Stati Uniti, debiti di guerra ed Europa 1918

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L’indomani della prima guerra mondiale, oltre alle devastazioni e alle enormi perdite di vite umane, il problema comune a tutta Europa era economico per l’enorme debito accumulato. E gli Stati Uniti finanziatori a pretendere la tempestiva restituzione da vincitori e vinti, con i primi a cercare di rivalersi sugli sconfitti. L’incredibile somma di 132 miliardi di marchi oro chiesta alla Germania. E in 2 anni i miliardi di dollari Usa da restituire che da 7 diventano 11.

Guerra ‘a credito’

Tutti gli stati, al momento dello scoppio della guerra, erano convinti che le ostilità sarebbero state brevi e comunque non si sarebbero protratte oltre la fine del 1914: in realtà durarono quattro lunghi anni e lo sforzo finanziario, in misure diverse da Paese a Paese, dissestò le casse e le economie europee.
Le risorse accumulate o le riserve si esaurirono in breve tempo; le tasse, anche dove aumentarono a dismisura, si rivelarono ampiamente insufficienti; i prestiti – negoziati prima a breve termine con banche private – si trasformarono in emissione di titoli di debito pubblico e l’inflazione esplose ovunque con nuova moneta.
Un disastro perfetto che colpì tutte le economie, a parte le poche non direttamente coinvolte nella guerra come ad esempio alcuni Paesi del Sudamerica che esportarono massicciamente i loro prodotti in Europa.
Particolarmente grave alla fine della guerra si rivelò la situazione degli imperi centrali: Berlino, che deteneva anche più del settanta per cento del debito austriaco, aveva subito anche le conseguenze devastanti del blocco economico continentale, si trovò nel baratro.

Vincitori o vinti tutti debitori

Nonostante avessero vinto la guerra nemmeno Francia e Inghilterra uscirono indenni: se da una parte le due nazioni avevano comunque prestato capitali ai belligeranti dell’intesa (prima fra tutti la Russia degli zar), avevano comunque contratto debiti con gli Stati Uniti e in misura minore anche con la Svizzera. Poiché già nel 1917 la Russia era diventata insolvente, non restava che riscuotere dagli altri – che in ogni caso, anche se vincitori, erano in difficoltà – e concordare le restituzioni agli Stati Uniti.
Non senza una certa ironia – rara nelle questioni finanziarie – la Russia uscita dalla rivoluzione dichiarò di essere disposta ad onorare i debiti contratti dal regime zarista, ma non prima che gli alleati avessero pagato i danni provocati con il loro intervento militare dopo la rivoluzione.

Assistenza per i sovraindebitati

Saldo e stralcio

 

Le pretese degli Stati Uniti

Ogni paese si presentava quindi come debitore e creditore nel tempo stesso. la prima reazione degli stati europei a fronte di questa drammatica e complessa situazione fu quella di scaricare il debito sugli sconfitti, ovvero obbligarli a rifondere i cosiddetti ‘danni di guerra’ o ‘riparazioni’, ma la Germania, la grande sconfitta e debitrice per tutti, non era in grado di pagare un centesimo.
Nell’articolo 231 del trattato di Versailles, imputandole unicamente la responsabilità della guerra, si creò il fondamento giuridico per pretendere come rifusione l’incredibile somma di 132 miliardi di marchi oro, ma l’obbligo poté fare ben poco perché frattempo gli Stati Uniti presentarono il conto sugli interessi del debito maturato e sulla fornitura di armi e munizioni, navi da guerra, tabacco, materie prime, prodotti tessili e derrate alimentari. la domanda della restituzione fu accompagnata dalla precisazione americana che non esistevano garanzie o impegni collettivi contratti ‘dagli alleati’ durante la guerra, ma ogni singolo paese doveva semplicemente restituire il proprio debito.

In 2 anni i miliardi di dollari da 7 diventano 11

In tal modo le trattative furono differenziate da Paese a Paese, ma soprattutto, tra un grande e unico creditore e i singoli debitori molto più piccoli e già in difficoltà. La cifra era enorme: dal novembre 1918 alla fine del 1920 i sette miliardi di dollari dovuti erano diventati undici.
La Francia, che continuò a pretendere dai tedeschi pagamenti irragionevoli, attuò una politica di estremo rigore finanziario e riassestò la propria moneta solo nel 1928, cioè dieci anni dopo: un franco oro alla fine valeva comunque un quinto rispetto il 1914.
Anche l’Italia ebbe notevoli difficoltà, che si risolsero solo nel 1931, dopo che tra il 1922 e il 1925 il governo Mussolini (nato sulla scia di quel tragico dopoguerra) licenziò migliaia di dipendenti pubblici e ferrovieri: nel 1931 ci fu una moratoria da parte del presidente americano Hoover, ma rimase ancora una somma (il c.d. prestito Morgan) che sia pure ‘obtorto collo’ fu pagato.

Le conseguenze

La prima conseguenza fu che i principali mercati dei capitali, che prima della guerra si trovavano a Londra, trasmigrarono sull’altra sponda dell’atlantico. Non si trattò di un semplice trasloco, ma anche di una piccola catastrofe per la sterlina: durante la guerra il dollaro aveva mantenuto la sua convertibilità in oro e la sterlina, gravata dal debito pubblico, si trovò in difficoltà sui nuovi mercati.
Il ritorno alla parità provocò costi enormi in termini di disoccupazione, perdita di competitività e disavanzo commerciale. La sola voce contraria alla conversione in oro della moneta inglese si levò da John Maynard Keynes che definì l’oro «una barbara reliquia», ma rimase inascoltato e non ebbe neppure risposta la sua esortazione a non infliggere una ‘pace cartaginese’ alla Germania.

Come si vide in seguito, da questo duro trattamento per reazione si sviluppò un nazionalismo esasperato che dopo la crisi del 1929 avrebbe portato i nazisti in Germania e i fascisti in Italia al potere. Un monito, oggi. O per qualcuno una tentazione.



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