Il Punto (di G.deTurris). Gli anglicismi e l’inquinamento dell’identità italiana

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Gli anglicismi sui media italiani

Il sindaco di Castiglion Fiorentino in provincia di Arezzo, il leghista Mario Agnelli, ha deciso con una delibera comunale di mettere al bando le parole inglesi nelle comunicazioni istituzionali, tipo Welfare o Smart working, quando si possono usare benissimo termini equivalenti italiani . L’iniziativa ha ottenuto il plauso della Crusca, il cui presidente Paolo d’Achille ha sottolineato: “È importante che le parole vengano comprese da tutti, specialmente da quelle  parte di popolazione  più anziana”.

Questa vicenda riportata in un piccolo box il 3 febbraio scorso dal Corriere della Sera è molto significativa e avrebbe meritato un maggiore risalto e un adeguati commento dato che si tratta di una questione nazionale e non esagero essendo intervenuto in merito varie volte su queste pagine e altrove.  A’accademia della Crusca è la maggiore e più importante istituzione dal punto di vista storico e di autorevolezza per quanto riguarda la lingua italiana e una nazione seria dovrebbe tenerla da conto. E quando dico un Paese serio intendo il paese istituzionale come è istituzionale il sindaco del piccolo paese toscano che ha richiamato l’attenzione dell’Accademia stessa.

Certo, anzi ovvio, l’inglese è diventata la lingua franca del mondo da un bel pezzo come una volta, molti secoli fa, lo era in latino  e tramite esso parlano tra loro persone di lingua-madre le più astruse. Però questo non vuol dire dover abdicare alle caratteristiche della propria lingua e sostituire con parole inglesi quel che in italiano esiste perfettamente e che, come ho scritto in varie occasioni, viene a sostituirlo in determinate parole semplicemente perché i mass media impongono questo prezzo, e quando dico mass media intendo soprattutto la televisione, la radio e solamente in un secondo momento la carta stampata. Insomma, non è la gente comune che di punto in bianco comincia ad usare termini inglesi al posto di quelli italiani, ma vengono loro inculcati dall’alto.

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Caso veramente esemplificativo su come un termine inglese si impone su quello italiano è lockdown che spiega bene il meccanismo di  sostituzione.

Il lessico della pandemia

Quando il 3 settembre  2020 il governo Conte, a causa della pandemia mondiale prodotta dal Covid-19 decretò drastiche misure imponendo la quarantena, variamente detta anche coprifuoco, confinamento, blocco totale, chiusura generale, della popolazione con la gente chiusa in casa che per uscire doveva indossare la mascherina ed avere permessi per muoversi, il termine lockdown era sconosciuto. Fu poi subito usato dai media per sostituire i termini italiani quando la pandemia esplose nei Paesi di lingua inglese e il termine lockdown , inteso appunto come blocco e chiusura totale, venne usato dai corrispondenti esteri specie delle TV e immediatamente importato dai nostri mass media. Il conformismo linguistico e il condizionamento culturale sono la spiegazione. Altrimenti perché prima no e poi sì?

Il ruolo del Tg

I telegiornali non sono certo una “comunicazione istituzionale” come quelle per cui ha emesso il suo provvedimento il sindaco toscano, ma certo sono qualche cosa di assai diffuso e che influenza il pubblico molto più della carta stampata, e a cui la gente fa affidamento, e come una volta si diceva per avvalorare la verità di qualcosa “ma  l’ha detto la radio”, “ma l’ha detto il giornale”, oggi si afferma “ma l’ha detto la televisione”,  e allora perché siamo costretti a sentire dai telegiornali i conduttori o più spesso le conduttrici che usano il termine sold out per dire che una partita di calcio o di tennis o uno spettacolo musicale e simili sono un tutto esaurito? che necessità c’è? Per far sì che la notizia sembri più importante? Oppure spesso si sente il termine report che ovviamente sta per rapporto, resoconto, bene per quale motivo non si può usare la parola italiana? Forse per farla sembrare più autorevole Quella inglese nell’ambito della notizia che si riferisce? E’ un piccolo mistero. Oppure forse non si tratta semplicemente, come ho detto, di banale conformismo linguistico che si potrebbe benissimo evitare… Ma qui dovrebbe intervenire non certo l’Accademia della Crusca (che comunque potrebbe sempre esprimere la sua autorevole opinione in merito) quanto semplicemente il direttore della testata con un ordine di servizio raccomandando ai suoi giornalisti  di evitare queste sciocchezze e di parlare una lingua corretta e non inquinata. Non lo farà nessuno perché una simile iniziativa potrebbe sembrare autoritaria… oppure potrebbero intervenire, se ne avessero voglia, coraggio e ritenessero la questione importante e non una sciocchezza, il direttore generale, l’amministratore delegato o perfino il consiglio di amministrazione ed emanare una circolare in cui si facessero presenti questi inquinamenti linguistici. Però anche qui chi li trattiene dal fare una cosa simile? o il considerare il problema del tutto minore e poco importante, oppure il contrario: pensare che un’iniziativa del genere sia appunto considerata contraria alla libertà di espressione dei singoli giornalisti. Senza considerare che a rimetterci è semplicemente la lingua di questa nazione, del paese che loro rappresentano sul piccolo schermo, “Il Bel Paese dove il  sì suona”.

 O forse il Bel Paese  dove lo yes suona.

“Esagerato!”, dirà qualcuno. Forse lo sono, però è dalle piccole cose che nascono le grandi modifiche di costume, di modo di fare, di atteggiamento di porsi verso l’esterno

L’Accademia della Crusca

Dante e gli anglicismi

E magari l’Accademia della Crusca che tutela la lingua italiana potrebbe anche dire la sua ….  non solo in questa occasione ma molto più spesso per segnalare cerche schifezze linguistiche, altrimenti che ci sta a fare? Se non lo fa la Crusca però lo ha fatto indirettamente un illustre linguista, Giuseppe Antonelli,  affermando che l’italiano è la lingua più bella del mondo. E la lingua è una delle forme che costituiscono una nazione, che la fanno quella che è, che la distinguono dalle altre, al di là della lingua franca dominante nell’orbe terraqueo. Se disprezziamo la nostra lingua, che nazione siamo? Se la inquiniamo inutilmente  che nazione  siano?

Il Bel Paese dove lo yes suona…

Gianfranco de Turris

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