Verità e giustizia. Il Premio Cultura cattolica a Mauro Ronco

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Il 28 febbraio la Scuola di Cultura cattolica di Bassano del Grappa ha insignito con il 42° Premio Cultura cattolica il professor Mauro Ronco, insigne giurista e presidente del Centro Studi Rosario Livatino. Alla premiazione hanno presenziato diverse autorità, tra cui il vescovo di Vicenza monsignor Giuliano Brugnotto, amministratori locali, come il sindaco Nicola Finco e l’assessore all’istruzione Marina Bizzotto, l’eurodeputata Elena Donazzan e Domenico Menorello del network Sui tetti. E non sono nemmeno mancate le lettere di felicitazioni di papa Francesco, il cardinale Pietro Parolin, Segretario di stato della Santa Sede, e la ministra Eugenia Roccella; e dei premiati delle edizioni precedenti, tra cui Franco Nembrini.

«Giurista insigne, scrittore versatile e polemista acuto – si legge nelle motivazioni addotte dai curatori del premio, lette dal presidente della SCC David Bozzetto -, è figura di riferimento per tutti coloro che, nel mondo del diritto – e non solo –, intendono dare testimonianza alla verità in un’epoca soffocata dalla dittatura del relativismo». Sempre Bozzetto ha poi ancora rivolto al premiato lo stesso elogio che Ronco attribuì a Giambattista Vico: «Egli vuol compiere l’ardua ed esaltante impresa di riscoprire la Verità tradita. Egli non lavora per vanità propria, ma per la gloria della cristianità».


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Chi è Mauro Ronco

Nato a Torino nel 1946, città in cui dal 2006 al 2010 ha ricoperto il ruolo di presidente degli avvocati e reggente regionale di Alleanza cattolica (di cui è anche socio fondatore), Ronco può contare su un lungo e brillante “cursus honorum”, che lo ha portato a diventare professore onorario di diritto penale all’Università austriaca di Innsbruck ed emerito, sempre per lo stesso ambito, presso quella di Padova. La sua carriera è caratterizzata da varie pubblicazioni, tra le quali spiccano Il principio di tipicità della fattispecie penale nell’ordinamento vigente (Giappichelli, Torino) e L’azione “personale”. Contributo all’interpretazione dell’art. 27 comma 1° Costituzione (G. Bessone) e Il “diritto” di essere uccisi: verso la morte del diritto?, curato con l’attuale Segretario del Consiglio dei ministri Alfredo Mantovano e altri autorevoli specialisti. Ronco ha anche, e soprattutto, testimoniato in tutto ciò che ha fatto la complementarità tra fede e ragione che lo hanno portato ad affrontare con coraggio e rigore gli esiti dell’odierna deriva antropologica, si pensi al controverso e liberticida ddl Zan e alla mortifera legislazione pro suicidio assistito. Al riguardo di ciò, nel maggio 2018 e a Torino, chi scrive ebbe l’onore di co-ospitare, il professor Ronco assieme al Padre generale del Cottolengo, don Carmine Arice, per un incontro pubblico sulle Dat.

(foto Giuseppe Ghirardello)

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Il bene da valorizzare

Il professor Ronco ha ritirato il premio di fronte alla platea piena del Remondini, venendo introdotto dal presidente del Comitato organizzatore, David Bozzetto, e dal presidente della giuria premiante, il professor Lorenzo Ornaghi; mentre il sociologo e filosofo Sergio Belardinelli ha posto alcune domande preparate dai giovani della Scuola di Cultura cattolica, con le quali ha avviato un dialogo col premiato.

Le risposte di Ronco hanno fatto emergere non solo la profondità e l’acutezza del suo pensiero, ma anche le qualità umane che lo caratterizzano. In particolare, la capacità di suscitare una riflessione sui fondamenti del diritto: esso affonda le proprie radici nella giustizia che lo pone al servizio della realtà. La riflessione giuridica, infatti, può scostarsi dall’ideologia del positivismo giuridico e riscoprire la profondità del pensiero filosofico della dottrina classica di san Tommaso d’Aquino.

Il professore ha così indicato i tesori da custodire e riattualizzare, come la dottrina sociale della Chiesa e il diritto naturale espressi nel magistero petrino (in riferimento a questo, egli ha citato la Rerum Novarum ripresa nel suo centenario – 1991 – dalla Sollecitudo rei socialis di Giovanni Paolo II).

Ogni giurista cattolico può trovare ispirazione e consapevolezza del proprio ruolo ricordandosi di valorizzare il bene che è già presente nella nostra Costituzione e nelle nostre leggi, ponendosi come valido interprete (ermeneuta) alla luce dei grandi fondamenti della verità e della giustizia. Con il consueto coraggio, Ronco ha dichiarato che unicamente Cristo è la via, la verità e la vita.

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(foto Giuseppe Ghirardello)

L’esempio di Livatino

Il professore ha sottolineato quanto nel nostro Paese la sacralità della vita sia un tema centrale come dimostra la sentenza n. 50 della Corte costituzionale del 2022, che pur non essendo perfetta, ha però il merito di affermare in maniera forte che l’aiuto al suicidio è un delitto, a differenza di altri ordinamenti, ad esempio quello olandese, in cui sta facendosi sempre più largo l’idea di poter porre fine alla propria vita, qualora si ritenga semplicemente di aver terminato il proprio percorso esistenziale. E questo è dovuto al pensiero cattolico che ancora resiste coraggiosamente.

Evidenti le qualità umane del premiato: un profondo amore per la giustizia, un altissimo senso del dovere civico e della responsabilità di custodire e trasmettere l’eredità del pensiero cattolico in ambito giuridico-filosofico; qualità tenute insieme da una positività di fondo (leggasi speranza), la stessa con cui ha affermato che occorre sempre elogiare il bene, anche in situazioni drammatiche. Per quanto vi sia un mistero tragico, come lo stesso Livatino asseriva dicendo che «vi sono persone che non accettano di riconoscere il bene», bisogna saper valorizzare il bene anche nelle situazioni in cui abbiamo vittime e colpevoli.

Di qui l’impegno profuso nel Centro studi Livatino, il cui patrono è l’esempio del retto agire di un magistrato che non opera per il potere e che non agisce da mero tecnico; egli ha testimoniato con la vita quanto il diritto è l’etica siano intrinsecamente legati; giovane, in una zona periferica della Sicilia (Canicattì), dominata dalla criminalità, ucciso per mano della Stidda, il giudice-martire si è prodigato da solo, ma la sua opera è stata sostenuta dalla fede (non a caso è beato) e dalla profonda convinzione che un solo uomo giusto possa favorire la giustizia.



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