Che cosa unisce Gaza Park, Milei, AfD e Georgescu?

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Considerazioni in libertà su Gaza Park, Milei, AfD e Georgescu. Il corsivo di Battista Falconi

 

Il politico rumeno Calin Georgescu è stato accusato di “incitamento ad azioni contro l’ordine costituzionale, diffusione di false informazioni e false dichiarazioni”, di “aver fondato o sostenuto organizzazioni fasciste, razziste, xenofobe o antisemite, nonché di aver promosso pubblicamente criminali di guerra e ideologie estremiste”. Il candidato filorusso è stato addirittura sottoposto a restrizioni che, però, potrebbero non impedirgli di ricandidarsi alle prossime elezioni. Come si ricorderà le precedenti, tenute in Romania lo scorso anno, sono state annullate in base a un principio che appare controverso: l’influenza dei social media avrebbe favorito Georgescu, alterando l’equilibrata valutazione da parte degli elettori. Esisterebbe, pertanto, una sorta di virginale democraticità che l’uso aggressivo dei media potrebbe deflorare: quale sia la deriva su cui il ragionamento ci fa inerpicare è piuttosto chiaro. Peraltro ieri media romeni hanno scritto che nella casa di Horațiu Potra, guardia del corpo del leader filo-russo incriminato, è stato trovato un vero e proprio arsenale: pistole, mitragliatrici, granate, armi da lancio e molte munizioni, secondo fonti giudiziarie. Le armi erano nascoste in una stanza segreta. Inoltre, in una cassaforte nascosta sotto il pavimento della casa, sono state trovate mazzette di denaro per un valore complessivo di oltre un milione di euro.

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Pure le trattative post-elettorali in Germania e Austria richiamano in parte il caso Georgescu: i partiti che si sono presentati in contrapposizione, alcuni dei quali sonoramente penalizzati dal voto, cercano di accordarsi al solo fine di escludere dal governo le forze di destra, ritenute scarsamente affidabili dal punto di vista democratico. Niente di nuovo, solo che si pensi a quanto in Francia accade da sempre con il Front National, più volte sul punto di eleggere il Presidente senza farcela e oggi retto da un leader senza una solida maggioranza. E appare davvero un piccolo miracolo politico che Giorgia Meloni sia riuscita a portare alla maggioranza relativa e a guidare il governo un partito decisamente identitario come FdI in Italia, paese condizionato durante tutta la “prima repubblica” da una conventio ad excludendum conosciuta come “arco costituzionale”.

La contraddizione è evidente: se un partito o un leader sostengono ideologie d’odio, se incentivano la violenza, se veramente Georgescu, Marine Le Pen, Bardella, FPO e AFD costituiscono un pericolo per le libertà, le misure dovrebbero essere assunte preventivamente e da autorità e organismi terzi. Non dopo il voto, beffando i milioni di elettori che li hanno sostenuti e ai quali si nega la pari dignità con i loro concittadini, discriminandoli sul piano politico.

“Con i fascisti non si parla” si diceva un tempo, quando l’MSI viveva confinato nel suo ghetto, facendo però comodo alla DC come potenziale serbatoio da usare in casi estremi, con esiti altalenanti, e anche un po’ agli altri, giacché Almirante conteneva nella Fiamma tricolore masse e sentimenti che rischiavano altrimenti di deragliare su binari eversivi. Ma sono passati tanti anni, possiamo ancora contrapporci e rapportarci in questo modo? Non meravigliamoci allora se, di fronte a una sostanziale dittatura della maggioranza costituita su una ragione “a prescindere”, su una verità assoluta che separa bene e male in modo manicheo, le provocazioni di Trump e Musk conoscono un’escalation continua.

Il video su Gaza Park o Gazaland costruito con l’intelligenza artificiale e diffuso sui social, per esempio, ha ricevuto una condanna quasi unanime, espressa a suon di lamentele dove le parole più cortesi sono state “grottesco”, “dubbio gusto” e “pornografia”. In pochissimi si sono fermati a ragionare di fronte a questa summa della pacchianeria più arrogante, un colossale trionfo del kitsch, e tra questi il vignettista Natangelo sul Fatto quotidiano, certo non sospettabile di simpatie reazionarie, che faceva notare come a un bambino palestinese l’idea dei soldi che piovono dal cielo potrebbe piacere. A prescindere dall’estrema soggettività estetica che rende certe immagini per mediorientali e arabi, così come per statunitensi e cinesi, probabilmente meno scandalose di quanto paia a noi vecchi e barbosi europei.

Ma anche l’uso della motosega contro le parole politicamente corrette di Milei, che nei documenti ufficiali ripristina epiteti come idiota, imbecille e ritardato mentale per definire i disabili cognitivi, vanno nello stesso senso. Contrapponendosi al minuetto lessicale che, in particolare sulla disabilità, trova assertori convinti quanto integralisti come Iacopo Melio, e più in generale al woke che ancora di recente si evidenzia per l’asterisco dopo la radice “bambin” usato nei documenti di una scuola elementare.



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