La nuova versione del Piano pandemico 2025-2029, trasmessa oggi alla conferenza delle Stato-Regioni per l’approvazione e, è un testo di 150 pagine in cui vengono presi in esame le varie fasi di risposta all’emergenza, dalla pianificazione e il finanziamento fino al coordinamento, il controllo, l’organizzazione dei servizi sanitari e formazione del personale. Il principio guida del Piano, si legge, è “l’efficacia”. Gli interventi prospettati “sono fondati su un solido razionale scientifico e metodologico”, e dovranno essere “motivati da una condizione di necessità. Per tale motivo ogni intervento è guidato anche dai principi di precauzione, responsabilità, proporzionalità e ragionevolezza”.
Il nuovo Piano nazionale pandemico illustra la strategia messa a punto dal governo Meloni in caso di emergenze come quella causata dal Covid-19. Una prima bozza era circolata il mese scorso, ma il testo è stato modificato nelle parti considerate più “delicate”.
Il testo infatti contiene alcuni importanti cambiamenti rispetto alla precedente bozza:
- solo una legge (e non un Dpcm) potrà disporre un lockdown in caso di pandemia;
- i vaccini, seppur ritenuti “efficaci”, “non potranno essere considerati gli unici strumenti” di contrasto;
- e si ispira “ai valori fondativi del nostro Servizio sanitario nazionale”, in particolare “la giustizia, l’equità, la non discriminazione e la solidarietà”.
In caso di pandemia, “il conflitto che potrebbe eventualmente insorgere tra la sfera privata e quella collettiva rende necessario operare in ottemperanza al principio di trasparenza”. Per questo, “le informazioni saranno divulgate dalle istituzioni preposte, tanto al personale medico-sanitario quanto ai non addetti ai lavori, in maniera tempestiva e puntuale, attraverso piani comunicativi pubblici e redatti in un linguaggio semplice e chiaro. Ogni persona deve essere informata sulla base di evidenze scientifiche in merito alle misure adottate”, si precisa.
Di fronte ad un reale e grave rischio per la salute pubblica, “sarà necessario disporre di misure combinate che includano test, isolamento dei casi, tracciamento dei contatti e la messa in quarantena degli individui esposti”, ma occorrerà “aggiornare o modificare le decisioni o le procedure qualora emergano nuove informazioni rilevanti e fondate su evidenze scientifiche”.
Il testo esclude “l’utilizzo di atti amministrativi per l’adozione di ogni misura che possa essere coercitiva della libertà personale o compressiva dei diritti civili e sociali”. Nel caso di una pandemia di carattere eccezionale, come il coronavirus (di cui il 20 febbraio del 2020, esattamente cinque anni fa, si scopriva il paziente 1 a Codogno) “si può presentare la necessità e l’urgenza di adottare misure relative ad ogni settore e un necessario coordinamento centrale, valutando lo strumento normativo migliore e dando priorità ai provvedimenti parlamentari”.
Dunque, non sarà possibile ricorrere a interventi coercitivi se non tramite “leggi o atti aventi forza di legge” che “nel rispetto dei principi costituzionali” potranno prevedere “misure temporanee straordinarie ed eccezionali in tal senso”.
In sostanza, il nuovo Piano proibisce l’uso di atti come i Dpcm, usati durante il governo Conte per disporre i vari lockdown – contestati parzialmente da Meloni, ma molto profondamente da gran parte dell’opinione pubblica, da tanti attivisti per i diritti umani e da critici della militarizzazione della pandemia – che ora non potranno più essere utilizzati. Solo una legge o un atto con la stessa forza (un decreto legge ad esempio) potrà prevederlo.
Il nuovo Piano riconosce l’importanza dei vaccini seppur con un importante passo indietro rispetto a quanto inserito nella prima bozza. Se la prima bozza li considerava le misure “preventive più efficaci” per contrastare simili emergenze sanitarie, ora il testo recita: “i vaccini approvati e sperimentati, risultano misure preventive efficaci” e “contraddistinte da un rapporto rischio-beneficio significativamente favorevole”. Finalmente, dopo anni, viene puntualizzato che i vaccini “non possono essere considerati gli unici strumenti per il contrasto agli agenti patogeni, ma vanno utilizzati insieme ai presidi terapeutici disponibili” in quanto non sono una panacea a tutti i mali e non possono sostituire la prevenzione primaria e la medicina territoriale (cose sostenute per altro proprio dai movimenti di lotta per il diritto alla salute in Italia e dallo stesso Vittorio Agnoletto).
