Condivisione, piacere, identità: in una parola il cibo. Ma solo quello che è espressione della cultura del territorio, incardinato nelle nostre campagne, frutto della tradizione e dell’innovazione degli agricoltori. E’ questo il cibo che incarna valori che riportano alla religione, alla libertà, alla democrazia. Ed è proprio per tutto quello che rappresenta che oggi è in pericolo. In un momento storico in cui sembrano saltare tutti i valori, con un’Europa che si è bruscamente risvegliata dai lunghissimi anni di pace che sembravano non dovessero finire mai, sul cibo si sono concentrati appetiti che lo vogliono portare fuori rotta.
E’ quanto mai illuminante dunque il libro “Il Cibo a pezzi”- La guerra del piatto” (pubblicato da Bompiani Overlook) scritto da Vincenzo Gesmundo, segretario generale della Coldiretti, Roberto Weber, sondaggista e presidente di Ixe’, e Felice Adinolfi, professore di Economia agraria all’Università di Bologna e con un saggio di Massimo Cacciari, che affronta un tema tanto delicato da diverse angolature, storiche, politiche, economiche, tecnologiche, culturali e religiose.
E lancia un allarme: ”Sotto la minaccia di enormi interessi economici e finanziari, la malnutrizione, la transizione ecologica, il soluzionismo tecnologico e la sovranità alimentare sono oggetto di uno scontro politico globale la cui posta è altissima”. Non solo la cancellazione del mondo agricolo, ma la messa in gioco del futuro di tutti noi, della nostra democrazia. La presentazione dell’opera destinata a diventare un testo base scientifico da cui partire per analisi su tutte le problematiche presenti e future del pianeta cibo è stata l’occasione per un dibattito di altissimo profilo animato dagli autori e da due interventi importanti, di Giulio Tremonti, presidente della Commissione esteri della Camera, e di Maurizio Martina, ex ministro e attualmente direttore generale aggiunto della Fao.
Gesmundo ha sottolineato l’interesse planetario per il cibo e ha scandito le tappe che hanno via via condotto al nuovo modo di fare agricoltura e al ruolo determinante che oggi svolgono gli agricoltori grazie alla legge di orientamento che ha cambiato la visuale produttiva. Da fornitore di materie prime a produttore di cibo: è qui la rivoluzione copernicana voluta dalla Coldiretti e che ha cambiato il volto delle campagne che sono diventate dei veri laboratori. Una intuizione geniale che ha portato alla nascita dei mercati di campagna amica che hanno rotto un altro tabù dimostrando come i contadini siano bravi non solo a produrre, ma anche a vendere e a divulgare l’identità e la distintività dei beni alimentari.
Da qui la dura lotta della Coldiretti finalizzata a preservare questi valori con un contrasto ai cibi ultra formulati, a quelli realizzati nei bioreattori, ma anche alle produzioni spacciate per italiane grazie alla compiacenza di un codice doganale che consente ad alimenti importati di acquisire il passaporto italiano. Tante dunque le spinte che arrivano da più fronti e che tentano di fare “il cibo a pezzi”. Cominciando dall’allontanarlo dalla natura e dalla comunità, come ha spiegato Adinolfi. Perché il cibo – ha affermato – è un elemento fondamentale della democrazia “ e il fatto che possa essere fuori dal controllo dei contadini e delle comunità ci preoccupa molto”.
Adinolfi ha anche ricordato la centralità del Mediterraneo, culla del cibo e della civiltà. “Senza il patrimonio enogastronomico ci sarebbe il vuoto”. Weber con la “robusta indagine” che ha coinvolto 6245 individui distribuiti in 11 paesi in Europa, ma anche in Sud America, oltre a Giappone e Australia, ha identificato due mondi diversi nel rapporto con l’alimentazione: cibo come carburante nei Paesi anglosassoni e del Nord Europa e cibo come piacere e condivisione nell’area latina e mediterranea. Due posizioni da cui discendono comportamenti di acquisto divergenti. Uno tra i tanti: in Italia i consumi nel fast food sono un sesto rispetto a Usa e Gran Bretagna. E nell’indicazione delle traiettorie future non poteva mancare il rapporto con l’ambiente che la precedente Commissione europea ha trasformato in una spaccatura con l’agricoltura.
“Perché è più facile colpire i contadini rispetto ai produttori di acciaio”. Un atteggiamento punitivo nei confronti dei contadini europei che non trova però giustificazioni. In Europa le emissioni sono un quinto rispetto a quelle del Sud America dove peraltro si utilizzano 100 principi attivi vietati dall’Unione europea. La Ue ha ridotto le emissioni del 30% a fronte di un aumento che arriva fino al 50% in Cina e Usa. Dopo l’emergenza mucca pazza l’Europa ha fatto un buon lavoro in termini di sostenibilità e ha creato un valido sistema di protezione del consumatore. Ecco perché Coldiretti sta difendendo con tutte le sue forze le produzioni italiane ed europee e si è fermamente opposta alle derive ideologiche green dell’ex commissario Timmermans che avrebbero determinato una flessione del 20% della produzione agricola europea.
Tremonti nel suo intervento ha denunciato l’eccesso di burocrazia nell’Unione europea quantificato in 397 km lineari di regole. Ha parlato dell’Europa che c’è e di quella che non c’è e può farci male. Nella prima il trattato di Roma, la Politica agricola comune che può migliorare. La Ue cattiva è stata identificata con l’ambientalismo fondamentalista e ideologico e con gli interessi mossi da pochi gruppi industriali. Martina ha sottolineato che l’Europa con tutti i suoi limiti e i suoi problemi se guardata dall’angolazione della Fao “è ancora un oggetto da tenere stretto”.
Riferendosi alla situazione dell’Africa, che comunque sta registrando una crescita economica superiore a quella della Ue, ha indicato tra gli obiettivi la costruzione di un equilibrio più giusto, di un’altra idea di società da realizzare anche attraverso una nuova lettura del cibo. Martina ha aggiunto che il dibattito su cibo e sovranità è molto serio e ha riconosciuto il ruolo chiave della Coldiretti nell’aver individuato il vero valore aggiunto nel fattore locale. Un fatto è certo: “Il cibo a pezzi” ha cambiato un paradigma e da oggi non si potranno indicare traiettorie senza tener conto di quanto è scritto nel testo frutto non solo di “teorie”, ma di analisi supportate da dati scientifici.
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