Vino, la scommessa dei vitigni autoctoni

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La forza degli autoctoni è la linfa della vigna. Una ricchezza di biodiversità conclamata non solo per la Sardegna, terra ai vertici nazionali in fatto di uva identitaria, ma anche per molti territori della Penisola. E ora, in piena epoca salutista e “dealcolata”, a circa un mese dal Vinitaly (dal 6 al 9 aprile) la scommessa diventa strategica. La svolta è iniziata da qualche decennio ma certamente oggi c’è una maggiore consapevolezza di questo immenso patrimonio e valore, anche economico, dei vitigni territoriali. Non più gregari dei cosiddetti internazionali ma, giustamente, grandi protagonisti.

Marco Onofri
Marco OnofriMarco Onofri

Luca Gardini, foto concessa

Luca Gardini, wine critic tra i più quotati al mondo e curatore de La Guida ai 1000 vini d’Italia de l’Espresso, parla di grande opportunità che l’Italia e soprattutto l’Isola devono saper giocare nel mercato mondiale. Vietato in questo momento perdere il provvidenziale treno dell’identità territoriale. Anche e soprattutto a Verona, nei padiglioni del Vinitaly 2025. «I vitigni autoctoni sicuramente posso avere e hanno un grande posto nel mercato mondiale. L’Italia è lo stato con più autoctoni, certi vitigni si stanno esportando con successo e stanno facendo un percorso qualitativo eccezionale», ribadisce l’esperto e innovatore nel campo della comunicazione del vino. The Wine Killer, con cui firma le sue imperdibili recensioni nel suo portale in lingua inglese “Gardini Notes”, ha da sempre un’attenzione particolare per l’unicità dei calici. «Penso per la Sardegna al Cagnulari e al Torbato. E poi alla Ribona delle Marche, Nascetta in Piemonte, Schioppettino del Friuli e il Pecorello bianco in Calabria. O ancora la Verdeca della Puglia. Tutti vitigni di grande forza e sviluppo, un punto fermo nei prossimi anni per l’enologia nazionale. La gente – aggiunge – vuole incontrare e conoscere sempre più vini di qualità ma anche con una spiccata unicità. Fondamentale la riconoscibilità col territorio. Questo consente di avere uno spazio maggiore e soprattutto una fetta di mercato che sicuramente interesserà questi vitigni straordinari».

LA SFIDA A condividere con Gardini questa grande attenzione nei confronti degli autoctoni, un esperto enologo, originario di Luras, al lavoro in diverse cantine sarde ma anche in molte aziende della Penisola. Andrea Pala, forte dell’esperienza maturata nell’Isola ha puntato, tra i tanti progetti sugli autoctoni, sul rilancio di un importante vitigno territoriale del Maceratese, la Ribona: «La valorizzazione dei vitigni autoctoni rappresenta una scelta strategica per la viticoltura italiana, sia in termini di differenziazione enologica sia per il mantenimento della biodiversità agraria. Ogni varietà autoctona è il risultato di un lungo processo di adattamento alle condizioni pedoclimatiche locali, quindi esprime un’identità organolettica e strutturale irriproducibile altrove. In un mercato sempre più segmentato e orientato all’autenticità, i vitigni autoctoni offrono un vantaggio competitivo concreto, consentendo di produrre vini con un forte legame territoriale e un profilo sensoriale distintivo». Pala ribadisce la forza degli autoctoni italiani come patrimonio indiscusso. «L’attenzione verso questi vitigni non deve essere intesa come un esercizio di tutela museale – spiega –, ma come un percorso di innovazione continua, capace di coniugare tradizione e ricerca scientifica. La selezione clonale, le pratiche agronomiche mirate e le nuove tecnologie enologiche permettono di esaltare le caratteristiche varietali, rendendo questi vini sempre più competitivi a livello internazionale. La loro valorizzazione, inoltre, rafforza il legame tra territorio, viticoltori e consumatori, contribuendo alla costruzione di un’identità enologica italiana solida e riconoscibile».

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Molto è stato fatto in Sardegna, ma non basta, su questo sia Pala che Gardini si trovano in piena sintonia. «Il grande patrimonio che ha la Sardegna, la posizione ai vertici nazionali in fatto di vitigni autoctoni, è un potenziale straordinario», attacca Gardini. «L’Isola ha fatto un bel passo in avanti. Resta da fare però ancora tanto. Anche il rilancio del Cannonau, con espressioni più giovani, incentrate maggiormente sulla bevibilità è un lavoro decisivo, ma si comunica in modo ancora troppo ristretto. E se penso a molti vitigni autoctoni sardi vedo una certa affinità con la Ribona, penso alla loro forte salinità e all’immediatezza nell’esprimere anche i proprio profumi e gusti. Vini che possono essere anche longevi, come per esempio il Vermentino altri bianchi della Sardegna dove trovo sicuramente la tensione, la parte salina, la densità e nello stesso tempo picchi di acidità». E conclude: «Gli esiti raggiunti con la Ribona nelle Marche sono ottimi soprattutto grazie al grande percorso che stanno facendo Andra Pala e l’azienda Fontezoppa. Un percorso esemplare che valorizza diverse tipologie di vinificazione sia spumanti che vini fermi: dalle espressioni orientate più al quotidiano o alla versione da merenda sino agli affinamenti con un po’ legno e cemento senza però snaturare mai quello che è il richiamo del vitigno», precisa, «rispettando quindi la nota aromatica, la parte salina, dando tensione e riconoscibilità».

CANTINA E VIGNA Un lavoro sulle potenzialità viticole che lancia un ponte tra Sardegna e Marche in un interessante dialogo di strategie produttive e di mercato. Pala puntualizza meglio: «Certamente, la diversità ampelografica è un valore ancora in parte inesplorato in Sardegna. Accanto a vitigni consolidati come il Vermentino, il Cannonau e il Bovale, esistono varietà minori come l’Arvisionadu e la Granatza, che presentano peculiarità enologiche di grande interesse. Lavorare su questi vitigni significa approfondire il loro comportamento in vigna e in cantina, valutandone il potenziale attraverso sperimentazioni sulla gestione agronomica, sulla vinificazione e sull’affinamento. Questi studi non solo permettono di ottimizzare la qualità espressiva di ciascun vitigno, ma anche di rispondere a sfide cruciali come la sostenibilità e l’adattamento ai cambiamenti climatici». L’invito e l’esortazione a continuare a investire nella conoscenza e nella promozione dei vitigni autoctoni, «creando sinergie tra ricerca, produzione e mercato, affinché possano rappresentare non solo una risorsa culturale, ma anche un motore di sviluppo per l’intero comparto vitivinicolo», sono fuori di dubbio.

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