Noi siamo Rivoluzione – Il Calcio che non ama più i suoi tifosi: una rivoluzione inversa

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“Ricordo quando ero bambino, sognavo una maglia e un pallone, guardando la curva che grida io provo la stessa emozione”. Voglio iniziare così, il quinto e ultimo appuntamento con questo viaggio nell’affascinante concetto della RIVOLUZIONE; voglio, cioè, iniziarlo con un coro che spesso ho sentito cantare tra i gradoni di una curva.

Perché questo è un coro romantico, una canzone che richiama a due icone molto semplici, ossia la maglietta (che dovrebbe sempre essere sudata per testimoniare che i calciatori abbiano dato tutto in campo) e quel pallone che rotola portando con sé sogni, speranze ma anche cocenti delusioni.

Perché anche nello sport e segnatamente nell’attività sportiva più seguita, il calcio, la rivoluzione è stata di segno negativo, deturpando, sfigurando e per me anche distruggendo quello che dovrebbe essere (e che una volta effettivamente era) lo sport popolare per eccellenza.

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Occorre, dunque, partire enumerando e individuando le fasi precise che hanno portato, lentamente ma inesorabilmente, alla trasfigurazione del gioco più bello e seguito del pianeta.

Ebbene, non si può eludere la circostanza che il lento disamoramento della gente rispetto al calcio ha avuto abbrivio con l’apertura totale agli stranieri. Quando riaprirono le frontiere, in effetti, si potette parlare di rivoluzione positiva nel mondo del calcio. Perché in Italia approdarono i calciatori più forti a livello internazionale. Da Maradona a Zico, da Platinì a Rumenigge, da Falcao ad Elkjiar, calciatori di ruoli e di nazionalità diverse hanno incantato gli stadi delle squadre dove sono approdate.

Persino le cosiddette provinciali ebbero il loro momento di gloria, grazie a calciatori che diedero, con impegno ed estro, lustro alle tifoserie che li osannavano. Come dimenticare, giusto per fare un paio di esempi, l’Udinese del fuoriclasse brasiliano o il Verona campione d’Italia grazie al vichingo danese? O ancora l’Atalanta del capellone svedese Stromberg o l’Avellino di Diaz e Barbadillo?

Era un calcio così piacevole che persino quando arrivava in Italia qualche cosiddetto “bidone” lasciava il segno nei cuori dei propri tifosi, magari per qualche atteggiamento fuori dalle righe, oppure anche solo per la sua inadeguatezza tecnica che, in qualche modo, inteneriva l’ambiente.

Poi, qualcosa si è modificato e lo ha fatto in peggio. L’apertura totale delle frontiere ha fatto sì che arrivassero giocatori a flotte, sradicando il concetto stesso di campionato italiano e andando anche ad incidere, negativamente, sui nostri vivai. Questo, però, è stato solo il primo aspetto di una rivoluzione totale che ha allontanato, progressivamente, il calcio dai suoi antichi e nobili valori.

La seconda fase negativa è stata, certamente, la “sentenza Bosman”. Tale sentenza, che prendeva abbrivio da una giusta esigenza di giustizia afferente una maggiore autonomia contrattuale dei calciatori rispetto alle società di appartenenza, ha, però, sortito un affetto estremo totalmente opposto.

In sostanza, infatti, grazie a quella famigerata sentenza, ai calciatori è stata data la possibilità di diventare titolari del loro cartellino a scadenza contratto. Purtroppo, questo diritto è stato quasi sempre utilizzato per ricattare le società, da parte di procuratori scaltri e molto affezionati alla loro percentuale.

Tradotto: quando un campione ha un contratto in prossimità di scadenza e sta facendo bene nella squadra nella quale gioca, il suo procuratore va a battere cassa presso la società, prima della scadenza del contratto naturale, per strappare un contratto più esoso e se le società non cedono al ricatto, ecco che a scadenza di contratto il calciatore sarà libero di accasarsi dove vuole, ad ingaggio più alto, mentre la società nella quale giocava prima non incasserà un solo euro.

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Tuttavia, dal punto di vista ideologico, tutto ciò riusciva ancora ad essere, in qualche modo, accettabile ed accettato, fino all’avvento della fase decisiva, che ha totalmente stravolto questo sport svuotandolo dell’anima e di ogni collegamento con le sue nobili radici.

Parlo, ovviamente, dell’avvento delle TV a pagamento che ha letteralmente stravolto quel mondo meraviglioso a cui tutti, chi più chi meno, in qualche modo siamo stati legati.

Gli effetti nefasti di tali colossi, che acquistano i diritti televisivi delle partite, sono stati e sono incalcolabili, con un perverso effetto domino che ha reso impossibile un ritorno alle origini pure del fenomeno sportivo. Innanzitutto, tali canali impongono gli orari ed i giorni delle partite, creando quel disgustoso teatrino del cosiddetto calcio-spezzatino, con partite che non si giocano più tutte contestualmente la domenica alle 15.00, ma quasi ad ogni giorno della settimana, con orari proibitivi.

