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Le politiche di Diversità, Equità e Inclusione (DEI), (quelle che all’interno delle aziende e organizzazioni affrontare le barriere sistemiche che storicamente penalizzano le persone più emarginate, fragili, diverse), negli Stati Uniti hanno subito notevoli cambiamenti negli ultimi anni, con alti e bassi, ma con l’amministrazione Trump si è giunti allo smantellamento totale: tra i primi ordini esecutivi, ci sono stati quelli che hanno cancellato decenni di politiche e standard governativi sulla diversità e le pari opportunità nelle amministrazioni pubbliche americane.
Le agenzie federali sono state anche invitate a fare accertameti sulle politiche DEI delle imprese e incoraggiare le aziende private a porre fine a quelle che considera “discriminazioni e preferenze illegali” : di fatto le aziende che dipendono da contratti federali sono minacciate di perdere questi contratti se non si allineano alle politiche dell’amministrazione Trump.
Perciò si sta assistendo alla retromarcia su queste politiche da parte di grandi aziende, ad esempio Microsoft, Meta (facebook), Amazon, Google, McDonald, Zoom, Harley Davidson, Deloitte, Accenture.
Per influenzare le politiche aziendali su questo tema, l’amministrazione ha messo in campo anche un organismo, il centro nazionale per la ricerca sulle politiche pubbliche National Center for Public Policy Research (un centro studi conservatore) che ha ‘suggerito’ anche alla Apple di abolire i programmi di diversità, equità e inclusione (DEI) e i suoi obiettivi in questa direzione, poichè espone l’azienda ad azioni legali, in violazione della Equal Protection Clause introdotta nel 1868 per garantire pari trattamento a tutti i cittadini. Secondo l’organismo, le politiche DEI favorirebbero alcune minoranze, e se i dipendenti esclusi avviassero una causa vincente, i costi per Apple potrebbero arrivare a decine di miliardi di dollari, si legge nel documento depositato presso la SEC.
Il voto schiacciante degli azionisti Apple
Durante l’assemblea annuale del 25 febbraio, gli azionisti di Apple hanno respinto in maniera quasi unanime questa proposta con il voto contrario del 97% dei votanti.
Il management di Apple aveva precedentemente raccomandato il voto contrario nei documenti di delega, argomentando che tale proposta avrebbe indebitamente ristretto l’autonomia dell’azienda nella gestione delle operazioni quotidiane, delle politiche del personale e delle strategie di business.
Qui di seguito uno stralcio dalle raccomandazioni Apple ai suoi azionisti da cui emerge la fermezza della cultura aziendale della società fondata da Steve Jobs, che rimanda al mittente senza mezzi termini il tentativo di intromissione della NCPPR nella sua gestione aziendale.
“In Apple crediamo che il modo in cui ci comportiamo sia fondamentale per il successo di Apple quanto la realizzazione dei migliori prodotti al mondo. Cerchiamo di condurre gli affari in modo etico, onesto e in conformità con le leggi e le normative vigenti, e le nostre politiche di condotta e conformità aziendale sono fondamentali per il nostro modo di lavorare. E ci sforziamo di creare una cultura di appartenenza in cui tutti possano dare il meglio di sé.
La proposta non è necessaria in quanto Apple dispone già di un programma di conformità ben consolidato. La proposta tenta inoltre, in modo inappropriato, di limitare la capacità di Apple di gestire le proprie operazioni commerciali ordinarie, le persone, i team e le strategie aziendali. Apple è un datore di lavoro con pari opportunità e non opera discriminazioni nel reclutamento, nell’assunzione, nella formazione o nella promozione per qualsiasi motivo protetto dalla legge. Apple cerca di operare in conformità con le leggi vigenti in materia di non discriminazione, sia negli Stati Uniti sia nelle altre numerose giurisdizioni in cui opera, e a questo proposito monitora ed evolve le proprie pratiche, politiche e obiettivi in modo appropriato per affrontare i rischi di conformità. La proposta cerca inopportunamente di microgestire i programmi e le politiche dell’azienda suggerendo uno specifico strumento di conformità legale“.
Apple non è l’unica azienda che si è distinta in questa fermezza, lo stesso ha fatto McKinsey, Costco, Coca-Cola.
Le reazioni: Trump e Cook
Dopo la schiacciante approvazione da parte degli azionisti Apple a favore delle iniziative DEI, Trump non ha potuto fare a meno di criticare apertamente il colosso tecnologico. Sul suo social network Truth Social ha scritto: “Apple dovrebbe eliminare le regole DEI, non solo modificarle. Il DEI è stata una truffa che ha danneggiato il nostro Paese. Il DEI è finito!“.
Tim Cook, Ceo di Apple, dopo l’assemblea degli azionisti ha difeso e precisato la posizione dell’azienda:
“Con l’evolversi del panorama legale su questo tema, potremmo dover apportare alcune modifiche per conformarci, ma la nostra stella polare della dignità e del rispetto per tutti e il nostro lavoro a tal fine non vacilleranno mai”, ha spiegato.
“Continueremo a lavorare insieme per creare una cultura di appartenenza in cui tutti possano dare il meglio di sé”.
Sicuramente questa posizione indipendente di Apple è di ispirazione per molte altre aziende e influenzerà le relazioni con la Casa Bianca, ma Trump non potrà ignorare che la società tecnologica ha appena annunciato un investimento di 500 miliardi di dollari negli Stati Uniti per la creazione di 20mila posti di lavoro. Secondo le politiche DEI dell’azienda.
Le origini del dissenso verso le iniziative DEI
Le resistenze alle politiche di Diversità, Equità e Inclusione (DEI) emergono tipicamente da membri di gruppi socialmente dominanti che detengono un accesso privilegiato a potere e risorse. Questi includono, in vari contesti, persone bianche in Nord America, uomini nelle società patriarcali, o persone eterosessuali in culture etero-normative.
Per questi individui, le iniziative DEI possono rappresentare una minaccia percepita perché:
- Evidenziano disuguaglianze strutturali precedentemente invisibili o normalizzate
- Mettono in discussione concetti apparentemente neutrali come merito, equità e oggettività
- Sfidano l’attuale distribuzione di potere e privilegi
Quando una persona si identifica fortemente con un gruppo dominante, può interpretare politiche volte a bilanciare le opportunità come un attacco diretto, una minaccia, alla propria identità sociale.
Un esempio concreto: quando un’organizzazione implementa misure per aumentare la rappresentanza femminile nelle posizioni dirigenziali, alcuni uomini potrebbero percepirla come discriminazione inversa piuttosto che come correzione di disequilibri esistenti. Le loro reazioni—che spaziano dallo scetticismo alla resistenza attiva—sono risposte difensive a ciò che viene vissuto come una minaccia al proprio status o alla propria identità professionale.
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