Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Per una ventina di giorni pubblichiamo ampi stralci della sentenza in rito abbreviato dell’inchiesta Gotha del 2006, quando a Palermo finiscono in carcere vecchi boss e nuove leve due mesi dopo l’arresto di Provenzano Bernardo.
Avvistamenti sospetti, frequentazioni pericolose, pregiudicati che iniziano a collaborare con la giustizia. Nell’autunno del 2004, la Squadra Mobile di Palermo è ormai sulla tracce del “fantasma di Corleone”. Ore e ore di pedinamenti, intercettazioni, interrogatori, appostamenti. Il cerchio si sta stringendo su Bernardo Provenzano.
Nel mirino sono quelli che gli permettono di essere inafferrabile e invisibile. Sono i complici della cosca di Villabate. Più di altri Francesco Pastoia e Nicola Mandalà, figlio di Antonio Mandalà.
Nicola è monitorato ventiquattro ore su ventiquattro. Nel 2003 aveva compiuto la missione più importante della sua vita da mafioso. Il boss corleonese è malato. Si muove a fatica. Ha seri problemi di circolazione e deve sottoporsi ad un intervento chirurgico per scongiurare un tumore alla prostata. Potrebbe ricoverarsi in una delle cliniche della provincia di Palermo dove ha tanti “amici”. Ma la soluzione più facile non è anche la più prudente. Come tante altre volte, la latitanza di Binnu è in pericolo.
Nicola Mandalà si “mette a disposizione”. Si offre di accompagnarlo a Marsiglia. Si presta a creare le condizioni per non destare sospetti nelle forze dell’ordine. Convince il consulente del sindaco di Villabate a confezionare un documento falso da mettere a disposizione del “fantasma”.
Quel consulente è Francesco Campanella, un amico intimo di Nicola. Lo confesserà lui stesso, aggiungendo che pure in altre occasioni si era reso disponibile ad assecondare i desiderata dei mafiosi di Villabate, naturalmente senza discutere. In cambio aveva ricevuto vantaggi economici e incarichi politici.
Sulle orme di Nicola Mandalà i poliziotti incrociano i destini di Antonino Rotolo, vecchia conoscenza della Cosa Nostra di Totò Riina. Nel rapporto del 18 settembre 2004, la polizia annota incontri frequenti tra Nicola Mandalà e Giovanni Nicchi. Più volte Nicchi, ventenne e figlio di un pregiudicato per fatti di mafia, è stato visto mentre entra nel residence di via Michelangelo. All’interno di quel residence c’è una villetta dove Rotolo sta scontando la sua detenzione domiciliare.
La polizia tiene sotto controllo la villetta. Nel gennaio 2005, scatta l’operazione “Grande mandamento”. Nicola Mandalà e Francesco Pastoia sono catturati, e insieme a loro anche Mario Cusimano. Mario è un accolito della cosca di Villabate molto vicino a Nicola, “vuota il sacco” immediatamente. Parla di Mandalà e dei suoi traffici con Rotolo per il tramite di Nicchi.
Le forze dell’ordine, allora, intensificano i servizi di osservazione.
Notano che il residence di viale Michelangelo è frequentato non solo da Nicchi. Paiono sospette le visite di Antonino Cinà, già medico di Riina Salvatore, e Francesco Bonura, condannato nel primo maxi processo a Cosa Nostra per avere fatto parte della cosca di Uditore, una articolazione del mandamento di Passo di Rigano. Si decide di intercettare Cinà e Bonura, nei locali dell’immobiliare Raffaello in via Catania a Palermo. La polizia scopre che costoro tramano con altri pregiudicati e nei loro discorsi coinvolgono sempre Nino Rotolo. A quel punto, è fondamentale sapere cosa succede nel “covo” di viale Michelangelo. Solo in quel modo si può entrare nei meandri della Cosa Nostra di oggi. Capirne l’attuale struttura organizzativa, i progetti criminali di imminente realizzazione, i legami con il “passato”.
Antonino Rotolo è da sempre del “partito” di Riina. Proviene dal mandamento di Pagliarelli. E’ un “protagonista” della guerra di mafia degli anni 1979-1982. I pentiti lo descrivono come killer spietato. Fa parte del gruppo di coloro che nell’aprile del 1981 crivella di colpi arma da fuoco il leader della fazione palermitana Stefano Bontate, eminenza indiscussa in Cosa Nostra che aveva trovato nelle logge massoniche coperte un terreno di incontro con partner del mondo della politica e della economia.
Quell’agguato rappresenta una svolta per gli equilibri interni della associazione. E’ decisivo per l’avvento al potere del “capo dei capi”, Riina.
