(DIRE) Roma, 28 Feb. – Svelare il meccanismo alla base delle difficoltà nei pazienti con Alzheimer e Parkinson a riconoscere le espressioni facciali, fondamentali per comunicare con gli altri, e individuare un possibile trattamento. Utilizzare cervelli “in miniatura” creati da cellule staminali pluripotenti, riprogrammate in neuroni, per testare nuove terapie contro le demenze. Prevenire i disturbi del neurosviluppo nei neonati prematuri, grazie alla potenziale azione antiossidante di soia e olio di oliva. Si aggiungono così nuovi obiettivi e nuove maglie alla rete del progetto Mnesys, il più ampio programma di ricerca sul cervello mai realizzato in Italia e ora diventato il più grande e all’avanguardia in Europa. Oltre 60 centri in più, coinvolti negli ultimi sei mesi, per un totale di 90, tra i migliori atenei pubblici e privati, istituti di ricerca, Irccs e imprese. 600 pubblicazioni e circa 300 progetti attivi a oggi, di cui oltre 90 avviati dal giugno scorso, finanziati con 23 milioni di euro, grazie ad appositi “bandi a cascata”.
Altri 200 giovani ricercatori, assunti in poco più di un anno, per un totale di circa 800 scienziati italiani, a caccia di nuovi test e terapie per la diagnosi precoce e la cura delle malattie del sistema nervoso, con trattamenti modellati sui pazienti. Questo lo stato attuale e i numeri di Mnesys, presentati in occasione del III Annual Meeting, in corso a Genova, al Palazzo della Meridiana. “Mnesys è una vera brain venture di gruppi di lavoro distribuiti in tutta Italia, guidata dall’Università di Genova, in sinergia con l’Ospedale San Martino, e avviata a fine 2022 grazie al fondo record di 115 milioni di euro, stanziato dal PNRR, Missione 4, Componente 2.
Un progetto imponente e complesso in crescita esponenziale, che ha visto aggiungersi ai 25 enti fondatori, altri 65 centri negli ultimi sei mesi, tra le istituzioni più prestigiose nel campo delle neuroscienze, come ad esempio l’Istituto Italiano di Tecnologia (Iit) di Genova, l’Università Cattolica del Sacro Cuore e il Cnr di Roma, l’Università “Sapienza” e il San Raffaele di Milano- commenta Antonio Uccelli, responsabile scientifico del progetto, ordinario di Neurologia all’Università di Genova e direttore scientifico dell’Ospedale Policlinico San Martino- Ciò significa che, ad oggi, tutte le migliori istituzioni italiane che fanno ricerca sul cervello, ingaggiate tramite appositi “bandi a cascata”, sono coinvolte in questo progetto unico al mondo, che è diventato la rete europea più estesa e all’avanguardia.
I nuovi gruppi arruolati consentiranno con le loro competenze di sviluppare, approfondire e scoprire sempre di più i segreti, ancora nascosti, del cervello”. ‘Questo progetto, senza precedenti e in continua crescita, vede quasi triplicare gli Enti coinvolti in questa rete sempre più estesa di eccellenze scientifiche del nostro Paese- dichiara Enrico Castanini, presidente Mnesys- Oggi si stabilisce una tappa fondamentale per analizzare, progetto per progetto, i traguardi raggiunti e per avviare le attività di trasferimento tecnologico che ne seguiranno. Tale bagaglio di conoscenze scientifiche ci permetterà di passare dalle scoperte teoriche a concreti benefici per la società, in totale allineamento con l’obiettivo ultimo del Pnrr: generare ricadute tangibili e durature per i cittadini, migliorando di conseguenza la qualità della vita di tutti noi grazie all’uso delle nuove tecnologie’.
‘Il progetto Mnesys si affida a un approccio “multi-scala” che parte dallo studio delle singole molecole, fino all’analisi delle interazioni sociali, passando dalla genetica, ai modelli animali, per arrivare a studi di popolazione. I programmi di ricerca avviati da Mnesys, con 600 pubblicazioni e circa 300 progetti attualmente attivi, spaziano in tutti gli ambiti delle neuroscienze, dall’indagine degli aspetti fisiologici, come lo sviluppo del cervello nei neonati, alla ricerca di nuove strategie contro le malattie neurodegenerative, attraverso l’integrazione tra medicina e tecnologie informatiche applicate al cervello- aggiunge Sergio Martinoia, ordinario di Bioingegneria all’Università di Genova e coordinatore del comitato scientifico del progetto- Su questo fronte Mnesys ha obiettivi quanto mai ambiziosi, cercando soluzioni per patologie come Alzheimer, Parkinson, sclerosi multipla, ictus, depressione, che insieme affliggono il 30% della popolazione italiana”.
“A questo scopo Mneys ha sviluppato approcci innovativi come la creazione di avatar digitali del cervello umano per studiare le malattie neurologiche e la risposta ai farmaci, individuato nuovi biomarcatori come, ad esempio, due proteine in grado di anticipare lo sviluppo della sclerosi multipla, fino a identificare di nuovi bersagli terapeutici come, tra gli altri, la proteina anti-colesterolo PCSK9 la cui inibizione nel cervello ha un ruolo chiave nel trattamento della malattia di Alzheimer”, sottolinea Uccelli.
