Regione, stop al Nucleo di vigilanza ambientale: agli «agenti» niente più armi né gradi militari

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BARI – I dipendenti della Regione non possono ottenere la qualifica di pubblica sicurezza necessaria al rilascio del porto d’armi, perché questa possibilità non è prevista dalla legge. È partendo da questo punto fermo che la Regione si è impegnata con il prefetto di Bari, Francesco Russo, ad abrogare una serie di disposizioni contenute nel regolamento del 2019 in base a cui lo scorso anno il governatore Michele Emiliano aveva chiesto il riconoscimento della qualifica per cinque «agenti», compresa la dirigente Rocca Anna Ettorre. Richiesta che è stata rigettata a ottobre 2024.

È questo il nodo intorno a cui ruota il pasticcio del Nucleo di vigilanza ambientale, la «polizia» della Regione, con tanto di divise e gradi militari illegittimi. Al punto che, dopo gli articoli della «Gazzetta», anche la Corte dei conti ha aperto un fascicolo: il procuratore regionale Carmela De Gennaro vuole verificare se le somme spese negli ultimi due anni per attrezzature, armi e droni (con tanto di consulenze nascoste) possano costituire un danno erariale.

Il caso tornerà stamattina in Quinta commissione per proseguire l’audizione dell’assessore all’Ambiente, Serena Triggiani, audizione rinviata (non senza polemiche) sette giorni fa. In commissione si parla della delibera di giunta regionale che a luglio ha istituito un capitolo di bilancio destinato agli introiti provenienti dalle sanzioni al Codice della strada (in cui ci sono anche le norme relative all’abbandono dei rifiuti), ma le domande dell’opposizione (guidata da Luigi Caroli di Fratelli d’Italia) mirano appunto ad approfondire la legittimità dell’intera operazione. E la richiesta di rinvio dell’audizione da parte dell’assessore ha creato scintille e accuse reciproche: «Non siamo nervosi – ha replicato Caroli – vogliamo solo capire cosa è stato fatto fino a oggi».

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L’assessore Triggiani ha ereditato il problema, creato nella scorsa legislatura. E ha chiarito che fino ad oggi il Nucleo di vigilanza non ha (ancora) emesso sanzioni amministrative in base al Codice della strada, ed ha annunciato la necessità di «rivedere l’assetto» della vigilanza ambientale attraverso un nuovo regolamento. Il Nucleo era stato istituito con una legge regionale del 2015 per accogliere il personale trasferito dalle ex Province in seguito alla soppressione disposta dalla legge Delrio, e in particolare una trentina di agenti delle ex Polizie provinciali. La legge regionale del 2015, come ha rilevato il prefetto Russo, non prevedeva però l’attribuzione di funzioni di polizia, che non sono consentite perché le leggi statali non prevedono che i dipendenti delle Regioni possano essere agenti di pubblica sicurezza. Eppure nel regolamento successivo, emanato nel 2019, ecco spuntare la possibilità per il governatore richiedere la qualifica.

Ricostruendo la questione, il Dipartimento di pubblica sicurezza del Viminale ha espresso «notevoli perplessità sulla legittimità sostanziale» di quanto previsto dal regolamento pugliese, perché non esiste «una base normativa primaria sufficiente a giustificare l’attribuzione della qualifica di pubblica sicurezza al personale (…) anche con riferimento agli aspetti connessi all’armamento degli operatori». E questo, secondo il ministero, vale anche per gli ex agenti delle polizie provinciali: una volta trasferiti alla Regione perdono la qualifica e dunque l’arma.

La Regione ha cominciato a studiare le soluzioni già a novembre, all’indomani del «no» del prefetto di Bari. L’idea passa appunto per la cancellazione di due articoli del regolamento (e quindi dall’eliminazione di armi, gradi, divise e lampeggianti) e con l’istituzione di una sorta di ruolo transitorio, ad esaurimento, sulla base di quanto fatto ad esempio in Liguria. Gli ex agenti di Polizia provinciale potranno svolgere alcune funzioni come ad esempio la vigilanza venatoria, senza armi, ma non potranno nemmeno – salvo casi particolari – svolgere indagini di polizia giudiziaria. Va anche detto però che in anni passati la stessa prefettura di Bari aveva dato interpretazioni differenti in merito alla possiblità di mantenere la qualifica, forse sulla base di un vecchio parere del ministero dell’Interno che si riferiva però a un diverso caso.



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