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Bastano uno smartphone, un’app gratuita e il coraggio di farsi aiutare: contro i cosiddetti Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione (DNA) la Casa di Cura “Beato Palazzolo” di Bergamo ha ideato “Schiaccia DCA”, applicazione che fa capo al Centro per la diagnosi e la cura dei disturbi alimentari, nata per sensibilizzare e aiutare chi ne soffre.
Casi nei quali l’aiuto dei familiari è molto importante, ma spesso non basta: per questo diventano fondamentali centri come quello in seno alla “Palazzolo”, che ha messo a disposizione i propri esperti anche per gestire le richieste di aiuto e di supporto che arrivano tramite l’app.
La struttura prevede tre percorsi distinti per la gestione dei disturbi alimentari, suddivisi in base alla gravità della situazione fisica e mentale. Il primo step è rappresentato dal percorso ambulatoriale, nel quale si incontrano periodicamente lo psicologo, la dietista, l’internista e lo psichiatra. C’è poi il percorso di ricovero, attivabile in caso di grave situazione di salute, all’interno dell’unità operativa di Medicina. Infine il ricovero in clinica nel centro DCA, diretto dalla dottoressa Chiara Cappelletti, laureata in medicina e chirurgia con una specializzazione in endocrinologia, dove la persona vivrà insieme ad altre con disturbi simili e sarà seguita da educatori, dietista, psichiatra, psicologo e medico internista.
“L’Istituto delle Suore Poverelle ha aperto questo servizio di cura nel 2001 poiché il disturbo del comportamento alimentare era un‘emergenza molto sottovalutata – spiega Simone Raineri, educatore e coordinatore del CDCA -. La Casa di Cura offre un serie di supporti per chiunque ne abbia bisogno. Personalmente non conoscevo il disturbo, ma è stata proprio la novità che mi ha spinto ad accettare il lavoro. Sono cresciuto con questo centro”.
Al Centro lavora anche Roberto Morlacchi, psicologo, entrato in contatto con l’istituto 15 anni fa con un tirocinio universitario post lauream: “Quei diversi mesi mi ha fatto pian piano crescere un forte interesse verso queste patologie”.
“Entrare in contatto con queste patologie è difficile e va fatto in punta di piedi – spiegano Raineri e Morlacchi – Infatti è necessario investire inizialmente molto sulla relazione terapeutica, perché la persona deve avere il tempo di conoscerti e iniziare a fidarsi. Senza un buon legame tra il terapeuta e il paziente è difficile lavorare in modo condiviso e costruttivo. Inoltre ad oggi esistono nuove piattaforme che pian piano stanno prendendo più attenzione e smentiscono le pagine non scientifiche che cercano di offrire soluzioni semplici ma spesso non salutari. Il CDCA oggi offre aiuto anche tramite Instagram, Facebook e Youtube”.
Quali sono i pro e i contro del vostro lavoro?
“Gli aspetti positivi sono sicuramente relativi all’ambito relazionale, sia in termini di lavoro di squadra con i colleghi che in termini di relazione terapeutica con i pazienti. I Dna necessitano di un approccio multidisciplinare in cui diverse professionalità ‘convivono’ e lavorano fianco a fianco grazie ad un costante confronto. Questo è certamente un aspetto molto interessante e positivo del lavoro d’equipe. Mentre per quanto riguarda il versante della cura verso il paziente la creazione di un buon legame terapeutico è certamente fonte di grande soddisfazione soprattutto quando la persona inizia ad apprezzare i miglioramenti in atto e quando la sintomatologia va in parziale o totale remissione. Capita talvolta di rivedere o risentire ragazzi e ragazze che abbiamo avuto la possibilità di seguire negli anni e quando vediamo sbocciate le loro potenzialità, che già si intravedevano tanti anni prima, è motivo di enorme felicità e motivazione.
Le maggiori difficoltà invece sono relative alla natura egosintonica dei disturbi alimentari, significa che la persona affetta da Dna tende a non percepire la sintomatologia (in termini di pensieri, emozioni e comportamenti) come qualcosa di problematico e di cui vuole disfarsi nel più breve tempo possibile, ma al contrario la sintomatologia è spesso coerente con i propri obiettivi e sentimenti.
Avete vissuto l’emergenza Covid-19: ha avuto un impatto sul numero di diagnosi?
“Gli studi dimostrano che il Covid ha portato ad un aumento di circa il 30% dei casi legati a malattie psichiatriche, compresi i Dna che sono, negli adolescenti, la seconda causa di morte dopo gli incidenti stradali. I motivi di questo significativo aumento sono verosimilmente da attribuire all’aumento del senso di solitudine che le restrizioni hanno causato e al senso di forte incertezza che quei terribili mesi hanno portato a tutta la popolazione. In particolare gli adolescenti ne hanno subito le maggiori conseguenze a causa proprio della fase evolutiva in cui il Covid-19 si è abbattuto su di loro, ovvero l’adolescenza stessa”.
Esistono profili più a rischio?
