Elon Musk novello Zapparoni. Ri-Leggere Ernst Jünger per capire il presente – La letteratura e noi

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Nelle settimane che hanno preceduto le elezioni presidenziali americane, un banale quanto sintomatico evento mi poneva nella condizione per rileggere uno dei classici della letteratura distopica e praticare un’esperienza culturale che, solo dopo il cinque novembre scorso, avrebbe manifestato tutta la sua urgenza e la sua portata.  Tale esperienza mi sembra ora determinante per orientarsi in questo nuovo “eone” della storia, iniziato a partire dall’insediamento del neoeletto presidente americano e della sua singolare compagine di governo.

L’episodio in classe

In classe faticosamente tentavo di dirigere una discussione sul ruolo e l’importanza sociale che gli individui rivestono nel corso dei tempi; lo scopo era quello di far convergere elementi di educazione civica, di storia e di filosofia per permettere ai miei studenti di osservare, con il giusto distacco critico, le figure storiche che di volta in volta studiamo. La discussione, sollecitata dagli alunni, scivola immediatamente sull’importanza dei social nella nostra epoca, più in generale sulla generazione zeta e sul loro rapporto con il digitale.

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Uno dei mie malcapitati studenti ha allora l’ardire di citare come esempio di individuo “importante” nella nostra epoca Elon Musk, dicendomi: «di sicuro prof. Elon Musk è una persona importante perché ricco e perché è un genio!».

Rispondendo all’intervento cerco di far notare che lo scopo del lavoro che stavamo svolgendo consisteva proprio nel non dare nulla per scontato, in special modo nell’esprimere giudizi tanto assertori; Sottolineo che è sempre opportuno non ricevere acriticamente informazioni che provengono, quasi sempre, da mezzi di informazione orientati in senso propagandistico e non al perseguimento di una verità storica, filosofica o scientifica. Ogni informazione va vagliata dalla ragione!

Lo studente allora obietta, corroborato dallo sguardo compiaciuto del resto della classe, che discutere dell’importanza di Elon Musk è un’ovvietà perché essendo l’uomo più ricco del mondo è sicuramente un individuo ritenuto da “tutti” importante e sottolinea, con un’inflessione tra il canzonatorio e l’indulgente, l’espressione “tutti”. Inoltre, aggiunge, sono gli stessi social ad attestarcene la genialità.

Il corto circuito è ai miei occhi totale. Il testa coda troppo evidente per continuare stoicamente ad incassare. Ricopro un ruolo di natura pedagogica, ho il compito di mettere in pratica tutti gli strumenti a mia disposizione per far sorgere negli studenti qualche dubbio circa l’inevitabilità delle loro opinioni, perché queste stesse “opinioni” troppo spesso non sono affatto le loro.

Ne segue una, noiosa e forse a tratti boriosa, lezione frontale sul tema della “timocrazia” e della “oligarchia” nella tradizione greca e una lunga analisi del concetto di “genio” e genialità nella cultura occidentale tra: filosofia, arte e scienza. E come se non bastasse, rincaro la dose con una filippica sul senso dell’importanza che con il nostro agire possiamo avere nella società civile, anche noi persone comuni e, per concludere, mi lancio in un sentito elogio di tutte quelle donne e quegli uomini coinvolti attivamente nel sociale e nel terzo settore, lontani dalle luci della ribalta, impegnati ad aiutare il prossimo che si trova in situazioni di difficoltà. Loro sì che sono persone “importanti”, concludo!

Il fatale incontro

Nel pomeriggio dello stesso giorno e ancor di più all’approssimarsi del fatidico cinque novembre, tuttavia l’eco della discussione avvenuta nell’aula di uno sperduto liceo di paese della provincia italiana continuava ancora a risuonare in me. Passeggiando ansiosamente nel mio studio, d’un tratto mi fermo di fronte ad uno degli scaffali, alzo la testa e lo sguardo mi cade su un libro, attratto dal contrasto tra il caldo color miele dei caratteri e il cupo nero del dorso. Ma il collegamento che in me si è prodotto inconsciamente in quel momento si concretizza solo alcuni giorni dopo.

