“Dedico ai dischi del Banco un’attenzione etica. Sento un dovere verso le persone che mi seguono. Non posso non pagare un prezzo, ho una responsabilità nei confronti di chi ha fatto di noi un punto di riferimento. Certe parole che usiamo sono un programma di vita”. Vittorio Nocenzi, tastierista e membro fondatore del Banco, racconta il suo rapporto con la musica per spiegare la genesi del nuovo album Storie invisibili, una sorta di concept che chiude la trilogia partita con Transiberiana (2019) e proseguita con Orlando: le forme dell’amore (2022). Il nuovo album realizzato dalla band, con musiche scritte da Vittorio Nocenzi e testi dello stesso Nocenzi e Paolo Logli, raccoglie 12 storie di personaggi comuni che rappresentano una ampia fetta di storia e ricostruiscono il vero volto dell’umanità. Si passa dagli scontri degli studenti con la polizia in Studenti alla vicenda dell’Ultimo moro dell’Alhambra, uno dei musulmani cacciati dalla Spagna alla fine della Reconquista dei cristiani spagnoli. O ancora La casa blu, che racconta di un uomo sotto i bombardamenti in Ucraina, o Sarà ottobre, ambientata durante la rivoluzione russa del 1917.
Cronache di oggi e di ieri ma sempre legate alle contemporaneità e raccontate da una band (Tony D’Alessio, voce solista; Vittorio Nocenzi,organo, sintetizzatore e voce; Michelangelo Nocenzi, pianoforte e tastiere; Filippo Marcheggiani, chitarra e voce; Marco Capozi, basso; Dario Esposito, batteria) che sale sul palco, come dice Nocenzi, con la presenza invisibile di Francesco Di Giacomo e Rodolfo Maltese, i due membri storici della band scomparsi rispettivamente nel 2014 e nel 2015: “Il 2015 è stato un anno terribile”, racconta Nocenzi, “ho avuto una emorragia cerebrale, con la morte dei miei amici ho pensato di smettere. Ma non potevo, loro saranno sempre con noi”.
Nocenzi, già l’idea di pubblicare un album concept è una sorta di rivoluzione.
“È la conclusione di una trilogia. In un periodo come questo, funestato da guerre e altri disastri, un artista deve avere un’attenzione etica forte tanto quanto quella creativa. Sento il dovere di dire che esistono anche altri punti di vista rispetto a quelli che in questo periodo storico predominano. La musica non cambierà mai la Storia, ma puoi aprire finestre diverse, può contribuire a far riaprire gli occhi”.
Che tipo di narrazione ha scelto per questo disco?
“Dopo i primi due capitoli della trilogia mi sono reso conto che mancavano le pagine della Storia. Così abbiamo pensato di realizzare brani che fossero come delle Polaroid, che sono ben diverse dalla foto realizzate in studio perché nella loro imperfezione catturano l’attimo. Non potevamo fare delle minisuite come in passato, ci volevano canzoni. Volevamo evitare di fare il verso a noi stessi. Abbiamo raccontato storie individuali, che però rappresentano il nostro oggi”.
Una scelta coraggiosa, quasi fuori mercato.
“Ma alla fine che abbiamo da dimostrare? Siamo partigiani del terzo millennio, che difendono l’individuo come essere pensante. Sono figlio dell’Ulisse dantesco: se non abbiamo conoscenze siamo semplice burattini la conoscenza è lo strumento per difendere la libertà”.
In tutto l’album ci sono richiami a temi che molta della musica di oggi ignora: il bisogno di bellezza, di libertà, di evasione dalle logiche del consumismo sfrenato. Oltre che ai richiami alle guerre in corso. Ma il tema centrale sembra essere il bisogno di creatività.
“È il centro del discorso. Sotto la colata di cemento della globalizzazione sta spuntando nuova erba verde, c’è il bisogno di risentire certe emozioni e certe idee, ai nostri concerti è pieno di giovani che cantano le nostre vecchie canzoni. Noi cerchiamo di dare il nostro piccolo contributo”.
A Sanremo c’è stato un ritorno di attenzione nei confronti dei cantautori, una direzione diversa rispetto alla tanta musica usa e getta che propone il mercato.
“E’ la dimostrazione che è vero che c’è bisogno anche di altro. Con Amadeus era tutto una discoteca: il festival della canzone di Conti è stato più onesto. Era uno spettacolo tv: Sanremo è gossip, un varietà. Il che va benissimo, ma bisogna dare spazio a tutti i generi. Prima era solo intrattenimento, non era vero che rappresentava tutti”.
Ha detto che Francesco Di Giacomo e Rodolfo Maltese sono sempre con voi, sul palco. C’è qualche episodio che le piace ricordare?
“Non basterebbe un libro. Mi ricordo una volta all’imbarco di Ischia per Napoli, dovevamo andare a Trento coi tir. Erano le quattro del mattino, ma era pieno di apecar con i prodotti alimentari. Andammo al porto per cercare di convincerli a farci passare, ma non erano troppo gentili. Ci mettemmo a trattare con gli apisti, ‘per favore, fateci passare, dovemo anna’ a lavora’ pure noi’. Alla fine riuscimmo a imbarcare i Tir, con una scia di furgoncini dietro di noi”.
Il 7 marzo il banco inizierà il tour dal Teatro Dal Verme di Milano. Queste le prime date in programma: 15 marzo Trento, Auditorium Santa Chiara; 22 marzo Alessandria, Teatro Alessandrino; 24 marzo Seriate – Bergamo, Teatro Gavazzeni; 28 marzo Busto Arsizio (Varese), Teatro Sociale; 29 marzo Varese, Teatro di Varese; 04 aprile Rezzato (Brescia), Cineteatro Lolek; 05 aprile Conegliano (Treviso), Teatro Accademia; 12 aprile Piacenza, Teatro Politeama; 5 maggio Catania, Teatro ABC; 6 maggio Palermo, Teatro Al Massimo; 7 maggio Agrigento, Palacongressi.
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