È ancora rilevante la condizione di svantaggio delle donne in Italia. Una frase che si ripete a ogni report, resta lì a ricordarci che l’impegno per la parità di genere in ambito lavorativo, sociale e familiare non è finito. A fornire l’ennesima prova, è il rendiconto di genere 2024, presentato a Roma il 24 febbraio dal Consiglio di indirizzo e vigilanza dell’Inps: la restituzione in numeri del ruolo occupato dalle donne nel mercato del lavoro e nei percorsi di istruzione, con un’attenzione ai livelli retributivi e pensionistici e agli strumenti di sostegno al lavoro di cura e alle vittime della violenza di genere.
Lo abbiamo letto insieme ad Azzurra Rinaldi, co-founder di Equonomics, direttrice della School of Gender Economics all’Università Unitelma Sapienza, economista femminista che cerca ogni giorno di cambiare quelle percentuali, uno zero virgola alla volta. Su questi temi non è approdata per caso: «Quando vinsi il concorso all’università, mi chiesero in che cosa avrei voluto specializzarmi. Risposi subito Economia femminista», racconta. «Intendiamoci, per me era facile: sono cresciuta in una famiglia in cui mio papà nato nel 1940 si definiva femminista. Il mio docente di riferimento dell’epoca mi consigliò di cambiare ambito e allora scelsi Politica fiscale. Poi, 12 anni fa, un mio amico mi disse: sembri felice all’80% del tuo lavoro, mi dispiace perché potresti provare ad arrivare a 100. Quel 20% l’ho raggiunto cambiando settore: sembrava una follia, e invece».
Nel 2023 le donne diplomate e laureate hanno superato i diplomati e i laureati in tutti i corsi di studio rispettivamente con il 52,6% e il 59,9% sul totale di diplomi e lauree conseguite. Il mondo del lavoro però ha restituito un’altra prospettiva: il 52,5% delle donne è occupata a fronte del 70,4% degli uomini e nel 2023 le assunzioni per il genere femminile si fermano al 42,3% sul totale. Che cosa ci dice l’incrocio di questi dati?
C’è innanzitutto un tema puramente economico: abbiamo un enorme valore inespresso in termini di produzione di ricchezza e questo valore è legato al capitale umano femminile. Donne con un’alta formazione, un potenziale bacino a cui attingere, che invece lasciamo lì. Il secondo elemento, che è il motivo per cui le politiche a livello nazionale risultano ancora insufficienti, è il difetto di restituzione. Non mi stancherò mai di ripeterlo: la narrazione è importante, perché se tu accogli il dato sai che è tuo preciso compito mettere in campo le azioni per incidervi, se lo neghi o lo usi in maniera impropria allora ti scarichi dalla responsabilità e la situazione continua a peggiorare. Bisogna andare alla radice della questione e approdare ancora una volta nel terreno degli stereotipi.
Gli stipendi delle donne sono inferiori di oltre 20 punti percentuali, con alcuni settori più colpiti di altri come quello immobiliare, dove la differenza arriva al 66,5%. Lei ha scritto due libri su questo tema, Le signore non parlano di soldi e Come chiedere l’aumento, e da anni si impegna affinché l’educazione finanziaria entri nelle scuole e nelle case. Una nuova narrazione può generare anche un nuovo portafoglio?
Il mercato del lavoro non soltanto non fa entrare le donne ma le svaluta. Quando parliamo di soldi, anche in ambienti in cui le persone dovrebbero maneggiare questi argomenti, c’è alla base un substrato culturale potentissimo. Nel nostro rapporto con il denaro pesano la nostra vicenda familiare, le parole delle nostre nonne, lo stigma sociale che ancora colpisce le donne che parlano di soldi. Lo vedo sui miei profili Social: quando parlo di bitcoin, fioccano commenti denigratori e aggressivi. Sono frasi che si possono ignorare, ma da persona che lavora con i numeri non posso non considerarlo un dato. L’ultimo report sulle professioni restituisce il ritratto puntuale di ciò che accade nella vita reale: un avvocato, ad esempio, guadagna più del doppio di una avvocata. Non è una questione di tariffe non rispettate, ha a che fare spesso con ciò che pensiamo noi come clienti: continuiamo a scegliere professionisti uomini quando l’impegno è più oneroso. È un problema sistemico, non succede a una o due di noi.
Lo sbilanciamento di genere è evidente per le figure di quadri e dirigenti: soltanto il 21,1% delle donne ha contratti da dirigente contro il 78,9% dei colleghi uomini. Fra i quadri, il genere femminile rappresenta il 32,4% mentre quello maschile il 67,6%.
Tante ricerche dimostrano che una donna che crede nell’equità, una volta raggiunti i vertici aziendali, porta con sè altre donne. Ma affinché questo accada, ci dev’essere un contesto che favorisca la carriera delle donne. Il dato è soltanto il sintomo, non la causa. È la cultura che deve cambiare e in questo non si può prescindere dal ruolo delle istituzioni.
E il welfare? Il rendiconto dell’Inps ci dice che sebbene si sia registrato un incremento dei posti disponibili negli asili nido, oggi l’offerta soddisfa soltanto una parte limitata delle richieste, il che conferma la necessità di interventi più incisivi per raggiungere gli standard europei e per dare risposte alle famiglie; al momento dell’analisi, soltanto l’Umbria ha superato l’obiettivo dei 45 posti nido per 100 bambini 0- 2 anni. Anche i dati sui congedi parentali confermano che il carico pesa più sul genere femminile: le donne nel 2023 hanno utilizzato 14.441.895 giornate di congedo mentre gli uomini appena 2.166.761.
Ho la fortuna di incontrare moltissime donne nelle mie giornate. Ho l’onore e l’onere di raccogliere la loro fatica. Dobbiamo smettere di chiedere alle donne, a loro abbiamo già chiesto tanto. È venuto il momento di chiedere qualcosa agli uomini, ce ne sono molti disposti a condividere il peso di questa ingiustizia e a farsi promotori di un nuovo modo di distribuire i carichi di responsabilità della cura.
Siamo ancora in una situazione di disequilibrio forte, c’è il rischio di scoraggiarsi. Poi, però, arrivano le storie.
Almeno due volte a settimana ricevo condivisioni di storie. Una giovane donna mi ha scritto qualche giorno fa, raccontandomi di aver supportato un’amica a rimettersi in gioco a 40 anni: aveva lasciato il lavoro per occuparsi dei figli. L’ha spronata ad andare ai colloqui, a chiedere informazioni sullo stipendio, insomma a crederci. Oggi quella donna è di nuovo occupata da un mese e la sua soddisfazione è la mia, o meglio, la nostra.
La fotografia in apertura è di Vonecia Carswell su Unsplash
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