Un’ apertura non di poco conto per un governo come quello di Meloni che, sui temi dell’obbligatorietà vaccinale, del Green Pass e della violazione delle libertà costituzionali durante le politiche pandemiche, si è sempre mantenuto equidistante. Non dimentichiamoci che Giorgia Meloni, proprio sul Green Pass, quando non era ancora in vigore, dichiarò: “Penso al tema del certificato verde digitale. Siamo stati i primi a sostenerlo, ci auguriamo che venga adottato il prima possibile in un orizzonte di totale reciprocità con tutti gli altri Stati europei” (https://www.editorialedomani.it/video/il-video-della-polemica-quando-giorgia-meloni-era-favorevole-al-green-pass-uhvzkzct)
È la stessa Meloni che ha nominato Ministro della Salute il prof. Orazio Schillaci, rettore dell’Università di Roma Tor Vergata e docente ordinario di Medicina nucleare che ha fatto parte del Comitato tecnico scientifico sull’emergenza Covid, chiamato proprio dal suo predecessore Speranza (1).
Tutte le istituzioni coinvolte nella risposta a un’eventuale emergenza sanitaria “devono essere dotate di risorse necessarie e impiegarle in maniera efficiente ed efficace, rendicontando pubblicamente il proprio operato”, riporta la bozza. Si evidenzia che “la preparazione e la necessaria pianificazione operata punta a ridurre al minimo l’eventualità che si verifichi una scarsità di risorse in caso di evento pandemico”. Se questo dovesse accadere, “ogni scelta di allocazione deve essere trasparente e guidata dal principio deontologico e giuridico della uguale dignità di ogni essere umano, dall’assenza di ogni discriminazione e dal principio di equità”, viene ribadito.
Quanto al finanziamento, l’ultima legge di bilancio “ha autorizzato, per l’attuazione delle misure del piano pandemico nazionale per il periodo 2025-2029, la spesa di 50 milioni di euro per l’anno 2025, di 150 milioni di euro per l’anno 2026 e di 300 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2027”.
Il testo rivolge l’attenzione anche alle categorie più fragili: “In base alle rispettive competenze statali e regionali gli interventi di sanità pubblica mirano ad essere inclusivi e rispettosi delle caratteristiche di ogni contesto sociale, nella piena consapevolezza che ogni tipo di misura possa gravare in maniera differente su gruppi di popolazione diversi tra loro per tratti sociali, economici, culturali, clinici”.
Tra le popolazioni particolarmente fragili e vulnerabili cui è opportuno prestare specifica attenzione vi sono: “i grandi anziani, coloro che sono ospitati all’interno di Rsa, le persone affette da patologie rare, psichiatriche, oncologiche, da comorbidità severe o immunodeficienze, le persone che vivono in condizioni di particolare fragilità sociale o economica, le persone migranti e le persone in regime di detenzione”. In ogni caso “risulta assolutamente centrale la sensibilizzazione delle persone attraverso una comunicazione semplice ed efficace dei benefici e dei rischi correlati”, si sottolinea. E “in nessun modo – si avverte – la campagna di informazione dovrà utilizzare toni drammatici, generare discriminazioni e stigma sociale”.
Che dire? Seppur l’invito è di rimanere vigilanti, non ci resta da sperare finalmente che questo nuovo piano pandemico sia un presupposto importante per attuare finalmente l’articolo 32 della nostra costituzione che afferma: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”
Note :
(1) Squillaci è sempre stato un convintissimo sostenitore del Green Pass, considerandolo indispensabile per “garantire la sicurezza nelle aule universitarie”. Durante la Covid-19, Squillaci si è distinto, nella sua università, per livelli maniacali di controllo, in cui “oltre ad inquadrare ogni singolo QrCode, gli studenti vengono obbligati a firmare un foglio per segnalare ulteriormente la propria entrata nel complesso e il possesso di pass”.
Cover: COVID-19 Coronavirus outbreak financial crisis help policy, company and business to survive concept, businessman leader stand safe by cover himself with big umbrella from COVID-19 Coronavirus pathogen (Foto di Teknoring)
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