Intanto gli americani eleggono per la seconda volta Donald Trump e a partire dal sei novembre irrompe, ora anche sulla scena della politica italiana, la figura del capitalista delle big tech Elon Musk; in un profluvio di analisi, di dichiarazioni, tutti sembrano essersi accorti di questo fenomeno, tutti hanno qualcosa da dire, tutti si impegnano ora in riflessioni inevitabili quanto necessarie.

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Lo stesso Musk, nelle settimane successive, sembra fare del tutto per imperversare nel dibattito pubblico italiano e dalla discussione estemporanea tenuta in classe alle analisi che si affastellano in tv e sugli organi di stampa italiani ed internazionali, mi sento oramai accerchiato. Pare non sia possibile vivere in questa epoca senza avere un’idea chiara su chi e cosa sia Elon Musk. Ed ecco che appena alla mia coscienza appare evidente questa necessità, mi balenano alla mente le lettere color del miele che avevo letto sul dorso del volume tutto nero, presente nella mia libreria: Le Api di vetro di Ernest Jünger. Su questo libro si era posato il mio sguardo distratto. Perché? Quale necessità legava la politica americana, Elon Musk e il romanzo di Jünger? Occorreva rileggerlo. Due giorni di immersione in un testo che scuote lo spirito e ci consente di guardare il nostro tempo in tutta la sua grandezza e in tutta la sua miseria. Dalla lettura esco convinto che nessun saggio e nessun articolo possa meglio del testo jüngeriano descrivere:

– quale è la relazione nel mondo attuale tra l’uomo e la tecnica (con buona pace di Stiegler, Simondon, Deleuze, Derrida, Heidegger e via dicendo);

– quale è la condizione di tutti coloro che (come chi scrive) appartengono ad un’altra epoca della tecnica e si trovano a vivere nella temperie del digitale, attraversandola in forma luttuosa e al tempo stesso in modo altrettanto terrificato;

– chi è Elon Musk.

Il titano della tecnica

Proprio su quest’ultimo punto la rilettura del testo jüngeriano diventa rivelatrice. Elon Musk non è altri che il coprotagonista del nostro romanzo distopico incarnato dalla figura dell’industriale della robotica: Zapparoni. Riga dopo riga, pagina dopo pagina la figura di uno dei due protagonisti del romanzo il visionario industriale Zapparoni si presta sorprendentemente bene come elemento di confronto per capire che sia oggi, per noi, l’emblematico Musk.

Egli è un novello Zapparoni (il cognome “mediterraneo” per dirla con l’espressione jüngeriana rivela un’ironia sferzante da parte dell’autore tedesco sull’origine “meridionale” di questo individuo). L’illuminazione arriva subito, nelle prime pagine, quando Jünger con sconvolgente semplicità spiega perché un adolescente di un paesino della provincia italiana debba ritenere Musk oggi un genio, perchè:«essere sfruttati un giorno da Zapparoni (leggi Musk), era il sogno di tutti i giovani appassionati della tecnica»[1].

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Nel romanzo le pagine che fanno da preludio all’incontro tra il vero protagonista l’ex Maggiore Richard e Zapparoni contribuiscono alla crescita dell’aura e dell’alone di mistero che avvolge la figura del titano della tecnica. Ne emerge la sensazione che per tutti i contemporanei di Zapparoni, per coloro che si trovavano a vivere in quest’epoca della robotica, lavorare alle sue dipendenze sarebbe stato un sogno; una tappa obbligata e al tempo stesso desiderata perché «purtroppo non cerano ancora robot capaci di produrre altri robot. Sarebbe stata questa la pietra filosofale, la quadratura del cerchio»[2]. Ecco perché Musk come Zapparoni incarna la visione di una tecnologica in grado di plasmare il mondo, ma con quali finalità e con quali limiti?

Zapparoni esemplifica il dominio spersonalizzante che la tecnica è in grado di praticare ai danni del singolo. Egli vuole realizzare un mondo in cui la tecnologia sottragga l’umano alla fatica, alla guerra e alla sofferenza, ma ci avverte Jünger tutto questo ha un prezzo.

