UNIMORE, LA PROTESTA DEI RICERCATORI PRECARI. “SIAMO UNA RISORSA PER L’ATENEO E VOGLIAMO ESSERE STABILIZZATI”

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24 Feb 2025
ARTeD, flc, ricercatori, ricercatori precari, unimore,

I ricercatori precari dell’Università di Modena e Reggio Emilia lanciano la loro protesta.
Si tratta di oltre 200 lavoratori distribuiti fra tutti i Dipartimenti, prevalentemente concentrati nelle aree tecnologiche e sanitarie, che rischiano di perdere il proprio posto di lavoro o di rimanere impantanati ancora per anni nel limbo della precarietà, senza prospettive di stabilizzazione.
Parliamo di studiosi delle discipline Stem (science, technology, engineering and mathematics), ma anche di linee di ricerca più innovative legate all’intelligenza artificiale, alla ricerca sul cancro, alla guida autonoma, e ancora diritto della privacy, etica dell’intelligenza artificiale e della robotica, linguistica, economia e tante altre.
Ricercatori giovani e ‘non più giovani’ (l’età media nazionale sia attesta sui 37 anni) che lavorano in questo ambito mediamente da oltre 7-8 anni, e che hanno investito enormi risorse in termini di carriera, energie e aspettativa di vita. A causa della scarsa stabilità finanziaria, molti di loro hanno rinunciato a creare una famiglia o avere dei figli, e anche ad ambire ad una casa di proprietà.
A fronte del recente taglio del Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) e della paventata intenzione del Governo a tagliare e precarizzare ulteriormente i lavoratori della ricerca, unitamente al cronico stato di sottofinanziamento delle Università italiane, l’associazione ARTeD (Associazione dei Ricercatori a Tempo Determinato), il sindacato Flc Cgil, ADI, Rete29Aprile e altre sigle hanno lanciato congiuntamente uno stato di mobilitazione permanente negli Atenei italiani per chiedere risposte urgenti per i ricercatori universitari.
Circa 200 ricercatori di Unimore, comprendenti figure quali RTDa/RTDb/RTT (abbreviazioni delle molteplici forme contrattuali cosiddette di pre-ruolo) rappresentano il 22% circa del personale strutturato e il 76% circa dei ricercatori totali, e sono parte dei circa 30.000 precari presenti negli atenei italiani.
“Insieme ad ARTeD Nazionale, Cgil, ADI e alle altre sigle, abbiamo stimato che una percentuale compresa tra l’80 ed il 90% di questi 30.000 precari, non avrà un futuro – spiega Paolo Burgio ricercatore e referente di ARTeD Unimore – Abbiamo cercato di capire quanto questa percentuale drammatica si riflettesse nel nostro Ateneo, ma purtroppo, gli uffici deputati non hanno saputo fornire una risposta. Ad esempio, non è stato possibile anche solo conteggiare quanti di questi posti da ricercatore siano stati banditi su fondi Pnrr (e quindi non legati ad una programmazione assunzionale) e quanti no. I dati non sono più disponibili a causa di una problematica tecnica.”.
“Il dato preoccupante – commenta Claudio Riso segretario Flc Cgil Modena – è che già da oggi c’è gente che perde il lavoro, a botte di 3-400 ricercatori al mese a livello nazionale, che si traduce in qualche decina al mese nel nostro Ateneo. L’effetto peggiore è che verranno ‘drogate’ le statistiche perché il numero di precari sarà in calo. Semplicemente si spera che questi precari si arrendano all’idea di doversene andare…”.
A rischiare maggiormente sono i circa 100 ricercatori a tempo determinato di tipo A (RTDa), mentre per gli RTDb e per gli RTT (Ricercatore Tenure Track, che dal 2022 hanno sostituito gli RTDb) sono previsti – dopo l’ottenimento dell’abilitazione scientifica nazionale (ASN) e valutazione positiva della qualità di didattica e ricerca svolte – percorsi ‘più o meno brevi’ e ‘più o meno automatici’ di assunzione attraverso l’utilizzo di Punti Organico (PO-capacità di spesa/assunzione definita dal MUR) di Ateneo. Per gli RTDa, invece, nessuna garanzia: al termine del contratto, il futuro è un salto nel buio.