“La ricerca scientifica non ci permette, ad oggi, di parlare di cause dei Dna ma di fattori di rischio. È quindi più probabile che una persona sviluppi un Dna in presenza di un maggior numero di fattori di rischio che vengono suddivisi in fattori individuali (es. traumi, bassa autostima, difficoltà interpersonali, …), familiari (es. presenza di un dna nei familiari, determinate dinamiche comunicative all’interno della famiglia, …), sociali e culturali (es. modelli estetici specifici, maggior benessere economico, …). È importante sottolineare che la presenza di questi fattori di rischio non significa necessariamente che la persona svilupperà un Dna in futuro”.
Ci sono dei segnali di allarme, che possano rendere più facile il percorso d’aiuto?
“Esistono alcuni precoci segnali di allarme che in generale hanno a che fare con importanti cambi di routine: alimentare (iniziare a selezionare determinati alimenti e ad eliminarne altri, riduzione dell’apporto calorico giornaliero), motoria (aumento del movimento giornaliero, utilizzo di app specifiche, irrequietezza quando non è possibile fare movimento), scolastica (maggiore investimento nello studio che nei casi più gravi può portare alla compromissione temporanea del ritmo sonno-veglia) e sociale (tendenza all’isolamento e al ritiro sociale). La presenza di tali segnali non implica necessariamente l’instaurarsi di un Dna, ma certamente sono segni da monitorare e da approfondire”.
Come si manifesta il disturbo e quali sono le diverse malattie?
“Esistono 3 grandi Dna, nonostante ne esistano altri ‘minori’ e meno conosciuti: l’anoressia nervosa caratterizzata da sottopeso, forte paura di aumentare di peso che porta la persona ad alimentarsi sempre meno. La bulimia nervosa caratterizzata da forte paura di aumentare di peso e dalla presenza di episodi di alimentazione incontrollata seguiti da comportamenti di compenso. Il binge eating disorder (disturbo da alimentazione incontrollata) caratterizzato da episodi di alimentazione incontrollata in assenza di comportamenti di compenso. I Dna sono sempre caratterizzati da forte disagio psicologico e da sensi di colpa e vergogna”.
Tra poco inizierà la settimana lilla, dove si cerca di consapevolizzare sui disturbi del comportamento alimentare, voi cosa avete in programma di fare?
“Quest’anno la settimana lilla si terrà dell’8 al 14 marzo. Il Centro CDCA collaborerà con la fondazione Maria Bianca Corno di Monza, in particolare il 10 marzo alle 17, da remoto, si terrà il laboratorio ‘Di bolla in bolla’ nel quale l’educatrice del centro, Elisa Belotti, esperta del metodo danza creativa o danza Fux, terrà un momento legato alla musica, alle sensazioni che essa muove e ad ascoltare il proprio corpo, le proprie emozioni e sensazioni. Sempre da remoto il giorno 11 marzo alle 17 con l’educatore Fabrizio Zucchinali si terrà ‘Il respiro e il corpo’, un momento legato alla Hatha yoga, una yoga per tutti per percepire le sensazioni, il respiro e sull’ascolto del proprio corpo. Il giorno 13 si terrà un webinar ‘Fratelli e sorelle: la sfida del coinvolgimento’ con le terapeute familiari del Centro, Chiara Carrara e Angelica Andreoli, che porteranno a riflettere sul ruolo dei fratelli di pazienti con disturbi alimentari. Dando parola anche a loro e alle loro emozioni. L’ultimo si terrà in casa di Cura il 14 marzo alle 19.30 e sarà una cena benefica insieme al laboratorio 31 Art Gallery e il ricavato andrà al CDCA per supportare nuove iniziative”.
Perché avete chiamato quest’app proprio Schiaccia DCA? A cosa serve questa applicazione? Ha aiutato qualcuno?
“L’app Sc(hi)accia DCA è una applicazione gratuita, che si trova su Google e Play App Store. Prende il nome dall’azione di premere sullo smartphone per usare un’applicazione. Inoltre se si toglie ‘HI’ diventa scaccia (DCA), per ricordare la vera intenzione del nostro lavoro, far sparire o comunque trovare un equilibrio, per tutti colore che soffrono di questa malattia. L’app è nata nell’ambito di un progetto ideato con la “fondazione Vodafone for social” nel 2015, nel 2016 poi c’è stato un finanziamento che ha permesso di crearla. Per questioni di privacy non sappiamo chi abbia chiesto aiuto, però in questi 10 anni molte persone hanno utilizzato la sezione ‘domande frequenti’ sull’app, dove la persona può interagire con i professionisti così da avere alcune risposte, chiarimenti, indicazioni. La sopravvivenza dell’app è garantita da diversi finanziamenti, tra i quali ricordiamo quelli di Fondazione Cariplo e Viva Vittoria, e durante il Covid è stata estremamente importante perché ha aiutato a connettere molte persone che facevano fatica in quel momento a trovare aiuto. Il nostro lavoro, però, non si ferma qui: continuiamo ad andare nelle scuole per diffondere consapevolezza e per parlare di questi disturbi”.
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