Vent’anni fa fu fatto un censimento degli impianti da sci abbandonati. A questo “atto d’accusa” corrispose un po’ di clamore, soprattutto tra gli ambientalisti, ma poi apparve presto evidente come il “dossier degli abbandoni” non avesse insegnato nulla. Oggi, con la scarsità di neve per il cambiamento climatico, continua la follia di nuovi investimenti per le piste da sci, arrivando perfino a voler bucare una montagna. E questo si accompagna ad altri abbandoni, al punto che sarebbero almeno trecento gli impianti non più utilizzati, come cattedrali pagane nelle nostre montagne
◆ L’articolo di FABIO BALOCCO
► Nel 2005, come Commissione Internazionale per la Protezione delle Alpi e Pro Natura Torino, censimmo gli impianti sciistici abbandonati nella provincia di Torino. Fu un atto di accusa nei confronti di amministrazioni non lungimiranti che nei decenni precedenti, nonostante le già visibili bizzarrie del clima, avevano puntato solo ed esclusivamente sullo sci di pista per attrarre turisti. E spesso investendo nelle operazioni soldi pubblici. Il censimento ebbe una certa eco (ne parlò tra gli altri anche Paolo Rumiz) e fu ripreso e ampliato da Legambiente. Un articolo attuale de L’altramontagna ci ricorda che in totale gli impianti abbandonati in tutte le Alpi e Appennini sono più di trecento (senza che tra l’altro esista uno straccio di normativa che preveda il ripristino del territorio a carico delle società impiantistiche, aggiungo io), senza contare che, accanto agli impianti, talvolta ci sono anche strutture abitative abbandonate. https://www.ildolomiti.it/altra-montagna/cultura/2025/negli-ultimi-decenni-in-italia-piu-di-300-impianti-sciistici-sono-stati-abbandonati-o-chiusi-ma-si-continua-a-investire-il-caso-del-monte-san-primo
Il passato dovrebbe avere insegnato qualcosa, e invece no: ostinatamente molte amministrazioni comunali di montagna perseverano nel sognare nuovi impianti oppure collegamenti tra stazioni (in nome dello ski total), fregandosene dell’ambiente ma fregandosene altresì degli studi che prevedono che tra qualche decennio non solo non si potrà più sciare a determinate altezze sulla neve vera, ma neppure su quella finta, perché le alte temperature non consentiranno di produrla. Ad esempio, uno studio dell’Università di Basilea che ha avuto una certa eco nel mondo, afferma che a nord delle Alpi la stagione dello sci potrà a breve essere garantita solo per tre mesi all’anno ma solo con l’ausilio della neve programmata e solo dai 1800 metri s.l.m. in su, con costi ambientali sempre più alti (acqua da utilizzare ed energia elettrica). A nord delle Alpi, figuriamoci a sud…
Errare è umano, perseverare è diabolico. Andiamolo a dire dove nelle Alpi Lepontine, a ridosso del Parco Veglia Devero, si vuole ampliare la stazione di San Domenico, con il consenso del parco e ovviamente anche dell’amministrazione comunale (Baceno), per realizzare 110 chilometri di piste. Andiamolo a dire nelle Alpi Centrali, dove si vogliono collegare le due stazioni di Colere e Lizzola in Val Seriana, collegamento che prevede il buco di una montagna con la realizzazione di un tapis roulant per trasferire gli sciatori da un settore all’altro: 70 milioni il costo dell’operazione con 50 milioni a carico dei contribuenti. Andiamolo a dire a Cortina dove c’è un progetto da 33 milioni di euro già stanziati sulle vette patrimonio dell’Unesco per collegare il comprensorio sciistico di Cortina alla Ski Area del Civetta. Con l’assessore regionale Caner che afferma: «Tutto in regola. Anche così si tutela la montagna».
Qui non è neppure questione di essere o meno ambientalisti, ma economisti un po’ illuminati: già oggi il clima è cambiato, e le proiezioni future non lasciano spazio ad una ipotesi di inversione di tendenza. Ha quindi senso spendere vagonate di euro pubblici per un “qualcosa” destinato a scomparire, lasciando i relitti di cui sopra? Ma c’è anche un altro aspetto da considerare seriamente, e cioè che, anche volendo cambiare atteggiamento mentale, anche volendo rinunciare ad opere faraoniche pensando ad una diversa modalità di approccio al turismo, la montagna del futuro non potrà garantire la ricchezza che fino ad oggi ha fruttato lo sci di pista. Questo è quello che molti anche ambientalisti non vogliono ammettere, e cioè che le alternative meno o per nulla impattanti non potranno certamente garantire i posti di lavoro e le entrate economiche che lo sci di pista continua ancora oggi a garantire. Il mondo cambia e anche in fretta, non ci si può ancorare alla realtà attuale ma non bisogna neanche illudersi sul futuro. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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