Il tutto, naturalmente, senza alcun rispetto dei tifosi veri che sono, RICORDIAMOLO AD ALTA VOCE – non coloro che dal comodo divano di casa guardano partite virtuali, ma quelli che escono di casa sciarpa al collo ed affrontano anche centinaia di chilometri di viaggio per seguire la propria squadra del cuore.
Così, questi veri tifosi sono spesso costretti a tornare a casa il lunedì mattina, giusto in tempo per tornare al lavoro o il martedì mattina, prendendo un giorno di ferie, per seguire i propri colori, magari su un terreno di gioco reso ghiacciato dal freddo, dal momento che si è giocato di sera.

Poi, circostanza non di secondaria importanza, può essere considerato serio un campionato dove una squadra che gioca per il proprio obiettivo (che sia scudetto, piazzamento in Europa o salvezza non importa) conosce già in anticipo il risultato delle proprie dirette concorrenti che hanno giocato prima?
Ma tutto ciò che ho appena descritto non esaurisce gli enormi danni fatti al calcio da parte delle televisioni a pagamento. Infatti, non possiamo tacere sull’aspetto probabilmente essenziale, ossia quello relativo agli enormi interessi economici che stanno dietro al giochino, con inevitabili conseguenze a caduta.

Se una volta la voce principale del bilancio delle società di calcio era costituito dagli incassi forniti dai tifosi presenti, ora questo elemento è del tutto secondario, per non dire trascurabile.

La voce principale dei bilanci societari è, infatti, costituita proprio dai diritti televisivi; milioni di euro che hanno permesso alle società di alzare notevolmente gli ingaggi dei calciatori, in un corto circuito continuo che definire scandaloso appare un mero eufemismo.

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Va da sé che le televisioni a pagamento sono diventati i veri padroni del sistema calcio; sono loro che decidono orari, anticipi e posticipi.
Ma torniamo agli ingaggi scandalosi e facciamocela una domanda: tornando ai veri fuoriclasse che ho nominato ad inizio articolo, quanto dovrebbero guadagnare, oggi come oggi, giocatori come Falcao, Maradona, Platinì, Zico, Baggio, se fossero adesso in attività?

Come detto in precedenza, in questa montagna di interessi economici, i veri tifosi sono una parte facilmente sacrificabile ed infatti il sistema prova da tempo ad eliminare il fenomeno Ultras, fonte d’innesco di passione infinita, pur con alcuni eccessi.

Ci hanno provato con le leggi speciali, con i provvedimenti amministrativi D.A.S.P.O. mirati e non provati, con le partite a porte chiuse, per non parlare del flop del secolo: la tessera del tifoso.

Eppure il movimento Ultras, pur essendo profondamente cambiato, continua ad essere uno dei pochi bastioni di essenza controcorrente in un sistema piatto ed omologato. Questo perché il concetto di aggregazione che esso reca con sé rappresenta, forse, uno dei pochi esempi di superamento delle barriere sociali.

Infatti, all’interno di un gruppo ultras abbiamo persone totalmente diverse tra loro per età, per genere, per categoria sociale, per professione; in sostanza, un gruppo di persone che fuori da quel contesto, probabilmente, non avrebbe alcun motivo per essere unito, ma lo è proprio nel contesto dello stadio, per seguire la propria squadra del cuore.

Ecco, questo movimento, nato alla fine degli anni sessanta nelle città metropolitane e poi diffusosi in provincia e in tutto lo stivale, indipendentemente dalla categoria nella quale gioca la squadra del cuore, ha rappresentato una vera e propria rivoluzione sociologica.

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I valori della coerenza, della fedeltà, della solidarietà, del sacrificio in nome di qualcosa che non fosse un bene materiale, sono stati la malta e la calce di questo movimento; insegnamenti trasmessi da persona in persona di generazione in generazione.

Per raccontare della storia di questo fenomeno e di tutte le sue implicazioni non può certo bastare questo articolo e ci vorrebbe, invece, un libro e in effetti di libri sull’argomento ne sono stati scritti anche un nutrito numero.

Nonostante la pubblicità negativa reiterata dei mass media, il movimento ultras ha avuto e continua ad avere una valenza positiva, soprattutto in quest’epoca di profonda decadenza morale e spirituale.

Basti come esempio, anche per chiudere questo discorso, ciò che è accaduto nello scorso fine settimana alla morte di uno noto esponente della tifoseria cosentina, conosciuto come “Uccello”.

Una fiume di solidarietà trasversale che ha attraversato tutta l’Italia, travalicando anche i suoi confini, con striscioni di solidarietà da parte delle tifoserie di Werder Brema e St. Pauli in Germania. Con la curva del Catanzaro, storicamente rivale, che ha contribuito, con un bonifico alle spese funebri dello sfortunato tifoso.

Bene, questi esempi possono forse essere compresi nella loro valenza dall’asettico calcio moderno? Possono essere capiti dal tifoso da divano e coca cola che discetta su fuori gioco e tattiche in campo ma che non ricorda più l’odore di un fumogeno o l’adrenalina che sale quando senti i boati della gente attorno a te?

Forse anche questo è ormai un settore dove appare davvero difficile, per non dire impossibile, fermarsi, ingranare la retromarcia e prendere la strada del ritorno.

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Però, essendo uno dei pochi esseri preistorici a non avere mai fatto un abbonamento alle TV a pagamento, una speranza oso azzardarla: se provassimo a non sostenere più questi colossi finanziari per il calcio in tv?

Lo so, è una vana speranza, ma in questo specifico settore, è francamente l’unica che mi resta.

NO AL CALCIO MODERNO

di Francesco Russo





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