Sudan disperato senza aiuti americani (per i quali nessuno ringraziava)

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Si fa sempre più evidente la portata delle conseguenze prodotte dalla decisione degli Stati Uniti di uscire dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e sospendere per 90 giorni la cooperazione internazionale. Questo secondo provvedimento si è reso necessario per mettere fine allo spreco di fondi in progetti privi di reale utilità o dalle finalità in contrasto con gli interessi e i valori americani e colpisce anche, e soprattutto, l’UsAid, l’agenzia Usa per lo sviluppo internazionale che da sola amministra 40 dei circa 70 miliardi di dollari che ogni anno Washington stanzia per attività di cooperazione.


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Sembra che ben pochi, fino a pochi giorni fa, si rendessero conto di quanto essenziali fossero per la realizzazione delle iniziative umanitarie e di aiuto allo sviluppo nel mondo i fondi messi a disposizione a vario titolo dagli Stati Uniti. Poi, improvvisamente l’interruzione dei flussi di denaro americano e la minaccia che questo accada ha fatto aprire gli occhi. La sospensione degli aiuti decisa dal presidente Trump «è come un terremoto che colpisce tutto il settore degli aiuti umanitari» diceva intervistato dalla Bbc un cooperante di lungo corso all’indomani della firma del decreto esecutivo che ha come nome: «Rivalutare e riallineare gli aiuti esteri degli Stati Uniti». Sempre alla Bbc, «la mia prima reazione è stata: questa è una catastrofe» ha detto Atul Gawande, un medico che lavora nella Repubblica Democratica del Congo e che sotto l’amministrazione Biden ha ricoperto un alto incarico nell’UsAid. Poi ha incominciato a elencare decine di paesi, oltre al Congo, e di iniziative che finora sono state finanziate dalla cooperazione internazionale Usa.


Mai però un riconoscimento, un “grazie” agli Stati Uniti per quel che facevano, e adesso li accusano per quel che non fanno. Dai loro siti web, le agenzie umanitarie Onu e migliaia di organizzazioni non governative ogni giorno aggiungono sostanza alla “catastrofe” che ha colpito il mondo della cooperazione. Il Programma Onu per l’Hiv/Aids (Unaids) in un comunicato del 15 febbraio, ricordando che gli Stati Uniti hanno investito finora 100 miliardi di dollari e che il 73% dei finanziamenti a disposizione in tutto il mondo contro l’Aids sono americani, si è detto solidale con i leader internazionali che chiedono a Trump di continuare a finanziare la risposta mondiale all’Aids per evitare che decenni di progressi vengano vanificati. La sospensione di 90 giorni – sostiene l’Unaids – ha tra l’altro interrotto l’attività di Brilliant, un progetto per la realizzazione di un vaccino contro l’Hiv che fa capo a una equipe sudafricana ed è interamente finanziato dall’UsAid. «È stato molto emozionante. Stavamo ottenendo risultati piuttosto buoni» ha raccontato all’agenzia di stampa Reuters Mlotshwa, uno dei componenti dell’equipe, intervistato nel laboratorio dell’Antiviral Gene Therapy Research Unit, presso l’Università del Witwatersrand. «Ora – dice – i campioni di sangue animale contenenti i risultati aspettano intatti in un congelatore». Anche la sperimentazione di un altro vaccino, che stava per essere testato sugli esseri umani in Sudafrica, Kenya e Uganda, è sospesa.


Poi ci sono i progetti finanziati per dare sollievo alle persone in difficoltà: curarle, dar loro da mangiare, accoglierle in un luogo sicuro. Il segretario di stato Marco Rubio ha disposto una deroga per i progetti che riguardano gli aiuti alimentari di emergenza e per i programmi salva vita. Ma nell’incertezza e nella confusione delle notizie e degli ordini che si susseguono, molti sono stati interrotti. La ricaduta sugli assistiti è drammatica. Il caso forse più grave riguarda il Sudan dove dall’aprile del 2023 due generali e i loro eserciti combattono per il controllo del paese. A causa della guerra, su 50 milioni di abitanti, 26 milioni di persone soffrono di gravissime carenze alimentari e hanno estremo, vitale bisogno di aiuto. Un ruolo importante nel soccorrere la popolazione lo sta svolgendo Emergency Response Rooms (Err, Stanze di risposta alle emergenze), una iniziativa nata su base volontaria che, tra le altre attività, ha creato una rete di cucine comunitarie sparse per il paese che preparano e distribuiscono pasti a gente che ha perso tutto e non ha più mezzi di sussistenza.


Adesso Err ha dovuto chiudere la maggior parte delle sue cucine a causa della mancanza di fondi, circa il 75% dei quali provenivano dall’UsAid. Si calcola che quasi due milioni di persone ne stiano soffrendo. Nella sola capitale Khartoum sono state chiuse 742 cucine che provvedevano a circa 816mila persone. I responsabili delle cucine comunitarie sperano di riaprire ricorrendo a donazioni private per colmare il vuoto lasciato dall’UsAid. Ma anche così l’assistenza umanitaria, se non potesse più contare sugli Stati Uniti, non tornerebbe ai livelli di prima. «La gente bussa alle porte dei volontari – racconta Duaa Tariq, una delle responsabili di Err – la gente urla di fame per le strade». Poiché UsAid distribuiva spesso il denaro tramite altre organizzazioni non governative che lavorano in Sudan, gli organizzatori di Err non erano consapevoli di quanto l’agenzia Usa fosse cruciale per loro, finché il denaro non è più arrivato.


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«L’amministrazione Trump ha sospeso bruscamente tutti gli aiuti – dicono – la gente morirà di fame a causa del taglio degli aiuti americani al Sudan». Ma la gente in Sudan muore di fame per l’avidità, per l’indifferenza criminale di due generali, Abdel  Fattah al-Burhan e Mohamed Hamdan Dagalo, che sono arrivati a usare persino la fame come arma di guerra. E muore di stenti, di malattie, di torture, uccisa dai soldati e sotto i bombardamenti.




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