Nelle sue fabbriche, infatti, gli esseri umani sono ridotti a mere funzioni, vengono monitorati, controllati e sorvegliati. Questo è il volto oscuro della tecnica poiché con i suoi robot, impeccabili, instancabili, miniaturizzati e trasparenti (come le api del titolo) egli è impegnato a sedurre i giovani e ad ammaliare le masse perché in lui la «tecnica tendeva semplicemente verso le cose piacevoli»[3]. Una specie di imbonitore da fiera, un illusionista da avanspettacolo o un alchimista medievale? Per mezzo delle sue aziende egli rendeva possibile il   «vecchio desiderio dei maghi di mutare il mondo in un attimo»[4].

L’uomo è inattuale

Il testo di Jünger seguendo una scansione diaristica ricostruisce un episodio in particolare della vita del Maggiore Richard. Lo stesso protagonista, in prima persona, narra gli eventi che anticipano il cuore del romanzo ovverosia l’incontro con il titano Zapparoni. La scrittura si alterna dal saggistico alla cronaca passando per momenti e tratti allucinatori.

In queste pagine il protagonista con la sua storia militare esemplifica un’intera generazione in cui assistere ad una lacerazione tra passato e presente. Richard era stato educato negli ideali militari, nella tradizione “cavalleresca” ma vive il trauma di un presente in cui tale atteggiamento intellettuale lo rende inattuale. La vita gli appare come una forma di umiliazione interiore per un uomo del suo “rango”; inoltre, egli non può fare a meno di essere consapevole del degrado della società automatizzata che lo circonda, degrado nel quale con le proprie miserie personali egli stesso viene risucchiato, costretto per “motivi di lavoro” ad avere un incontro con il misterioso Zapparoni.

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Il romanzo quindi ci prospetta una dicotomia tra: Richard, il superstite di un tempo che fu e Zapparoni, l’araldo della nuova era in cui gli uomini «venivano sostituiti da automi. La loro sostituzione corrispondeva a un mutamento negli uomini, che diventavano più meccanici, più calcolabili, tanto che spesso non si aveva più nemmeno la sensazione di trovarsi tra uomini»[5].

Nell’incontro-scontro tra i due si consuma tutto il cuore del romanzo per mezzo del quale Jünger diagnostica un futuro in cui l’uomo perderà la propria essenza nella perfezione tecnologica. L’ambivalente immagine delle api di vetro seduce e spaventa. Esse sono allo stesso tempo l’esemplificazione della condizione dell’uomo nell’epoca del dominio della tecnica jüngeriana e del digitale contemporaneo, sono il richiamo alla trasparenza[6] e alla sorveglianza continua a cui la tecnica e il digitale ci sottopongono e, al contempo, sono il disperato ed illusorio rimando ad una perfezione “ingegneristica” insita nella natura. Vere e proprie «contraffazioni di insetti dediti al lavoro collettivo e insieme connessi all’idillio, quindi per eccellenza naturali, esse, pura materia eterodiretta, rendono finalmente tangibile una sfera atemporale … una visione ottimistica»[7], ma proprio dietro il laborioso insetto ama celarsi Zapparoni. L’apparenza quindi inganna. Richard osserva con l’attenzione dell’entomologo le api di vetro e ne coglie la pericolosità tanto da essere atterrito dalla presenza di tali automi. Essi sono, ai suoi occhi, la dichiarazione che l’uomo per Zapparoni è destinato all’inattualità.

Musk e noi

In pagine severe ed essenziali il romanzo ricostruisce e analizza lo strapotere della tecnica, tratteggia metodicamente la relazione che con essa intratteniamo. Una relazione bicefala: Zapparoni/Musk e la tecnologia da un lato, Richard/noi e la tecnologia dall’altro.

«V’è chi prevede che la tecnica un giorno sboccherà in pura magia; dunque, tutto ciò a cui ora partecipiamo sarebbe soltanto un inizio … Segnali luminosi o parole, basteranno, anzi basterà il pensiero»[8]. Un pensiero che non può più avere alcuna limitazione data dalla natura, perché per Zapparoni come per Musk «la natura non basta né per bellezza né per logica»[9] e bisogna superarla.

