Empatia verso le vittime – infosannio

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(Elena Basile – lafionda.org) – È molto difficile comprendere come funzioni l’empatia negli esseri umani. Le teorie psicoanalitiche spiegano che gran parte delle nostre posizioni, apparentemente razionali, trovano la loro radice nell’opaca profondità del nostro inconscio. Banalizzando eccessivamente, si potrebbe affermare che la destra, col suo bisogno di autorità, ordine gerarchico e repressione dei colpevoli, è come espressione del bisogno di reprimere da parte di un padre frustrato; mentre la sinistra, che “vorrebbe supportare” (virgolette necessarie) a priori i deboli nella società, attribuendo al sistema responsabilità forse sproporzionate, sarebbe come una manifestazione del senso di colpa maturato nei confronti della madre. Generalizzazioni che servono a poco. Eppure, non tanto la posizione della destra, tradizionalmente a favore del militarismo patriottico, ma quella dell’elettorato del PD sorprende e inquieta non poco sulla guerra in Ucraina. Le esternazioni di Elly Schlein, che difende ancora l’invio di armi in Ucraina per la pace giusta e afferma di non poter essere mai d’accordo col Presidente Trump, sono di un semplicismo aprioristico stupefacente. Se Trump si dichiara per la pace in Ucraina, bisogna boicottarlo a prescindere perché è Trump. Se Putin afferma che l’Unione Sovietica ha perso 26 milioni di cittadini russi per liberare l’Europa dal nazismo bisogna cancellare una verità storica perché difesa da Putin.  Il ragionamento della leader del PD (e purtroppo di gran parte dell’elettorato piegato dalla propaganda ininterrotta di Mentana) è di una violenza estremista evidente, e dimostra come si sentano di appartenere al mondo del bene come i crociati, e come in nome del bene possano seminare distruzione e abbeverarsi del sangue degli Ucraini.

Contro posizioni del genere a che valgono gli argomenti ragionati e documentati? Vediamone alcuni. Sono anni che i cosiddetti ‘filoputiniani’ cercano di spiegare come questa guerra sia stata decisa dai neoconservatori americani negli anni Novanta, risponda a una strategia illustrata da Brzezinski nel 1997 nel libro La grande scacchiera, ripresa da uno studio della Rand Corporation, Istituto di ricerca del Pentagono, nel 1919, e persegua obiettivi esistenti ai tempi del Primo Ministro britannico Lord Palmerston e della prima guerra di Crimea (1853/56). Questi obiettivi sono riassumibili nell’assedio alla Russia per evitare lo sbocco al mare e la proiezione nel Mediterraneo, che è stata provocata dalla NATO e in parte giustificata dalle ragionevoli preoccupazioni di sicurezza russe: gli anglo-americani hanno violato il principio di ingerenza negli affari interni di un altro Stato realizzando il colpo di Stato di piazza Maidan, sostenendo contro il principio europeo relativo alla protezione delle minoranze linguistiche e regionali, le politiche neonaziste di repressione contro le popolazioni russofone. Questo fatto, a Cuba, a parti inverse, si è tenuto nel 1963 in una crisi internazionale nel corso della quale la postura di Kennedy, basata sulla sicurezza territoriale e sul rifiuto dell’installazione dei missili sovietici a Cuba, è molto simile a quella di Mosca contraria alle basi NATO in Ucraina.

La conquista dei territori ucraini e di quelli dei Paesi NATO è poi smentita da fattori oggettivi (PIL russo, materie prime, superficie, tasso demografico decrescente, esiguità delle truppe impiegate all’inizio dell’operazione speciale, mediazione possibile nel marzo del 2022 quando la Russia non aveva ancora conseguito le sue annessioni).

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E infine la posizione occidentale sul Kossovo smentisce la critica alla difesa russa dell’indipendenza delle regioni russofone.

Si tratta di infiniti argomenti documentati a cui Elly e il suo elettorato rispondono battendo il piedino per terra come i bimbi che fanno i capricci: “mai con Putin l’aggressore, mai con Trump, il rozzo e spregiudicato Presidente”.  Questa sarebbe l’illuminata politica estera dei progressisti europei.

Ancora più sbalorditiva è l’empatia che l’intero establishment nutre per Zelensky. Non conoscono invece i volti del milione di vittime ucraine, tra morti, feriti e mutilati di guerra, dei ragazzi che non possono pagarsi l’esonero militare, presi con la forza dalla strada, dalle università, dalle palestre e inviati al fronte in una guerra suicida, carne da macello per gli interessi del nazionalismo delle regioni dell’Ovest ucraino, ma soprattutto per assecondare gli scopi strategici del blob neoconservatore di Washington. Come si fa a provare solidarietà per un politico che ha coperto la corruzione e che dopo questa guerra avrà un esilio dorato, e non sentire pietà per questi ragazzini che cercano di fuggire e vengono riacciuffati, picchiati e rinviati al fronte? L’animo umano è in fondo non troppo complicato. Basta trasformare la complessità di una guerra, il suo dolore, i suoi lutti e disperazione in una partita di calcio in cui si parteggia fanaticamente per un fronte o per l’altro. E allora rimane solo il burattino ucraino contro il nemico, Putin.

