Ue tra vertici e dubbi Usa: stop aiuti a Kiev?

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“Non ci saranno più aiuti militari all’Ucraina”. Le voci su quanto sta maturando alla Casa Bianca si sono tramutate – in alcuni media di seconda e terza fila – nell’annuncio della portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt. C’è da aspettarselo dopo che Donald Trump, l’altro giorno,ha ordinato a Volodymyr Zelensky di levarsi dai piedi: “Torna quando vorrai fare la pace”. Se la sbrighino gli europei, incolonnati dietro Joe Biden e Zelensky, incapaci da tre anni di fermare il conflitto – questa la minaccia di Trump Vogliono continuare la guerra? La facciano da soli. Ma si tratta di decisioni già prese oppure di voci volte a piegare il regime di Kiev alla trattativa? All’armi, all’armi!…

Oggi a Londra un vertice straordinario su una fumosa futura Difesa europea si trasforma nella drammatica rappresentazione di una Uesmarrita dinanzi a una duplice prospettiva. 1) Il raffreddamento, chissà quanto temporaneo, del rapporto ancor oggi vitale tra Stati Uniti ed Europa, fondato sulla sicurezza della “copertura militare” offerta da Washington e rappresentata dalla Nato. 2) La fine, nella politica estera degli Stati Uniti, della continuità nel rapporto che lega l’Occidente euro-atlantico: il capovolgimento strategico (provvidenziale nel caso ucraino) impresso da Donald Trump testimonia la potenziale scadenza quadriennale, con l’elezione presidenziale, se non addirittura biennale, con quella di mid-term, di una linea di politica estera sulla quale Washington ha impegnato anche i propri alleati.

Finora si era quasi abituati alle guerre a metà degli Stati Uniti, alle offensive a suon di grancassa e ai ritiri, a volte precipitosi, altre volte ignominiosi come l’ultimo dall’Afghanistan. Decisioni previste a mezza voce, smentite, tenute semisegrete, improvvisamente realizzate… Stavolta no. Trump ha apertamente giudicato negativi e capaci di provocare un conflitto nucleare il rifiuto dei compromessi raggiunti tre anni fa nei negoziati, segnatamente a Istanbul, e gli obiettivi strategici dell’amministrazione di Joe Biden. Negoziato di pace preannunciato, avesse vinto. E attuato, una volta alla Casa Bianca. Come per gli Accordi di Abramo: l’America che media, quella di Trump “portatore di pace”. Condicio sine qua non? La disponibilità al compromesso delle parti direttamente in conflitto, cioè la reciproca rinuncia a una vittoria totale. L’abbandono da parte del regime di Kiev della prospettiva di entrare nell’Alleanza Atlantica, motivo scatenante del conflitto e di recuperare completamente le regioni russofone e la Crimea.

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L’accettazione, da parte di Mosca, dell’adesione all’Ue (peraltro mai esclusa) dell’Ucraina e di una ‘forza di pace’che la rassicuri con la sua presenza; il Cremlinodovrebbe inoltre accontentarsi di una porzione dei territori considerati russofoni e conquistati. Washington, da parte sua, convincerà Mosca di non mirare all’ulteriore ridimensionamento territoriale dell’impero russo né alla cassaforte di materie, minerali, energia e ‘terre rare’custodita nel ventre della Federazione russa. A Londra invece si diffonderà, rimbalzando poi da una capitale all’altra del Vecchio Continente, la eco di un “che fare?” d’epoca lontana. Ascolteremo probabilmente tonitruanti denunce di pericoli d’invasione da una fantomatica neo Armata Rossa a giustificare la necessità di un riarmo dell’Europa, non più per farsi guerra ma per prepararsi a difendersi… Dalla Russia? La massima potenza nucleare del pianeta è pericolo minimo per i Paesi Nato sul piano delle forze convenzionali e il rischio di ‘fuoco atomico’ consiste proprio in questo contrasto.

Armata Rotta, la definimmo tre anni fa. E adimostrarlo, appunto tre anni di sforzi in una guerra soprattutto di trincea che ha devastato l’Ucraina; le rilevanti perdite di uomini, di materiale e persino di navi; il soccorso di contingenti militari nordcoreani e non solo; le migliaia e migliaia di droni importati dall’Iran o prodotti ‘su licenza’; i pezzi di ricambio cinesi; i numerosi attentati subìti in patria; gli scacchi della sua Intelligence; le scorribande nemiche sul suolo patrio… e via elencando. Il vicepresidente Usa J.D. Vance ha avuto buon gioco l’altro giorno nell’accusare Zelensky di boicottare il negoziato, rinfacciandogli i rifiuti opposti in passato ai compromessi raggiunti, segnatamente a Istanbul, quando lo stesso negoziatore ucraino Oleksandr Chaly dichiarò che “le parti (russa e ucraina) sono riuscite a trovare un compromesso molto reale…ed sono molto vicine a una soluzione pacifica”.

E l’irritazione per la riluttanza del presidente alla trattativa con Vladimir Putin e al rispetto delle regole della democrazia nel suo Paese ha spinto Trump a indicargli la porta. La speranza, tuttavia, è l’ultima a morire. La ragionevolezza farà capolino a Londra? Giorgia Meloni ha spostato il tiro sulla priorità di un vertice tra i governi di Stati Uniti e d’Europa per rattoppare lo strappo nella tela della Nato. Vedremo se l’appello, impoverito dal silenzio sulla repressione del regime di Kiev, verrà raccolto. E’gran tempo di una seria presa di coscienza da parte di Bruxelles e delle capitali del Vecchio Continente.

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