I titani della tecnica con stili e modi differenti perseguono il medesimo obiettivo andare oltre la natura, poiché di fatto lo stesso concetto di natura è controverso e “artificiale”. Perché mai essa dovrebbe bastare? Personaggi visionari come Musk e Zapparoni immaginano un mondo nuovo. Rivoluzionare la mobilità, dal cavallo all’automobile, dall’auto a combustione alla mobilità elettrica, replicare la natura per mezzo di automi che simulano piante e animali o forse colonizzare Marte; e persino controllare l’umanità per mezzo di minuscoli automi volanti oppure integrare cervello e macchina attraverso Neuralink.

Ma da soli tale impresa non avrebbe l’eco desiderata, essa sarebbe preclusa anche al genio di un Leonardo e allora si ha bisogno di “complici” o di quelli che Jünger chiama, con il massimo del disprezzo possibile, i “ladri di cavalli”, con cui poter condividere il reato.

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«E’ un fatto degno di nota … un uomo per quanto disponga di tanti appigli legali è pur sempre costretto per eseguire i suoi piani a ricorrere a vie traverse. Lo spazio giuridico sia piccolo o grande, confina sempre con l’illegale. Il confine si sposta con le prerogative»[10] è perciò che il grande Zapparoni ha bisogno di un complice che vada a “rubare cavalli con lui”, è perciò che Zapparoni è costretto ad offrire un lavoro all’ex Maggiore Richard. Ma se questi ha bisogno di un ex ufficiale, allora Musk ha bisogno di noi per ri-orientare la nostra volontà verso scopi nuovi da far balenare come desideri o meglio ancora come necessità collettive. Poiché una «volontà, anche buona, che si nutre del passato e non trova terreno nel presente, è condanna all’impotenza»[11], al contrario una volontà perversa e demoniaca ma proiettata nel futuro conquista proseliti.

Musk e Zapparoni incarnano lo spirito presente dei tempi come cavalli di parata, sono icone «dell’ottimismo tecnico che domina i nostri più eminenti intelletti»[12], e «nel Regno della tecnica, la tecnica diventa magia e non avvinceva tanto per il suo valore economico … quanto per la parte del divertimento … siamo presi in un gioco (in una rete diremmo noi oggi), anzi in una danza dello spirito, che nessuna arte del calcolo può afferrare».[13]. Nel vortice della tecnica, agli occhi dell’ex Maggiore di cavalleria, abituato al diritto e all’onore di un epoca militarmente oramai tramontata, la terra appare minacciata poiché uomini di tal fatta operano come sciamani, come santoni che durante i tempi di pace: «preparano veleni che prima non si sospettava neppure, che non erano nemmeno conosciuti per nome»[14]; a questi spiriti non bastano i successi personali, non bastano le ricchezze accumulate, come novelli Caligola pretendono di assurgere ad onori divini. Essi che «hanno minacciato e mutato la nostra vita in modo così allarmante e imprevedibile, non sono contenti dello scatenamento e del dominio di immense forze e della fama, della potenza, della ricchezza … Perché vogliono ad ogni costo essere santi?»[15]. Questo si chiede retoricamente l’ex Maggiore Richard. Perché l’uomo più ricco del mondo, ci chiediamo noi, vuole ora essere anche uno dei dominus della politica mondiale? Perché ha bisogno di farlo in forma così “trasparente”? La risposta nel testo di Jünger è di matrice hegeliana, essa scaturisce da una necessità dialettica «ciascuna fase della lotta tra potenze contiene un insegnamento, che conduce oltre l’intenzione dei due avversari e accenna così ad una partecipazione più alta»[16]. All’interno del rapporto tra l’uomo e la tecnica questa tensione risulta necessaria per determinare ad un livello superiore, e per Jünger preliminare, che cosa sia la Scienza. «Se la Scienza deve essere potenza, bisogna sapere, per cominciare, che cosa sia la scienza»[17]. Il vero problema della discussione epistemologica contemporanea è rappresentato da questa sovrapposizione in cui indebitamente: tecnologia, tecnica e scienza tendono a confondersi, generando fraintendimenti anche tra spiriti dotati delle migliori intenzioni. Forse con la sfrontatezza e il coraggio di Jünger occorrerebbe sostenere che nulla della tecnica attuale ha a che fare con la Scienza, che la Tecnologia di Musk e di tutta la cosiddetta epoca digitale altro non sono che l’espressione della potenza della tecnica stessa, della sua insita volontà di potenza che machinicamente oltrepassa gli stessi protagonisti di questa singolare epoca storica.

