“Se si commettono crimini contro l’umanità, arriverà il giorno della resa dei conti”

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Microcredito

per le aziende

 


“Le Nazioni Unite non furono create per portare l’umanità in paradiso, ma per salvarla dall’inferno”, disse una volta Dag Hammarskjöld, il secondo Segretario generale. Ottanta anni fa, dalle ceneri della II Guerra Mondiale, nasceva la più grande organizzazione internazionale che il mondo abbia mai conosciuto.
Oggi, però, assistiamo al consumarsi di crimini contro l’umanità sotto ai nostri occhi, in un clima di apparente impunità che porta a chiedersi: il diritto internazionale è ancora rilevante? Sul ruolo giocato dalle Nazioni Unite fino ad oggi, il giudizio dell’Ambasciatrice irlandese in Italia Patricia O’Brien nella Lectio Magistralis tenutasi il 10 febbraio presso il Dipartimento di Giurisprudenza – incontro moderato dal prof. Amedeo Arena, Delegato alle Relazioni internazionali del Dipartimento, e che ha visto la partecipazione del Rettore Matteo Lorito, dei professori Andrea Federico (Diritto Civile), Massimiliano Delfino (Diritto del Lavoro) e Giovanni Zarra (Diritto Internazionale) e dell’assessore all’Istruzione e alle famiglie del Comune di Napoli, Maura Striano – è dolce-amaro: “l’ONU può essere stata salutata come la grande speranza per il futuro dell’umanità, ma non c’è dubbio che abbia deluso profondamente.
A volte, ma a mio avviso a torto, viene liquidato come un vergognoso abitante delle dittature, e ha fatto certamente infuriare con la sua burocrazia paralizzante, ma spesso non guardiamo alle cose buone che ha fatto”. Il riferimento non può che cadere sul ruolo del Consiglio di Sicurezza: un organo per sua natura complesso, poiché vede la presenza permanente e con diritto di veto di USA, Regno Unito, Francia, Russia e Cina (tra cui i disaccordi non sono di certo infrequenti) e tuttavia fondamentale per il mantenimento degli equilibri internazionali. “Come sapete, non sta facendo un buon lavoro su questo fronte”, commenta l’ambasciatrice, ma esorta a non dimenticare i suoi meriti, come il dispiegamento di forze di pace in tutto il mondo in vari conflitti e la loro efficacia.
L’impressione di un organo politicizzato e diviso è, a suo dire, più che altro il prodotto di visioni politiche e culturali diverse e di diversi punti di vista anche su cosa esattamente dovrebbe essere oggetto delle norme sui diritti umani, ma bisogna essere fiduciosi: “la riforma del Consiglio di Sicurezza è graduale e avverrà”.
Del resto, spiega, il Consiglio di Sicurezza si è evoluto non poco negli anni. Ad ogni modo, “la voce dei diritti umani viene portata quotidianamente sul tavolo del Consiglio. Che lo ascoltino è una questione diversa. Ma almeno la voce c’è”. Un altro snodo cruciale nell’indagare l’incisività del diritto internazionale è “la sua mancanza di potere esecutivo”. La sua applicazione, infatti, deve puntualmente fare i conti con la sovranità degli Stati, dal momento che “né la Corte internazionale di giustizia né la Corte penale internazionale possono costringere gli Stati a rispettare le loro decisioni”. Ciò, tuttavia, non rende le loro decisioni meno importanti.
L’istituzione, poco più di vent’anni fa, della Corte Penale Internazionale è, a detta dell’ambasciatrice, “uno dei più grandi successi del diritto internazionale negli ultimi ottant’anni”, nonché il segnale che “siamo sulla buona strada, nonostante le minacce attuali, per stabilire un sistema veramente globale di giustizia penale internazionale”. Tutto ciò si connette al concetto di “responsabilità” degli Stati per le violazioni del diritto internazionale, che “ad oggi è sempre più minacciato per quanto riguarda i crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio” e rispetto alla quale “rischiamo di fare un enorme passo indietro”.
L’unico rimedio possibile: “perseguire i responsabili”. Su questo, a suo avviso, nonostante abbia affermato la responsabilità di tutti gli Stati nel porre fine alle impunità, il Consiglio di Sicurezza dovrebbe fermarsi a riflettere: “Gli si dovrebbero ricordare i propri impegni – afferma netta – A volte possiamo tentare di barattare la giustizia con la pace, di affermare che creare la pace è più importante che fare giustizia, e potrebbe allora essere offerta un’amnistia ai leader responsabili di atrocità efferate, in cambio di un incentivo a dimettersi e ad andarsene convenientemente e tranquillamente. Io personalmente, come anche l’Ufficio Legale delle Nazioni Unite – presso cui ha ricoperto in passato l’incarico di Consulente e Sottosegretario generale – da sempre respingo questa proposta”.

Il racconto dell’esperienza in Cambogia

Quella della responsabilità la definisce una “rivoluzione incompiuta che non ha precedenti nella storia” e che trae le sue origini dal processo di Norimberga, quando le potenze alleate decisero di sottomettere i loro nemici al giudizio della legge come “uno dei tributi più significativi che il potere abbia mai pagato alla Guerra”.
Il giudizio di fronte alla legge non risarcisce solo gli Stati o la storia, ma anche le persone. Commovente è il racconto della sua esperienza in Cambogia, al tramonto del genocidio perpetrato dal regime dei Khmer Rossi negli anni ’70, dove ancora le piogge monsoniche portano a galla, tra il fango, i corpi sepolti nei campi di sterminio. All’istituzione delle Camere Straordinarie della Corte della Cambogia, per accertare le responsabilità per i crimini contro l’umanità perpetrati dal regime, “ho visto il popolo della Cambogia e quanto significasse per loro percepire che la responsabilità e la giustizia per i crimini che sono stati perpetrati contro di loro contassero”, racconta ricordando i migliaia di cambogiani accorsi per assistere al processo.
Il pessimo clima attuale, però, non deve dissipare ogni speranza che venga fatta giustizia: “La lezione degli ultimi tre decenni mostra che, se si commettono crimini contro l’umanità, non si sarà in grado di riposare facilmente nel proprio letto, perché arriverà il giorno della resa dei conti. La portata della giustizia internazionale è lunga e paziente e, una volta messa in moto, è inesorabile. Non esiste una data di scadenza per questi crimini”.
Pace e giustizia non sono interscambiabili né tantomeno negoziabili, anzi: sono l’una complementare e necessaria all’altra. “Non ci può essere pace a lungo termine senza giustizia” e anche se gli appelli delle Corti internazionali sembrano non sortire effetti, “almeno restano presenti nelle menti dei leader”. Insomma, “nessuno è al di sopra della legge e i capi di Stato non godono di immunità” e, per quanto venga continuamente invocata, “la sovranità nazionale non è più una barricata contro la giustizia”, conclude.
Giulia Cioffi
Scarica gratis il nuovo numero di Ateneapoli

Dilazione debiti

Saldo e stralcio

 

Ateneapoli – n. 3 – 2025 – Pagina 24



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link