SOIA E OLIO D’OLIVA “ALLEATI” PER PREVENIRE LESIONI AL CERVELLO NEI NEONATI PREMATURI – Tra le nuove frontiere di ricerca del progetto MNESYS lo studio di nuove strategie per prevenire lo sviluppo di danni cerebrali nei neonati prematuri. Ad occuparsene, uno studio dell’Irccs Istituto Giannina Gaslini di Genova, con l’obiettivo di valutare l’efficacia di nuovi approcci nutrizionali precoci nei bambini prematuri, cioè nati prima della 32esima settimana di gestazione. “I neonati molto pretermine e con peso alla nascita estremamente basso sono a rischio di sviluppare problemi del neurosviluppo- afferma Luca Ramenghi, Direttore U.O. Patologia Neonatale dell’Istituto G. Gaslini e Professore Straordinario di Pediatria dell’Università di Genova- Il nostro lavoro si prefigge di svelare gli effetti di diete con differenti livelli di lipidi, ricchi di antiossidanti, in fase neonatale, sulla maturazione cerebrale di questi neonati, messa a rischio dallo stress ossidativo, uno dei grandi problemi della prematurità.
Ciò avverrà inserendo soia, olio d’oliva non evo o grasso di pesce nell’alimentazione dei bambini pretermine e valutandone l’efficacia con test psicoattitudinali- aggiunge- I lipidi sono fondamentali per la sostanza bianca, cioè la mielina, il rivestimento protettivo che si sviluppa attorno alle fibre nervose, vitale per il corretto funzionamento del sistema nervoso. Quando i bambini sono ancora nel grembo materno ricevono il corretto apporto lipidico direttamente dalla mamma attraverso il cordone ombelicale, ma quando sono prematuri necessitano che questi vengano forniti dall’esterno, per somministrazione endovenosa tramite quella che prende il nome di ‘nutrizione parenterale totale’, che agisce come una ‘placenta artificiale’- spiega Ramenghi- Non sappiamo ancora quale tra queste formule lipidiche sia la più efficace, il nostro obiettivo è quindi quello di capire attraverso studi con risonanza magnetica quale sia la scelta più adeguata per garantire lo sviluppo neurologico migliore”.
Infine: CERVELLI “IN MINIATURA” PER STUDIARE IL RUOLO DELL’INFIAMMAZIONE NELL’ALZHEIMER – Tra i nuovi progetti avviati con Mnesys, uno studio dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano, mira a svelare il ruolo dell’infiammazione nello sviluppo dell’Alzheimer, attraverso la creazione di cervelli “in miniatura” su cui testare trattamenti innovativi. “L’infiammazione nel cervello è un fenomeno ancora poco chiaro- riferisce Gianluigi Forloni, capo del Dipartimento di Neuroscienze e del Laboratorio di Biologia delle Malattie Neurodegenerative del Mario Negri- Nel processo sono coinvolte le cellule gliali, che hanno la funzione di proteggere i neuroni da danni che ne compromettono la funzionalità, ma che in condizioni patologiche possono produrre anche effetti negativi.
Studiare quindi l’attivazione e lo “spegnimento” di queste cellule è fondamentale per identificare nuovi strumenti terapeutici per contrastare gli effetti dell’Alzheimer – prosegue -. Ad oggi non esistono però modelli sperimentali in grado di “imitare” adeguatamente la patologia. Per riprodurla efficacemente in laboratorio, il nostro studio si propone di utilizzare cellule da pazienti con demenza, che come nel film di Benjamin Button verranno fatte regredire allo stadio di cellule staminali, per essere riprogrammate in neuroni. Ciò consentirà di ricreare piccoli cervelli in miniatura (organoidi) che potranno essere usati come laboratori virtuali per testare l’efficacia di nuove terapie”.
SCOPRIRE COME SI ALTERANO LE REAZIONI EMOTIVE NEL PARKINSON E NELLE DEMENZE PER MIGLIORARE LA QUALITÀ DI VITA DEI PAZIENTI – Rimanendo nel campo delle malattie neurodegenerative, un’altra prospettiva di ricerca è aperta da uno studio, guidato dall’Università di Sassari sui meccanismi alla base del riconoscimento e della produzione delle espressioni facciali, abilità cruciale per la comunicazione con gli altri, che viene a mancare nei pazienti con malattia di Parkinson e di Alzheimer. “Gli individui che presentano difficoltà nell’esprimere le proprie emozioni col volto e nel riconoscere le espressioni facciali altrui hanno limitazioni nel comportamento sociale, e ciò crea disagio al paziente, peggiorandone le capacità di interazione con gli altri e, di conseguenza, la qualità di vita.
Dare una spiegazione a tale disabilità potrebbe essere dunque importante per stabilire un possibile trattamento- spiega Franca Deriu, Ordinaria di Fisiologia all’Università di Sassari- Un’ipotesi su cui si sta lavorando è rappresentata dalla compromissione nella capacità di riprodurre le emozioni osservate- prosegue- Durante la visualizzazione di un’espressione facciale, nel nostro cervello si attiva a sua volta l’imitazione dell’emozione corrispondente. Se ciò viene meno, a causa di sintomi motori che impediscono o ritardano tale processo, potrebbero esserci difficoltà nel riconoscimento dell’espressione emotiva altrui- chiarisce- Un’altra spiegazione del sintomo potrebbe invece trovarsi nella presenza di disturbi percettivi nelle vie corticali temporo-frontali, deputate al riconoscimento del volto umano.
L’osservazione di un’espressione facciale induce l’attivazione delle stesse regioni del cervello deputate a controllarne l’esecuzione, e perciò, per così dire, l’automatica simulazione della stessa azione nella mente dell’osservatore- puntualizza- Lo scopo del nostro lavoro sarà quindi quello di confrontare il modo in cui le espressioni vengono percepite da individui in salute rispetto a chi è affetto da malattia di Parkinson e di Alzheimer, così da determinarne il meccanismo scatenante e individuare possibili trattamenti”. (Com/Red/ Dire) 09:23 28-02-25
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