la seconda vita dei condannati

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Radislav Krstić continuerà a scontare la sua pena per il ruolo avuto nel genocidio di Srebrenica. Sono tanti però gli ex imputati all’Aia che oggi hanno nuovi vita e nuovi ruoli, anche in politica

«Vorrei ritrovarmi a Potočari ancora una volta nella mia vita, per inchinarmi davanti alle vittime e chiedere perdono». Le parole sono di Radislav Krstić, maggiore generale ed ex comandante del Corpo della Drina dell’esercito serbo-bosniaco, condannato a 35 anni di detenzione per favoreggiamento del genocidio di Srebrenica del 1995, che agli inizi di questo mese ha visto respingere nuovamente la sua richiesta di rilascio anticipato dal Meccanismo residuale del Tribunale penale internazionale dell’Aia.

Le motivazioni 

Secondo la giudice Graciela Gatti Santana, per quanto accolga con favore che il reo abbia riconosciuto pubblicamente il genocidio e il fatto di averne preso parte, la richiesta non può essere accolta in ragione della gravità dei crimini commessi e per la mancata rivelazione di tutte quelle informazioni che potevano dimostrarsi rilevanti per la ricerca dei corpi ancora scomparsi.

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«Va ricordato», commenta il pluripremiato regista italo-bosniaco Ado Hasanović, originario di Srebrenica e direttore creativo del Festival di cortometraggio Silver Tape, «che Radislav Krstić non è un detenuto comune: è il primo alto ufficiale dell’Esercito della Repubblica serba a essere stato condannato nel 2001 per il genocidio di Srebrenica, sebbene inizialmente si fosse difeso affermando di aver “solo eseguito ordini”.

La decisione di respingere la sua richiesta di rilascio anticipato è necessaria, poiché protegge l’integrità del sistema giudiziario e previene da una banalizzazione degli atti disumani che sono stati compiuti. Tuttavia, in un contesto in cui le élite politiche della Repubblica serba negano sistematicamente il genocidio, ogni ammissione ufficiale, anche se strategica, diventa uno strumento per combattere le menzogne.

La confessione di Krstić, seppur ambigua, diventa dunque monito contro il revisionismo storico, confermando la verità dei crimini e il ricordo delle vittime. Le sue parole, cariche di implicazioni, risuonano come un’arma contro coloro che cercano di cancellare il passato e sono particolarmente importanti per le giovani generazioni esposte alla disinformazione attraverso i sistemi educativi e i media in entità come la Repubblica serba».

Gli altri nomi 

Non è andato dunque a buon fine il tentativo di scarcerazione di uno dei protagonisti del fatto probabilmente più sanguinoso della guerra in Bosnia-Erzegovina, in cui persero la vita oltre 8mila uomini. È bene ricordare, però, che il maggiore generale Krstić rientra in quella schiera, non necessariamente maggioritaria, che ancora non è riuscita a “liberarsi” dalle condanne e dalla detenzione.

A distanza di oltre trent’anni dall’istituzione del Tribunale penale internazionale dell’Aia e a circa otto dalla sua chiusura, infatti, molti di coloro che furono processati per i crimini legati alle guerre degli anni Novanta nei paesi della ex Jugoslavia hanno potuto reinventarsi, entrando o rientrando nel mondo della politica, oppure dedicandosi a tutt’altro, come nel caso di Tihomir Blaškić, ex capo di stato maggiore dell’Hvo (il Consiglio di difesa croato).

Condannato a nove anni per «trattamento inumano e crudele», Blaškić è diventato un business development manager, ovvero un professionista esperto nello sviluppo delle opportunità di crescita delle aziende, per un’impresa informatica croata, come accuratamente riportato sul suo profilo LinkedIn.

È tornato invece nel mondo della politica, occupando anche lo scranno di deputato, Vojislav Šešelj, membro del Partito radicale serbo e condannato dalla Corte d’Appello del Tribunale penale internazionale dell’Aia a dieci anni di detenzione per crimini contro l’umanità. Dopo essere stato alla guida delle Aquile bianche durante la guerra in Bosnia-Erzegovina, Šešelj, che ha anche dichiarato di essere orgoglioso di tutti i crimini che gli vennero attribuiti, prosegue la sua carriera nella politica, non perdendo l’occasione, come del caso della trasmissione di Kurir Televizija, di ribadire che a Srebrenica avvenne, sì, un grande crimine, ma non certo un genocidio.

Vive invece a Belgrado e saluta con gioia il trentaduesimo anniversario della nascita della Republika Srpska, che ricorre ogni nove gennaio, la biologa ed ex presidente della Repubblica serba in Bosnia, Biljana Plavšić, incriminata per crimini di guerra e contro l’umanità è condannata a undici anni di detenzione.

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Quest’ultima, tra le tante dichiarazioni inquietanti che si possono cogliere dalla sua biografia, è nota per la tesi sulla superiorità della razza serba e l’inferiorità genetica degli islamici bosniaci, nonché sul fatto che gli stupri perpetrati nei confronti delle donne musulmane fossero solamente frutto della propaganda occidentale.

Chiudiamo, infine, con Ramush Haradinaj, leader del partito Alleanza per il futuro del Kosovo. L’allora comandante dell’Uck, l’esercito di liberazione, è stato accusato, poi però assolto, per crimini contro l’umanità e per la violazione delle leggi e delle consuetudini di guerra. Dopo essere stato eletto per ben due volte primo ministro, non è riuscito ad avere la meglio nell’ultima tornata elettorale, tenutasi pochi giorni fa, rimanendo sotto la soglia del’8 per cento.

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