Il governo turco alza la posta dopo il messaggio di Ocalan

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«Negli sforzi per una Turchia libera dal terrore si è aperta una nuova fase». Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha atteso un giorno per commentare lo storico annuncio con cui il leader curdo Abdullah Ocalan ha invitato i gruppi ad abbandonare la lotta armata e «il Pkk a sciogliersi». Nella sua dichiarazione Erdogan ha fatto solo il nome del partner di governo Devlet Bahceli, a capo dell’ultranazionalista Mhp. Lo scorso ottobre è stato lui, inaspettatamente, a tendere la mano ai curdi del Dem, che così hanno potuto visitare tre volte l’isola-prigione di Imrali, dove Apo è detenuto dal 1999.

ERDOGAN SOSTIENE che «un paese senza terrorismo» sarebbe una vittoria per tutti i suoi 85 milioni di abitanti, a prescindere se turchi, curdi, aleviti o sunniti. Ha ammonito chiunque voglia portare «il processo a un punto morto con dichiarazioni e azioni ambivalenti» e affermato che l’attenzione contro «qualsiasi provocazione» sarà alta. Al di là delle dichiarazioni, però, mancano elementi concreti sui prossimi passi.

Anche perché i segnali sono contrastanti. Ieri Omer Celik, portavoce del partito presidenziale Akp, ha negato che lo Stato possa negoziare con quelli che definisce «terroristi» e sostenuto che contro di loro c’è un approccio soft affinché consegnino le armi e uno duro praticato dalle forze armate (che mercoledì hanno ucciso 12 persone nel Nord-est siriano). Nonostante il messaggio di Ocalan sia stato il più netto possibile, Celik ha alzato ulteriormente la posta: «Tutti gli elementi di gruppi terroristici in Iraq e Siria devono deporre le armi e sciogliersi. L’espressione “gruppo terroristico” riguarda anche le Ypg». Una risposta a Mazloum Abdi, il comandante delle Syrian democratic forces, che giovedì ha salutato positivamente l’appello di Ocalan ma anche specificato che la richiesta di deporre le armi riguarda il Pkk e non le Sdf. L’esercito di autodifesa della regione autonoma riunisce le unità di varie minoranze, tra cui le curde Ypg, ed è formato per la maggior parte da arabi, ma per Ankara resta un’articolazione del partito di Ocalan.

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QUANTO AVVENUTO in Siria negli ultimi tredici anni, con la rivoluzione confederale iniziata nel 2012, la resistenza di Kobane del 2014 e l’estensione del modello di democrazia radicale in tutto il Nord-est attraverso la lotta all’Isis rappresenta la grande novità del nuovo tentativo di risolvere politicamente la questione curda. Per i turchi è un problema, per i curdi un patrimonio non sacrificabile. È evidente che la richiesta di disarmo alle Ypg sia strumentale, visto che intanto i droni turchi le colpiscono dall’alto e gli islamisti filo-Ankara da ovest.

Sempre ieri un’importante dichiarazione è giunta dal Kurdistan National Congress (Knk), una sorta di parlamento curdo in esilio che riunisce partiti e organizzazioni. «Comprendiamo l’importanza cruciale della storica chiamata di Ocalan ed esprimiamo il nostro pieno sostegno. Lavoreremo per questa opportunità e utilizzeremo tutte le nostre risorse per una soluzione pacifica e democratica», ha scritto. Avvertendo però che senza risposte la questione curda può minare la stabilità dell’area.

IL KNK RIBADISCE che ora tocca alle autorità statali turche fermare la guerra, permettere ad Ocalan di lavorare liberamente – senza specificare meglio – e investire il parlamento del processo di pace. Richiesta che viene anche dalle forze di opposizione. La principale è il partito kemalista Chp, il cui presidente Ozgur Ozel ha detto: «La questione curda va affrontata e risolta in modo trasparente, sotto l’egida della Grande assemblea nazionale turca, coinvolgendo tutti i segmenti della società».

A livello internazionale il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Esmail Baghaei, ha definito «cruciale» l’appello al disarmo di Ocalan sostenendo che può avere «conseguenze positive non solo per la Turchia, ma anche per la regione più ampia». Dal lato europeo è intervenuta la ministra degli Esteri tedesca Annalena Baerbock, parte del governo uscente, che ha sottolineato l’importanza di garantire in modo permanente i diritti culturali e politici ai curdi: la Germania è pronta a fare «tutto il possibile». Posizioni giudicate «buone ma insufficienti» dal Knk, che invita la comunità internazionale ad agire con più forza «per il dialogo e la pace».

FINORA NON SONO invece arrivate dichiarazioni ufficiali dai dirigenti del Pkk che vivono nelle montagne di Qandil, al confine tra Iraq e Iran. Da capire anche come reagiranno i milioni di curdi a un passaggio che, in ogni caso, è di portata storica. «Le persone provano sia speranza che disperazione», aveva scritto giovedì la testata indipendente turca Bianet presente nella piazza di Amed (Diyarbakir) dove il messaggio è stato trasmesso su un maxischermo. Un misto di sentimenti opposti e spaesamento che in queste ore vivono anche tanti curdi della diaspora, in attesa di capire i prossimi passi.



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