Molti analisti che si considerano freddi e lucidi come pesci lessi ritengono ciarpame sentimentalistico quelle che a me sembrano imprescindibili considerazioni etiche. Facciamoli contenti allora e arriviamo al ragionamento di politica internazionale.

Una classe dirigente all’altezza dei suoi incarichi e devota agli interessi dei popoli europei dovrebbe oggi riconoscere il fallimento delle politiche di entrambe le amministrazioni democratica e repubblicana statunitensi mirate a indebolire la Russia attraverso il buco nero dell’Ucraina. La mediazione con Mosca potrebbe allora essere considerata una priorità. Invece di elemosinare un posto al tavolo con Trump, gli europei potrebbero farsi carico di negoziare la cessazione delle ostilità, la fine  dell’invio di armi da parte di Bruxelles, la rinuncia russa ai territori a Ovest del Dnepr,  la neutralità di Kiev nell’ambito di una architettura di sicurezza OSCE, nella quale vi siano garanzie all’inviolabiltà delle frontiere, l’applicazione degli accordi di Minsk, la graduale cancellazione delle sanzioni accompagnata dai referendum nel Donbas e negli altri territori a Est del Dnepr.

Sarebbe indispensabile prendere lo spunto dalle minacce da parte di Washington di imporre tariffe illegali e un aumento straordinario delle spese per la difesa in ambito NATO, per sostenere una difesa europea fuori dell’alleanza atlantica, in grado di difendere e perseguire interessi europei nel rispetto del multilateralismo e della legalità internazionale.

L’avvicinamento ai BRICS e la ricerca di una mediazione con il Sud del globo al fine di riformare il FMI, la BCE e l’ONU dovrebbe essere l’obiettivo naturale dell’Europa, che è innanzitutto una potenza civile e culturale, e ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.

La cooperazione economica con la Cina ha vantaggi innegabili. Con i Brics l’Europa dovrebbe poter evitare di essere vittima degli abusi unilaterali degli Stati Uniti.

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Nel Mediterraneo l’Europa non può che sostenere, contro Israele e gli Stati Uniti, la legalità internazionale difesa dalla maggioranza dei paesi membri dell’ONU. Una politica mediterranea e mediorientale indipendente dagli Stati Uniti, oltre a essere consona ai principi umanistici e alla difesa dei diritti umani, sarebbe foriera di ritorni geopolitici notevoli. Essa avrebbe come obiettivo la stabilità della mediazione tra sunniti e sciiti, del ritorno della diplomazia internazionale in relazione al conflitto israelo-palestinese e della fine dell’illegalità nella quale sguazza il governo terrorista israeliano, di gran lunga più responsabile delle organizzazioni di liberazione della Palestina occupata, che adottano metodi terroristi.

L’Europa in grado di costruire una politica estera indipendente che includa anche la transizione ecologica e la cooperazione allo sviluppo sostenibile non è ancora visibile all’orizzonte. Essa dovrebbe essere costituita da un movimento popolare transnazionale che difenda l’interesse del 99% del ceto medio impoverito, delle classi lavoratrici, della piccola impresa, degli agricoltori, dell’artigianato, del precariato, dei migranti e degli emarginati. I mai tramontati ideali di libertà e giustizia sociale, e il DNA della nostra modernità potrebbe animare un dibattito aperto che porti alla cancellazione dei trattati di Maastricht e alla rifondazione della costruzione europea.  Si dovrebbe partire dalla politica e non dall’economia. L’Unione politica e federale con politica economica di bilancio e fiscale comune, munita di un meccanismo di redistribuzione della ricchezza nell’ambito del compromesso al massimo comun denominatore tra creditori e debitori, modulato sul funzionamento equilibrato dei parametri di responsabilità e solidarietà, sarebbe nell’interesse sostanziale europeo. Bisognerebbe inoltre abolire il deficit democratico e riformare le istituzioni secondo il principio della separazione dei poteri. Per questa Europa e il suo statuto costituzionale i popoli voterebbero a favore.  Il debito comune permetterebbe investimenti nello Stato sociale, in sanità, istruzione, ricerca, innovazione, trasporti e infrastrutture. Le cooperazioni rafforzate del nucleo duro, paesi fondatori e mediterranei, potrebbero portare a compimento le politiche comuni dell’immigrazione, industriale, spaziale, energetica.

Se realizzassimo questa Europa, non ci sarebbe bisogno del liberalismo autoritario, di censura, della narrativa unica, dei cordoni sanitari contro le destre radicali. La propaganda neofascista non attecchirebbe. La gente voterebbe per un progetto illuminato al servizio dei popoli.



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