Armi sempre più tecnologiche per raggiungere gli standard Usa. Lealtà nei confronti dello Stato, del Partito, del leader. E prontezza nel combattimento. Il presidente serra i ranghi e continua il piano iniziato all’alba del suo primo mandato. Insieme con la lotta alla corruzione all’interno delle Forze armate.
Xi Jinping serra i ranghi. In tempi di grandi turbolenze internazionali, il mantra della Cina è garantire la “sicurezza nazionale“. Ma per raggiungere l’obiettivo serve prima riorganizzare l’Esercito popolare di liberazione, reduce da diversi scandali di corruzione e avviato a celebrare il centenario nel 2027. Uno snodo chiave, entro il quale il presidente ha già chiarito di volere forze armate avanzate e pronte a combattere. Nei giorni scorsi, si è aggiunto un passaggio nella strada verso il potenziamento e il rinnovamento militare: Xi ha firmato tre nuovi regolamenti che hanno a che fare con l’ordinamento interno dell’esercito, il codice di condotta e la formazione militare.
Prontezza al combattimento e lealtà: i nuovi regolamenti varati da Xi
Come recitano i media di Stato, le nuove norme entreranno in vigore dal primo aprile e «sono state concepite per trasformare completamente le forze armate del Paese in forze armate di livello mondiale, concentrandosi sulla prontezza al combattimento». Secondo Xi, quest’ultimo concetto è strettamente intrecciato con quello di lealtà: allo Stato, al Partito, al leader stesso. Per questo, i regolamenti sono stati rivisti proprio per migliorare la gestione del personale militare a partire dalla condotta dei soldati. La revisione del codice mira a premiare gli eccellenti, punire i trasgressori e snellire le procedure in caso di processi, per garantire indagini e sentenze più rapide. Ai regolamenti sulla formazione militare sono stati invece aggiunti codici dettagliati riguardanti le parate militari a terra, in mare, in banchina e in aria. La parola chiave però è sempre la stessa: prontezza al combattimento, che secondo le nuove norme diventa «dovere principale» e «orientamento fondamentale di preparazione e impegno». Come sottolinea l’agenzia di stampa statale Xinhua, «applicando pienamente la strategia di gestione delle forze armate in conformità con la legge, le norme riviste mirano a promuovere un ordine più standardizzato nella preparazione alla guerra, nell’addestramento, nelle operazioni e nella vita quotidiana».
Pechino accelera il grande piano di riforma militare avviato da Xi al suo primo mandato
Si tratta di una nuova accelerazione del grande piano di riforma militare avviato da Xi già all’alba del suo primo mandato da presidente della Repubblica Popolare e della Commissione militare centrale. Un’impresa di cui spesso si sottovaluta la portata. L’Esercito popolare di liberazione, fondato nel 1927 da Mao Zedong, è stato per diversi decenni orientato solamente all’interno. Il focus è stato prima quello della sopravvivenza nel confronto con i nazionalisti del Kuomintang di Chiang Kai-shek e coi giapponesi, poi il mantenimento della stabilità dello sterminato territorio continentale. Il tutto, con scarso interesse verso le flotte aeree e navali. Già Deng Xiaoping avviò una revisione delle strutture militari, favorito dal boom economico risultato della stagione di apertura e riforma.
Le teste cadute nella lotta alla corruzione nelle forze armate
Salito al potere nel 2012, Xi ha impresso una profonda sterzata per poter contare su forze armate pronte a combattere, tecnologicamente avanzate e soprattutto fedeli. Xi non ha infatti esitato a sradicare le tradizionali sacche di corruzione interne all’esercito. Già durante il suo primo mandato, sono caduti in disgrazia i potenti generali Guo Boxiong e Xu Caihou, componenti della Commissione militare centrale. All’epoca, le autorità anticorruzione del Partito scoprirono oltre una tonnellata di contanti, giada, oro e altri oggetti preziosi nella cantina della casa del generale Xu. La ‘pulizia’ è poi continuata. Molti ufficiali sono stati rimossi con l’accusa di aver ricevuto tangenti su contratti di armi o di aver favorito promozioni. Il problema però pare non essere ancora stato risolto. Ad agosto 2023, i vertici delle forze missilistiche dell’esercito sono stati silurati e sostituiti con generali provenienti dalla Marina. Una mossa inusuale che dimostrerebbe l’ampia sfiducia nei confronti della divisione chiamata a presidiare l’arsenale nucleare cinese. Nella vicenda è stato coinvolto anche Li Shangfu, l’ex ministro della Difesa rimosso nell’autunno del 2024.