“La maggior parte degli RTDa sarà fatta semplicemente fuori, nei prossimi anni – commenta amareggiato Paolo Burgio – Questo perché moltissimi RTDa sono stati banditi su fondi Pnrr o Pon (questi ultimi, “scaduti” a dicembre 2024), e parecchi Atenei non hanno accantonato un numero sufficiente di Punti Organico per garantire loro una continuità e una stabilizzazione a RTDb/RTT/PA. L’Università di Bologna, ad esempio, l’ha parzialmente fatto. Gli Atenei meno lungimiranti ora si trovano in difficoltà perché devono modificare i piani assunzionali definiti negli anni passati, per poter regolarizzare i propri RTDa, col rischio reale di perderli per sempre. E con perderli per sempre intendo che la maggior parte di queste persone dovranno cambiare lavoro, o ricorrere ai sussidi di disoccupazione perché, dopo 3 anni di contratto da RTDa (più eventuali altri 2, a cui però pochissimi hanno la fortuna di accedere), la legge non consente un ulteriore rinnovo, mai più in tutta la loro vita. Dovranno tornare a forme di contratti non strutturati, come gli assegni di ricerca, che peraltro non esistono più dal 31 dicembre 2024, anche se si parla di una loro re-introduzione”.
Allargando lo sguardo alle altre figure precarie della ricerca, i titolari di un assegno di ricerca, gli ‘assegnisti’, sono veri e propri invisibili, privi non solo di prospettive ma anche di tutele. “Queste figure per gli Ateni italiani e per il MUR semplicemente non esistono, non contano – aggiunge Claudio Riso – Gli assegnisti di ricerca sono nati come, una sorta di ‘tampone’, una soluzione temporanea per garantire la continuità della ricerca, ma per loro non esiste un vero percorso di carriera, nonostante la proroga ottenuta negli ultimi due anni. A Unimore sono circa 700, un numero in costante calo, segnale preoccupante di una progressiva scomparsa di questa figura, più che di un’evoluzione del sistema”.
Ad oggi, dopo quasi 3 anni, il Ministero sta finalmente attivando i tanto attesi “Contratti di Ricerca”, grazie anche alle costanti proteste delle varie sigle, e di un esposto a firma Cgil/ADI presso l’Unione Europea. La situazione è in continua evoluzione e ci sono aggiornamenti e notizie diverse ogni giorno, rendendo molto complicato farsi un’idea di come questa forma contrattuale possa venire utilizzata, e se sia più dannosa che altro.
Ma cosa può fare il nostro Ateneo per trattenere questi cervelli?
“Intanto va notato che gli Atenei sono le prime vittime della scellerata politica anti-ricerca del Ministero – spiegano Burgio e Riso – perché la legge non la fanno gli Atenei che possono solo intraprendere misure contingentali. Ad oggi Unimore è già attiva sotto questo aspetto, e noi di ARTeD siamo al lavoro congiuntamente con l’Ateneo perché siamo convinti si possa fare ancora di più”.
“Chiediamo a Unimore – aggiungono Burgio e Riso – di impegnarsi affinché i Dipartimenti destinino quante più risorse possibili alla stabilizzazione degli RTDa meritevoli. Non è accettabile che i fondi Pon e Pnrr siano stati usati per assumere personale precario – essenziale per ricerca e didattica – senza prevedere un percorso di stabilizzazione, almeno per i più meritevoli. Al momento le risorse messe a disposizione dai piani Pon e Pnrr sono state utilizzate per assumere personale precario – ma fondamentale per mandare avanti le attività di ricerca e didattica – senza aver al contempo pensato ad un percorso di stabilizzazione, quantomeno per i più meritevoli”.
Purtroppo, per come stanno le cose oggi, i precari scontano anche il fatto di avere poca rappresentanza in Ateneo, pur essendo il 46% dei ricercatori presenti in Unimore. Per un RTDa non è neppure possibile votare per il Rettore, e su questo punto in particolare, CdA e Senato di Unimore hanno sempre espresso parere contrario per il diritto di voto, ultima volta il 21 febbraio, la scorsa settimana.
Per questo è importante che anche i candidati Rettore di Unimore prendano posizione e dicano cosa intendono fare per loro! Ed è altresì importante che, attraverso il voto, i precari possano avere una rappresentanza nel Rettore, ed in seguito, in Crui.

Modena, 24.2.25

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