Le pensioni hanno subito un’erosione del potere d’acquisto di quasi 10mila euro nell’arco di dieci anni. È quanto emerge da uno studio della Uil Pensionati, che chiede un tavolo di confronto al Governo. Sono tanti gli anziani che, anche grazie ai tassi vantaggiosi, ricorrono alla cessione del quinto della pensione.
Uno studio del sindacato Uil Pensionati mostra che, negli ultimi dieci anni, le pensioni degli italiani hanno subito un’erosione del loro potere d’acquisto a causa del blocco della rivalutazione del costo della vita. Questo stop, sostiene la ricerca, ha provocato una pesante perdita economica “reale e permanente” per i pensionati.
Da questa indagine si intuisce uno dei motivi per cui sempre più pensionati ricorrono alla cessione del quinto della pensione. Lo scopo è quello di avere una maggiore liquidità a loro disposizione. Come, certamente, l’attivazione di prestiti, tramite la formula della cessione mensile del 20% dell’assegno previdenziale netto, sia trascinata, in questi ultimi mesi, anche dalla convenienza dei tassi di interesse applicati da banche e società di credito sui finanziamenti.
Dopotutto, le ultime rilevazioni dell’Osservatorio di PrestitiOnline.it evidenziano che, nel corso degli ultimi 12 mesi, i tassi sono sostanzialmente stabili. A gennaio 2025, la miglior offerta per un prestito con cessione del quinto della pensione si attestava al 5,90%, più vantaggiosa rispetto all’interesse minimo per un prestito personale pari al 7,17%. E l’importo medio richiesto dai pensionati che hanno bisogno di un finanziamento tramite cessione del quinto è stato di 19.593 euro nel primo mese di quest’anno.
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Persi quasi 10.000 euro nell’arco di dieci anni
L’impressione degli operatori del credito è che, tanti pensionati, ricorrano all’attivazione di un prestito proprio per far fronte al minor potere d’acquisto dell’assegno previdenziale.
Secondo le stime effettuate dalla Uil Pensionati, per esempio, una pensione lorda di 2.256,21 euro nel 2014, nel 2024 avrebbe dovuto raggiungere i 2.684,37 euro lordi se fosse stata rivalutata al 100% dell’inflazione. Tuttavia, a causa del blocco della rivalutazione, la stessa pensione nel 2024 è arrivata solo a 2.615,40 euro lordi, comportando una differenza di 888,61 euro su base annuale (2024) e una perdita complessiva di 2.067,48 euro in dieci anni.
La medesima analisi è stata svolta su una pensione iniziale di 3.500 euro lordi nel 2014. In questo caso ovviamente la perdita è ancora più marcata, con una differenza di 4.136,86 euro su base annuale (2024) e una perdita totale di 9.619,74 euro nel decennio.
La richiesta al Governo: serve un tavolo di confronto
È di fronte a queste cifre che la Uil Pensionati chiede che il Governo riapra un tavolo di confronto sul potere d’acquisto delle pensioni.
Secondo la ricerca del sindacato, questa diminuzione del potere d’acquisto si riflette concretamente nella vita quotidiana dei pensionati. Per esempio:
- nel 2014, con una pensione netta di 1.738,29 euro, era possibile acquistare circa 1.931 caffè al bar;
- nel 2024, con una pensione rivalutata a 2.002 euro netti, se ne possono acquistare solo 1.668, registrando una diminuzione di 262 caffè all’anno.
Simili riduzioni si osservano per altri beni di consumo quotidiano, come giornali, gelati, carne rossa, patate e latte.
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Potere d’acquisto: perdita maggiore nel 2023 e nel 2024
“La perdita maggiore – afferma Carmelo Barbagallo, segretario generale Uil Pensionati – riguarda gli anni 2023 e 2024 in cui l’inflazione era molto alta e il metodo di rivalutazione più severo, non per fasce ma per importi complessivi. Nel 2023 la perdita sull’anno per la pensione iniziale di 2.256,21 euro è stata di 435,80 euro, nel 2024 di 723,04 euro. Per la pensione con importo iniziale di 3.500 euro, la perdita nel 2023 e nel 2024 è stata di 200,33 euro e di 317,92 euro”.
“Anche per il 2025 – continua Barbagallo – la rivalutazione non è stata piena: è vero che è stato reintrodotto il metodo più favorevole (per fasce e non per importi complessivi), ma solo le pensioni fino a 4 volte il minimo sono state rivalutate al 100%. Le pensioni più alte sono rivalutate per fasce da 100%, 90%, 75%”.
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