Una sentenza del TAR Lazio conferma la demolizione di opere abusive e il ripristino dello stato originario di un immobile, evidenziando l’importanza dei titoli edilizi e delle normative urbanistiche.
Una recente sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) del Lazio ha respinto il ricorso presentato contro un’ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi relativa a un immobile nel centro storico di Roma.
Il caso riguarda il cambio di destinazione d’uso da cantine/depositi a locale commerciale e di somministrazione senza titolo edilizio, oltre ad altre opere eseguite in assenza di autorizzazioni.
Questa decisione solleva questioni fondamentali per il settore edilizio e urbanistico: come si dimostra la legittimità di una destinazione d’uso? Quali sono le responsabilità di proprietari e gestori nella gestione degli immobili? E soprattutto, il recente Decreto Salva Casa avrebbe potuto cambiare l’esito della vicenda?
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Il caso: cambio di destinazione d’uso e abusi edilizi
La vicenda nasce da un sopralluogo effettuato dall’amministrazione comunale in un immobile situato nel centro storico di Roma. L’ispezione, condotta nell’ambito di controlli edilizi, ha portato alla scoperta di interventi eseguiti senza i necessari titoli abilitativi.
Tra le irregolarità riscontrate, l’elemento centrale della contestazione riguarda il cambio di destinazione d’uso del piano interrato, trasformato da cantine e depositi in locale commerciale con attività di somministrazione di alimenti e bevande, senza che vi fosse un titolo edilizio autorizzativo.
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Oltre al cambio di destinazione d’uso, sono stati rilevati altri interventi non autorizzati, tra cui:
- Modifiche strutturali interne, come la tamponatura di una porta che collegava il piano terra alla chiostrina condominiale, intervento ritenuto abusivo perché realizzato senza titolo edilizio, in violazione del DPR 380/2001.
- Installazione di impianti tecnologici nella chiostrina condominiale, con l’aggiunta di tubazioni per l’immissione di aria nel piano interrato e l’installazione di tre macchinari esterni per la climatizzazione. Anche questi lavori sono stati considerati abusivi perché realizzati in assenza di autorizzazione e senza il necessario parere preventivo della Soprintendenza.
- Assenza di licenze commerciali, emersa da verifiche amministrative: non risultavano rilasciate autorizzazioni per attività di commercio o somministrazione di alimenti e bevande all’interno dell’immobile.
A seguito di queste verifiche, il Comune ha emesso una determinazione dirigenziale con cui ha ordinato la demolizione delle opere abusive e il ripristino dello stato originario dell’immobile. Il provvedimento ha imposto ai responsabili, ovvero ai proprietari e ai gestori del locale, di eseguire gli interventi di ripristino entro un termine stabilito, pena l’applicazione di sanzioni e l’eventuale esecuzione d’ufficio a loro spese.
I ricorrenti hanno impugnato l’ordinanza davanti al TAR, sostenendo che:
- La destinazione commerciale preesisteva, poiché l’immobile, secondo la loro tesi, era sempre stato utilizzato per attività economiche.
- Non era necessario un nuovo titolo edilizio, poiché il cambio di destinazione d’uso sarebbe avvenuto in un periodo in cui tale modifica non richiedeva autorizzazioni specifiche.
- L’amministrazione non aveva valutato correttamente la documentazione storica, che secondo i ricorrenti dimostrava la compatibilità della destinazione d’uso.
Con queste argomentazioni, i ricorrenti hanno chiesto l’annullamento del provvedimento comunale, sostenendo che l’ordinanza di demolizione fosse illegittima e basata su una valutazione incompleta della situazione edilizia dell’immobile.
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La decisione del TAR: il rigetto del ricorso
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, con la sentenza del TAR Lazio n. 3423/2025, ha rigettato il ricorso, confermando la validità dell’ordinanza comunale di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi.
La sentenza ha stabilito che gli interventi contestati costituiscono abusi edilizi, in quanto realizzati senza i necessari titoli abilitativi, e che il cambio di destinazione d’uso non può considerarsi legittimo in assenza di una documentazione chiara e comprovante la preesistenza dell’attività commerciale.
Uno degli aspetti chiave della decisione riguarda la prova dello stato legittimo dell’immobile. Il TAR ha ricordato che, in base alla normativa vigente (art. 9-bis del DPR 380/2001), spetta al proprietario o al gestore dimostrare che le modifiche effettuate siano conformi alla normativa urbanistica ed edilizia. In questo caso, i ricorrenti non sono stati in grado di fornire documenti sufficienti a dimostrare che la destinazione commerciale fosse già legittimamente in essere prima dell’intervento contestato.
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Il TAR ha inoltre precisato che:
- La classificazione catastale “C2” (magazzini e depositi) dell’immobile era un elemento che confermava l’assenza di una destinazione commerciale autorizzata. Nonostante alcune variazioni catastali successive, i giudici hanno sottolineato che il catasto ha un valore solo fiscale e non urbanistico, quindi non può costituire una prova sufficiente della legittimità edilizia.
- Le autorizzazioni amministrative pregresse, come licenze commerciali o sanitarie, non sono documenti idonei a dimostrare la conformità urbanistica e l’effettiva regolarità edilizia del cambio di destinazione d’uso.
- L’assenza di un titolo edilizio specifico per il cambio di destinazione d’uso confermava che l’intervento era stato realizzato in maniera abusiva e in contrasto con la normativa vigente.
Infine, il tribunale ha dichiarato inammissibili i motivi aggiunti del ricorso, presentati successivamente dai ricorrenti, in quanto riguardavano atti istruttori privi di immediata efficacia lesiva.
Con questa sentenza, il TAR ha ribadito un principio fondamentale dell’ordinamento urbanistico italiano: qualsiasi intervento edilizio che comporti un cambio di destinazione d’uso deve essere supportato da un titolo abilitativo valido, e in assenza di esso l’amministrazione ha il dovere di intervenire con provvedimenti sanzionatori e ripristinatori.
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Il Decreto Salva Casa avrebbe potuto cambiare l’esito della sentenza?
Nella sentenza, il TAR Lazio fa riferimento all’art. 9-bis, comma 1-bis, del DPR 380/2001, sottolineando che la versione applicabile al caso è quella precedente all’entrata in vigore del Decreto Salva Casa (D.L. 69/2024). Il tribunale chiarisce che la nuova normativa non è applicabile ratione temporis, ovvero per motivi temporali, poiché i fatti contestati sono avvenuti prima della sua approvazione.
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L’articolo 9-bis del DPR 380/2001 stabilisce che lo stato legittimo di un immobile è determinato dai titoli edilizi che ne hanno regolato la costruzione o le successive modifiche. Nel caso in esame, il TAR ha evidenziato come i ricorrenti non siano stati in grado di fornire un titolo edilizio valido per il cambio di destinazione d’uso dell’immobile.
Di conseguenza, anche se il Decreto Salva Casa fosse stato in vigore al momento del giudizio, difficilmente avrebbe potuto modificare l’esito della decisione.
Infatti, il TAR ha ritenuto che la documentazione catastale e amministrativa prodotta dai ricorrenti non fosse sufficiente a dimostrare la legittimità urbanistica dell’immobile. Inoltre, ha ribadito che l’onere della prova dello stato legittimo grava sul proprietario o gestore dell’immobile e che l’assenza di un titolo abilitativo specifico per il cambio di destinazione d’uso confermava l’irregolarità dell’intervento.
Pertanto, il TAR ha confermato la validità dell’ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi, senza considerare la possibilità di applicare eventuali disposizioni più favorevoli introdotte dal Decreto Salva Casa.
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