E Rotolo non fa mancare il suo contributo.
Ma la sua carriera mafiosa non finisce lì. È costellata da una miriade di azioni sanguinose, come affermano i giudici della corte di assise di Palermo con la sentenza che ricostruisce la “mattanza corleonese” degli anni ottanta.
Sono ruggenti i primi anni ottanta. Sangue nelle strade e grandi affari con la droga. Il boss di Pagliarelli è legato a doppio filo a Pippo Calò (assieme al quale sarà arrestato nel marzo del 1985), un cassiere della mafia che fa affari anche con la Banda della Magliana. I due sono al centro di un
gigantesco traffico internazionale di stupefacenti, come ricorda Tommaso Buscetta. L’attivismo di Rotolo culmina nell’acquisto di circa due tonnellate di morfina base dal turco Mussululu. Il costo dell’investimento è di circa 55 milioni di dollari. Il tutto si tradurrà, dopo la raffinazione nei laboratori siciliani, in un introito che accresce a dismisura la potenza finanziaria della mafia, ponendola al centro della scena internazionale.
Cosa Nostra aveva riciclato le vie del contrabbando di tabacco, in combutta con i camorristi dei clan Zaza, Nuvoletta e Bardellino, trasformandole nel circuito del narcotraffico.
Rotolo ha rapporti anche con Paul Waridel, uno svizzero di origine turca direttamente coinvolto nel traffico dell’eroina destinata ai siciliani.
Ma quando Waridel viene arrestato a Lugano nel 1984 decide di collaborare con la giustizia. Riferisce nei dettagli le tappe del circuito della morfina base dal medio oriente all’Italia. Indica protagonisti, modalità di consegna e di pagamento della droga. Il nome di Nino Rotolo è al centro di
quella ricostruzione.
Ma il boss di Pagliarelli non si è solo macchiato di efferati fatti di sangue e di gravi responsabilità nel traffico internazionale di stupefacenti.
Nel 2006, la Squadra Mobile di Palermo scopre l’ “altra faccia” di Rotolo, la dimensione imprenditoriale del suo impegno. Le indagini patrimoniali dimostrano l’accumulazione nel tempo di ingenti capitali, grazie a prestanome, imprenditori e professionisti, disposti ad investire per conto del killer corleonese. E sfociano nel sequestro di beni mobili e immobili per un valore di circa 50 milioni di euro.
Questa forza patrimoniale è la spia di ciò che Rotolo rappresenta oggi in Cosa Nostra. L’attualità lo colloca al vertice della gerarchia.
E’ trascorso molto tempo dalla guerra di mafia dei primi anni ottanta che sconvolse Palermo. La fazione che componeva il “Gotha” di Cosa Nostra è quasi totalmente “fuori gioco”. Una capillare strategia di contrasto da parte dello Stato ha prodotto i suoi frutti. Il suo assetto di vertice si presenta smembrato. Le forze di polizia sono riuscite nell’impresa di catturare latitanti storici. Salvatore Riina, Leoluca Bagarella e Giuseppe Calò sono nelle patrie galere al regime del 41 bis, Giovanni Brusca collabora con la giustizia, alcuni sono morti.
Negli anni immediatamente precedenti al suo arresto l’ “ultimo dei padrini” della mattanza palermitana, Bernardo Provenzano, non può governare l’organizzazione da solo. Latitante da oltre quaranta anni, è fiaccato dall’età e dai problemi di salute. Lo rivela proprio Rotolo ad un altro “uomo d’onore”, Giuseppe Sansone, in una conversazione del 6 settembre 2005. Rotolo legge il contenuto di un “pizzino” inviatogli da “Binnu”. Il “padrino” ammette candidamente al suo interlocutore epistolare chi sono le persone che in quel momento devono “tirare le fila” di Cosa Nostra. Naturalmente lui stesso, ma non solo. Quel compito tocca anche a Salvatore Lo Piccolo e proprio a Rotolo .
Mentre Rotolo parla con Sansone non sa di essere ascoltato.
L’abilità e la tenacia degli investigatori sono riuscite a vulnerare la coltre di cautele predisposta da quel leader molto astuto, costretto a comunicare capillarmente per “giocarsi la partita” del comando di Cosa Nostra, riportandola ai “fasti” dell’era Riina. Ogni conversazione viene videoregistrata.
Sta tutto nel rapporto della polizia giudiziaria del 21 aprile 2006. Persone, conversazioni, luoghi e dinamiche della associazione sono a disposizione della magistratura.
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