Pochi mesi dopo, sono arrivate rimozioni pesanti di ufficiali con ruoli chiave nello sviluppo militare. Tra loro anche Wu Yansheng, presidente della Compagnia di scienza e tecnologia aerospaziali, pilastro dell’industria militare cinese. Con Wu sono caduti altri due importanti ufficiali impegnati nello sviluppo missilistico: Wang Changqing, vice direttore generale di scienza e industria aerospaziale, e Liu Shiquan, a capo di una importante compagnia statale di armamenti. Per poi arrivare, pochi mesi fa, alla caduta più fragorosa degli ultimi anni, quella di Miao Hua. Direttore del dipartimento di lavoro politico della Commissione militare centrale, Miao era considerato un fedelissimo di Xi, con cui aveva collaborato già un ventennio fa quando erano entrambi impegnati nella provincia meridionale del Fujian, proprio quella affacciata sullo Stretto di Taiwan.
La modernizzazione dell’esercito e i progressi nella Marina
Secondo gli osservatori, le nuove norme dovrebbero garantire ai vertici una maggiore prontezza nel gestire casi di sospetta corruzione, ma soprattutto dovrebbero servire come deterrente per chi non si allinea completamente alla linea del Partito. D’altronde, la gestione delle forze armate appare sempre più centralizzata. Un segnale in tal senso era arrivato lo scorso giugno, quando Xi aveva presieduto la prima conferenza di lavoro politico militare in 10 anni, peraltro da Yan’an, la città nella provincia interna dello Shaanxi in cui si concluse la leggendaria “lunga marcia” di Mao. Allo stesso tempo, Xi insiste sulla modernizzazione delle forze armate. Impressionanti i progressi fatti a livello navale. La flotta cinese dispone di oltre 370 navi e sottomarini ed è quantitativamente la più estesa al mondo. Sta per entrare pienamente in funzione la Fujian, la terza portaerei della Cina, la prima dotata di un sistema di decollo a catapulta elettromagnetica, in linea con gli standard degli Stati Uniti. Xi vuole almeno sei portaerei entro il 2035, di cui quattro a propulsione nucleare. A oggi, solo gli Usa, con 11, ne hanno di più. Senza dimenticare il ruolo della guardia costiera, che dopo la riforma del 2023 ha capacità e facoltà militari più avanzate. Da tempo, Xi chiede inoltre di insistere sullo sviluppo di capacità di combattimento intelligenti. Entro il 2027 si prevede di accelerare lo sviluppo integrato di meccanizzazione, informatizzazione e intelligenza artificiale. Entro il 2035 di concludere la modernizzazione degli armamenti. Già ora si pensa alla dotazione di armi termobariche per i robot che vengono impiegati sempre più frequentemente nei test dell’esercito. L’ultimo passaggio è fissato per il 2049, data chiave entro cui l’esercito dovrà diventare «di prima classe a livello mondiale», accompagnando dunque la realizzazione del grande «ringiovanimento nazionale» in occasione del centenario della Repubblica Popolare Cinese.
L’obiettivo entro il 2049 resta la riunificazione con Taiwan
Per allora, Pechino vorrebbe aver compiuto la “riunificazione” con Taiwan. E di recente sta dando segnali di essere pronta a un’eventuale azione militare, attraverso frequenti manovre ma anche lo sviluppo di nuovi dispositivi. Per esempio, i moli mobili che, stando alle immagini satellitari, sarebbero in costruzione nel cantiere navale di Guangzhou. Si tratta di imbarcazioni simili a chiatte, dotate di rampe estensibili che potrebbero essere utilizzate per trasportare equipaggiamenti militari pesanti, come carri armati e artiglieria, in vista di uno sbarco. Proprio in queste settimane, la Cina ha peraltro manifestato la sua presenza in zone non battute frequentemente, come dimostrano le esercitazioni al largo della Tasmania, che hanno colto di sorpresa e preoccupato Australia e Nuova Zelanda.
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