. Vale la pena spendere due parole sulla lingua di Ielmini, perfettamente congeniale ed eclettica, arricchita di parole antiche ed espressioni dialettali. C’è il lirismo dei ricordi d’infanzia, ma anche la brutalità del noir più feroce. Un registro che non lascia troppo spazio alla nostalgia, per rimarcare la consapevolezza che l’inferno non è mai troppo lontano, anzi.

Un’altra caratteristica distintiva della scrittura di Ielmini è la capacità di costruire un’atmosfera cinematografica: le sue descrizioni sono vivide e potenti da sembrare inquadrature di un film di David Lynch o di un episodio della prima stagione di True Detective, con i suoi incubi a cielo aperto. C’è sempre un elemento perturbante nelle sue scene, qualcosa che sfugge alla logica e si insinua nel cervello. Non è solo ciò che succede, una questione di trama o di tematiche, ma è la lingua stessa che trasuda una certa inquietudine, che rende il male non solo qualcosa da temere, ma qualcosa da sentire.

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Neo Edizioni continua a distinguersi per il suo impegno nella narrativa indipendente e di qualità, dando spazio a voci originali che sfidano le convenzioni. Spettri Diavoli Cristi Noi è un titolo che va in questa direzione ed è inoltre il romanzo vincitore del Premio Nazionale di Narrativa Neo Edizioni (qui il bando per l’edizione 2025), un concorso dedicato alla scoperta di talenti letterari capaci di scuotere e reinventare la tradizione del racconto italiano contemporaneo.

La ricerca di voci forti e scrittori emergenti a mio avviso premia Neo Edizioni, che continua a proporre titoli innovativi e coraggiosi, rivolti a lettori attenti e desiderosi di esperienze letterarie profonde e fuori dall’ordinario.





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