Il “fall guy” la testa di turco nell’intelligence

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di Andrea Vento





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Nell’ambito dell’intelligence, quando le cose vanno male c’è sempre un “fall guy”, termine con il quale ci si riferisce a una persona deliberatamente incolpata per coprire le responsabilità di altri. Quando si procede ad una operazione più o meno coperta generalmente viene prevista fin dalle simulazioni la figura del fall guy. Ma vediamo il profilo del fall guy: egli è innanzitutto persona che incolpata permette di proteggere individui più potenti; spesso è figura di basso profilo e vulnerabile, con una posizione non organica ma precaria nelle agenzie; funge anche da “specchietto delle allodole” permettendo di deviare l’attenzione dei media e della politica dai veri responsabili, proteggendo gli interessi dei vertici dell’agenzia.

Un uso troppo disinvolto di fall guy nell’intelligence delle democrazie occidentali solleva implicazioni etiche ed operative significative. Questa prassi mina la fiducia da parte dei subalterni nelle agenzie, compromette il principio gerarchico della responsabilità, ed in ultima istanza indebolisce l’efficacia delle azioni di intelligence. Un clima di ingiustizia alimenta la sfiducia interna, ma anche una crescente diffidenza dell’opinione pubblica. Si tratta quindi di una tattica controversa, da utilizzare solo in caso di grave crisi o di difesa di interessi nazionali.

Qualcuno potrebbe dire che si tratti del capro espiatorio, ma vigono sottili differenze: il fall guy è una vittima designata in anticipo mentre il capro espiatorio viene scelto all’ultimo minuto con una decisione spontanea, circostanziale e opportunistica; il fall guy è in una posizione intermedia e ad un livello “credibile” per gli osservatori mentre il capro espiatorio è generalmente ad un livello basso dell’organizzazione o persino esterno ad essa; il fall guy può essere consapevole del proprio sacrificio mentre il capro espiatorio non lo è; il fall guy è figura tipica dello spionaggio mentre il capro espiatorio ha un vasto utilizzo anche in altri ambiti politici e religiosi.
Gli esempi di fall guy nella storia degli Stati Uniti sono: il procuratore generale John Mitchell nel 1972 dopo lo scandalo Watergate; il colonnello Oliver North nel 1986 dopo lo scandalo Iran-Contra; il direttore della CIA George Tenet nel 2004 per la gestione non esemplare dell’11 settembre e della guerra contro l’Iraq. Si tratta di soggetti per i quali si è assistito a delle dimissioni, ovviamente per proteggere i livelli massimi dell’amministrazione. I casi più eclatanti dell’Italia repubblicana riguardarono i capi dell’intelligence militare Giovanni De Lorenzo, Vito Miceli, Giuseppe Santovito, che caddero dopo episodi di gestione controversa e disinvolta, ma che si trasformarono in vittime designate e sacrificali rispetto ad un sistema ben più ampio di abusi.

Comunità dell’intelligence come l’MI5 nel Regno Unito e il Mossad in Israele subiscono sistemi di controllo democratico più stringente ed hanno sviluppato una comunicazione più trasparente pur mantenendo la propria efficacia e riservatezza. E qui vien da riflettere sul fatto che l’equilibrio tra riservatezza e trasparenza non sia punto di forza nel nostro Paese. Al di là degli attacchi di parte politica, i fatti recenti, con una girandola di vicende strabilianti (Equalize, squadra Fiore, altri fenomeni di privatizzazione dell’intelligence, uso disinvolto del software israeliano Paragon, le recenti controversie legate ai casi Abedini, Sala, Almasri, ecc.) rischiano di indebolire drammaticamente il comparto della sicurezza ed informazione, in un momento di delicato cambio di paradigma geopolitico. Assistiamo ad una situazione caotica e certo non esemplare agli occhi delle intelligence degli altri Paesi, molto attente al nostro ruolo nel Mediterraneo ed in altri contesti di “guerra economica”. Ma si aprono anche questa volta le scommesse su chi sarà il proverbiale fall guy.


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