Alla fine del romanzo chiosa l’ex Maggiore: «Ben presto quel che mi era capitato nel giardino di Zapparoni cominciò a sbiadire»[18] e così accadrà anche alle attuali generazioni perché «nella tecnica molto è illusione»[19]. Ma fino ad allora, senza alcuna illusione, ci tocca riconoscere che oggi «quasi tutti invece di dominare gli strumenti ne sono dominati. Per lui (Zapparoni) era un gioco. Egli aveva conquistato i fanciulli (ovverosia tutti i nostri studenti) che sognavano di lui con i fuochi d’artificio della propaganda. Dietro ai panegirici degli scrivani prezzolati c’era qualcos’altro. Anche come ciarlatano era grande … È una gran bella cosa quando viene uno e ci dice: “giocheremo la partita insieme, penso io ad organizzarla”»[20].

In tal senso il testo di Jünger tratteggia la nostra condizione non solo come quella di “semplici” vittime della tecnologia ma anzi suggerisce la connessione tra desiderio e necessità, tra bisogni psicologici individuali e necessità psicologiche collettive. Il medium digitale per sua stessa natura ha trasformato la comunicazione trasferendola dal pubblico al privato e portando in trasparenza il privato. Questo ha determinato il capovolgimento anche delle dinamiche dei bisogni e dei desideri, imponendo sulla scena pubblica bisogni e desideri privati. Ecco spiegato perché Musk opera sulla scena pubblica ed ha necessità della sfera pubblica, mentre il titano di Jünger agisce nell’ombra. Musk desidera in pubblico perché non ha privato, anzi meglio desidera in privato perché è il suo pubblico. «Allo sciame digitale manca l’anima della folla o lo spirito della folla: gli individui che si uniscono in uno sciame non sviluppano un Noi»[21].

Manca la possibilità di costituire una coscienza di “classe” poiché, nella condizione attuale, anche chi domina rappresenta il capitalismo della sorveglianza[22] che rende «possibile uno sfruttamento senza dominio»[23]. L’assenza del dominio è stata generata in epoca digitale dall’aver concesso (a volte volontariamente altre volte involontariamente) alla tecnologia e quindi ai novelli Zapparoni l’espropriazione dei dati e delle informazioni che permettono la nostra targhettizzazione. Attraverso l’analisi dei Big data, lo sviluppo di modelli di comportamento e la profilazione individualizzata degli utenti, la società entra in nuovo eone della sua storia in cui dal potere tecnocratico del titanico Zapparoni si transita all’epoca dello psicopotere di “uomini” come Elon Musk.


[1] Ernst Jünger, Le api di vetro, Guanda, Milano 2020, pg. 17

[2] Idem, pg. 16. Per noi che stiamo imparando a familiarizzare con l’intelligenza artificiale queste ultime parole sembrano ancor più profetiche.

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[3] Idem, pg. 240

[4] Ibidem

[5] Idem, pg. 239-240

[6] Cfr. B.C. Han, La società della trasparenza, Nottetempo, Milano 2014

[7] E. Jünger, Op. cit, pg. 242

[8] Idem, pg. 47

[9] Idem, pg. 48

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[10] Idem, pg. 63-64

[11] Idem, pg. 76

[12] Idem, pg. 102

[13] Idem, pg. 146

[14] Idem, pg. 106

[15] Idem, pg. 104

[16] Idem, pg. 171

[17] Idem, pg. 107

[18] Idem, pg. 225

[19] Ibidem

[20] Idem, pg. 224

[21] B.C. Han, Nello Sciame, Nottetempo, Milano 2015, pg. 22

[22] Cfr. S. Zuboff, Il capitalismo della sorveglianza, Luiss, Roma 2023

[23] B.C. Han, Nello Sciame, pg. 27



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