La lotta fra intellò di destra e sinistra che infiammò la Parigi di Brasillach

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Torna in libreria “Sette minuti da perdere”. Il romanzo apparve in Francia nel 1953, ma già al tempo dell’occupazione tedesca aveva riempito due pagine sulla rivista diretta da Robert Brasillach, fascista e antisemita. La sua visibilità di intellettuale vicino ai nazisti gli costò la vita


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Erano i tempi in cui in quella Parigi che ha fatto da capitale culturale dell’intero Novecento, succedeva che durante il funerale di uno scrittore che per comodità dirò “di destra”, i suoi sodali si avventassero contro alcuni intellettuali che per comodità dirò di “sinistra” e che si erano accodati al corteo funebre. Non era trascorso molto tempo da quel 6 febbraio 1934 nel quale lungo i viali parigini del Quartiere latino era esplosa da “destra” una sorta di insurrezione di operai e studenti a migliaia che apparve a un passo dal rovesciare il governo di sinistra in quel momento al potere in Francia. 
Il corpo a corpo fra intellettuali di destra e intellettuali di sinistra in nessun altro momento del Novecento è stato bruciante quanto in quei mesi e anni del secolo scorso a Parigi. Le riviste di cultura si combattevano l’un l’altra peggio che delle cannoniere. Quando apparve il libro in cui André Gide diceva che la Russia di Stalin da lui appena visitata era una gran bella schifezza, a Parigi fu come se fosse esploso un drone.

Uno che in quella mischia furibonda c’era dentro anima e corpo era un giornalista e scrittore ex allievo dell’École Normale di rue d’Ulm, Robert Brasillach (era nato il 31 marzo 1909), che di quell’epoca è stato un testimone impareggiabile. La casa editrice milanese Settecolori, di cui ho già scritto che è una sorta di Adelphi di destra, pubblica adesso Sette minuti da perdere, un affascinante romanzo di Brasillach che apparve in Francia in prima edizione nel 1953 dopo che aveva riempito due paginoni della rivista diretta da Brasillach al tempo dell’occupazione tedesca di Parigi. Durante la quale, fascistissimo fra i fascisti francesi e antisemita la sua parte, da giornalista militante Brasillach non centellinò la sua ammirazione per i fascisti tedeschi e italiani. Quando nel maggio 1944 gli alleati espulsero i tedeschi da Parigi, lui si diede alla macchia finché non arrestarono sua madre, e a quel  punto lui si consegnò. Non aveva commesso alcun reato ma la sua visibilità di intellettuale pro nazista era stata straripante. Il processo contro di lui durò poche ore, i giurati ci misero venti minuti a emettere la condanna a morte. Il fior fiore dell’intelligenza parigina (a cominciare da quelli di sinistra) fece di tutto per convincere Charles De Gaulle a commutare la pena e conservargli la vita. Charles De Gaulle non ne volle sapere.  Uno di quegli scrittori che tentarono di salvare il trentaseienne Brasillach, Roger Stéphane, me lo ha raccontato non ricordo più se trenta o quarant’anni fa e ancora se ne commuoveva. Alla mattina presto del 6 febbraio 1945 il plotone di esecuzione puntò i suoi fucili contro Brasillach, il quale prima di cadere ebbe il tempo di gridare “Vive la France!”.

Il romanzo appena pubblicato in italiano, almeno apparentemente,  ha poco a che vedere con la politica francese e con gli scontri ideologici di cui vi ho detto. Di che cosa si trattasse nella Parigi del tempo non ve lo mostra, ve lo fa “sentire”. Il personaggio principale del romanzo è una donna non bella ma attraentissima e che sceglie il silenzio tutte le volte che può. Attorno a lei volteggiano tre uomini, di cui due sono dei soldati francesi fatti prigionieri dei tedeschi e il terzo un semi criminale che la ragazza (che pure lo ha sposato) finirà per uccidere con un colpo di pistola alla testa. Nel racconto tutto è come sospeso, tutto può mutare da un momento a quello successivo, nessuno dei personaggi sa con sicurezza il perché di quello che sta vivendo in una Parigi dove a ogni passo di strada risuona il passo delle truppe scelte tedesche. Nella città più bella del mondo è come se ogni cosa e il suo esatto contrario fossero divenute egualmente possibili. A cominciare dalla domanda che sta al fondo del racconto seppure non pronunziata. Chi vincerà la guerra, che ne sarà di Parigi e dei suoi abitanti nel futuro prossimo venturo? Brasillach lo scriveva nel 1942 su una rivista che andava in mano ai più facinorosi di coloro che vivevano a Parigi. Lo sapeva o forse no che con lo scrivere su quella rivista si stava giocando la vita? 

 





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