Lo scontro alla Casa Bianca tra Donald Trump e Volodymyr Zelensky: alcune considerazioni a caldo

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Di Fabio Squillante – Riporto di seguito alcune considerazioni fatte a caldo, dopo lo scontro alla Casa Bianca tra Donald Trump e Volodymyr Zelensky, evitando giudizi di merito e cercando di attenermi ai fatti:

1) Zelensky è stato portato in palma di mano dai leader occidentali per tre anni, e si è probabilmente convinto di essere un vero leader, ma non è un politico e non sembra avere la visione necessaria a reagire rapidamente ai mutamenti di scenario. Egli non ha capito chi è Trump, come negozia, e tanto meno ha capito che lo scenario geopolitico è cambiato radicalmente;

2) Trump negozia come un palazzinaro, minaccia, insulta per raggiungere il suo obiettivo: chiudere la guerra il prima possibile e stringere con la Russia un patto strategico che comprenda cooperazione economica, disarmo e collaborazione nelle aree di crisi. Egli sa che, per quanto dotata di 6 mila testate atomiche, la Russia non rappresenta un pericolo per il dominio globale Usa (ha solo 145 milioni d’abitanti – in calo costante, contro i 340 milioni degli Usa, e un Pil inferiore a quello dell’Italia: 1.872 miliardi di euro nel 2023, contro i nostri 2.128 miliardi). La Cina, invece, sì. Vladimir Putin, da parte sua, si mostra più che disponibile. Egli ricorda, come ogni russo dotato di cultura media, che nei secoli la Russia è stata invasa innumerevoli volte da Occidente: da svedesi, teutonici, polacchi, lituani, francesi, tedeschi e austriaci, anglo-americani, ancora tedeschi con italiani e romeni. Nessuno però è mai riuscito a dominare il Paese per periodi più o meno lunghi. Gli unici ad averlo fatto sono stati i tartari dell’Orda d’oro, per oltre tre secoli, ed erano, allora, i padroni della Cina. L’abbraccio con Pechino, per i russi, è stata una costrizione dovuta all’isolamento dell’Occidente. Non che ora essi rinunceranno alla cooperazione con Pechino, e tanto meno con gli altri membri del gruppo dei Brics, non è nel loro interesse, ma Putin ha sempre voluto un accordo con gli Usa, come Boris Eltsin prima di lui. Per questo ha risposto alla mano tesa di Trump proponendo alle compagnie Usa di sfruttare terre rare e alluminio russo (secondo le stime, l’Ucraina ha riserve di terre rare per 2,6 milioni di tonnellate, la Russia per 28,7 milioni);

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3) Trump vuol concentrare ogni sforzo nel contenimento dell’espansionismo cinese, usando ogni leva possibile: economica, commerciale, diplomatica, militare, d’intelligence. Nell’ordine esecutivo con cui ha stabilito la riduzione del bilancio del Pentagono dell’8 per cento annuo per 5 anni (totale quinquennio, -34,1 per cento), ha indicato che saranno risparmiati dai tagli i comandi militari in diretta competizione con i cinesi: Indo-Pacifico, Artico e Spazio. Non quelli in Europa, Medio Oriente e Africa, dove Trump, invece, vuol fare la pace (Ucraina e Gaza) o lasciare i compiti di sicurezza agli europei (Africa). Allo stesso modo, nonostante i ripetuti annunci d’incremento dei dazi a Canada, Messico ed Ue, l’unico aumento concreto, finora, è stato introdotto nei confronti delle merci cinesi: il 10 per cento cui – a detta sua – si aggiungerà un altro 10 per cento tra pochi giorni. Infine, nei confronti della Cina è stata introdotta una lunga serie di divieti d’esportazione e/o d’investimento negli Usa;

4) a fronte di questi obiettivi strategici globali, l’Ucraina, per Trump, appare assolutamente sacrificabile, perché rientra nella sfera d’influenza che egli è dispostissimo a riconoscere alla Russia. Se Zelensky non lo capirà (e sembra improbabile che lo faccia) potrebbe finire per essere spazzato via e, forse, rischiare addirittura la vita, non ad opera della “mitica” Cia, ma dei gruppi di potere ucraini più consapevoli;

5) senza il sostegno politico, finanziario, militare e d’intelligence statunitense, l’Ucraina non potrà proseguire la guerra a lungo. Gli europei non hanno una posizione unitaria, e dunque il loro sostegno concreto è tutt’altro che certo; né hanno un’industria della difesa capace di rifornire adeguatamente le truppe di Kiev. Il Paese, inoltre, soffre di un grave deficit di persone. Nell’ottobre scorso Florence Bauer, un’alta funzionaria Onu, ha dichiarato che, secondo le stime del Population Fund delle Nazioni Unite, dall’inizio della guerra la popolazione ucraina è calata da circa 40 a circa 30 milioni di persone, a causa dell’emigrazione, della riduzione della fertilità femminile e delle vittime del conflitto. Inoltre, secondo alcuni parlamentari di Kiev, circa 200 mila militari avrebbero disertato mentre, secondo altre stime, i renitenti alla leva sarebbero circa 250 mila. Le squadre di reclutatori arruolano giovani e meno giovani in strada con la forza, scontrandosi sempre più spesso con l’opposizione dei passanti. In questa situazione, è improbabile che il Paese possa resistere a lungo, e quasi certamente subirebbe l’occupazione di altre porzioni di territorio da parte russa;

6) anche gli europei dovrebbero prendere atto della nuova realtà, se non altro perché la fine della guerra in Ucraina porterà grandi benefici all’Europa. Il timore che Putin, incoraggiato dalla vittoria in Ucraina, possa attaccare la Polonia o le Repubbliche baltiche, è infondato: si tratta di Paesi Nato e un attacco scatenerebbe la risposta collettiva di tutta l’Alleanza. Certo, Mosca potrebbe rivolgere le sue attenzioni a Paesi come l’Armenia (si è progressivamente allontanata dalla Russia per avvicinarsi agli Usa) o la Moldova, ma anche qui, per Trump si tratta, evidentemente, della storica sfera d’influenza di Mosca. Va ricordato, inoltre, che Svezia e Finlandia sono intanto entrate nella Nato, la quale ora confina con la Russia per ulteriori 1.200 chilometri; che l’economia russa ha subito gravi colpi dalla guerra e dalle sanzioni, e che difficilmente Putin vorrà tentare presto nuove avventure guerresche;

7) la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, è in evidente imbarazzo per l’abbandono dell’Ucraina da parte di Trump, e per i toni da lui usati in pubblico, obiettivamente inqualificabili. Ha bisogno di tempo per operare la correzione di rotta necessaria a mantenere il (promesso) rapporto privilegiato con Trump, ma questa è l’unica strada che potrà seguire. Il fronte anti-Trump europeo è molto vocale, ma ancor più debole. La Francia ha finanze pubbliche fuori controllo e rischia di tornare al voto a giugno; l’Inghilterra è in stagnazione e il governo è già in forti difficoltà; la Spagna ha un governo di minoranza in balia degli indipendentisti catalani e baschi. La Germania di Friedrich Merz non sarà a favore di Trump, perché sarà governata da una coalizione costituita da democristiani e socialdemocratici, ma altrettanto certamente non sarà il portabandiera della lotta al presidente Usa. Dal dopoguerra in poi, il Paese è sempre stato il più influenzato in assoluto da Washington in Europa, ospita 7 basi militari statunitensi, più di ogni altro Paese europeo (l’Italia, che è il secondo per numero, ne ha 3), ed è impensabile che un Cancelliere democristiano, aldilà delle dichiarazioni rese subito dopo le elezioni, si ponga in contrasto con la Casa Bianca. In Svezia, Olanda, Finlandia, Grecia, Belgio ci sono governi di centrodestra. Meloni, così, potrà mantenere il suo ruolo con un Trump che…

8) Trump non può essere rieletto e ha quindi davanti a sé solo poco meno di 4 anni di governo. Questo è, probabilmente, il motivo principale dei suoi modi estremamente “spicci” (violenti). Sul fronte interno, non avendo potuto realizzare gran parte della sua agenda durante il primo mandato, egli ha capito che deve stabilire un effettivo controllo sull’amministrazione, anche della giustizia, pena nuovi fallimenti. Dopo di lui i Repubblicani candideranno James D. Vance il quale, come si è visto durante lo scontro nello studio ovale, si prepara già alla corsa presidenziale.

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