Premeditazione e incapacità di leggere il conflitto di culture

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di Francesco Da Riva Grechi





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Premeditazione e incapacità di leggere il conflitto di culture – L’atroce delitto di Saman Abbas, la diciottenne di Novellara, in provincia di Reggio Emilia, uccisa dalla sua famiglia, originaria della zona rurale del Punjab in Pakistan, ha dato finora due risposte apparentemente contraddittorie. La prima è la sentenza della Corte d’Assise di Reggio Emilia che ha condannato all’ergastolo i genitori della ragazza e a quattordici anni lo zio, che, escludendo la premeditazione con decine e decine di pagine di argomentazione, ha cercato ad ogni costo di dimostrare di non aver voluto comprendere il reato nella sua dimensione soggettiva, quale fatto doloso, premeditato e intenzionalmente preordinato a dare un segno della capacità della famiglia Abbas di reagire ad un comportamento che in quella cultura non è accettato e che consiste nella ribellione della donne alla prassi dei matrimoni combinati e forzosi. Sorprendentemente, l’illuminata Procura della Repubblica, non ha neanche contestato il reato base per una vicenda del genere che è appunto la “Costrizione o induzione al matrimonio” prevista dall’art. 558-bis del codice penale, a sua volta introdotto nel nostro sistema dalla c.d. legge sul “codice rosso” del 2019. Su questa norma solo la Corte di Cassazione (Cass., Sez. V, sent. 13 maggio 2021) ha dimostrato di avere le idee chiare, riportandosi alla materia dei reati culturalmente motivati che hanno una matrice transnazionale, in questo caso le norme della ‘Convenzione di Istanbul’ sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica adottata dal Consiglio d’Europa l’11 maggio 2011, ed entrata in vigore il 1° agosto 2014. Proprio la vicenda processuale che giustamente la Corte d’assise ha definito indiziario – mediatica obbliga a leggere gli indizi, di una certa evidenza a dire la verità, con una prospettiva aderente al fatto anzichè a teoremi pedagogici e in questa logica non si poteva prescindere dalla collocazione del fatto delittuoso nel contesto del conflitto culturale tra diversi codici di condotta.
La famiglia della ragazza ha agito nella convinzione di compiere il proprio dovere e dunque, sul piano tecnico – giuridico, significa che poteva solo aver pianificato il delitto come oltretutto risulta da un’infinità di elementi indiziari. Si trattava, invero, della “cessione” in matrimonio di una ragazza fin da quando era minorenne, a fronte del c.d. “prezzo della sposa. La ribellione della ragazza, assolutamente inaccettabile secondo la cultura della famiglia, doveva essere punita con la vita, pena rappresaglie violentissime sugli altri componenti del clan nel luogo d’origine degli Abbas nel Punjab pakistano. Questo è stato perfettamente compreso nella seconda delle risposte a questo evento, così doloroso per tutti, il magnifico libro di Gianmarco Menga, “Il delitto di Saman Abbas”, uscito nel 2024. Proprio questo autore ha evidenziato per primo che l’unico motivo per uccidere Saman era la sua opposizione ferma ad un matrimonio combinato/forzato. Saman è stata uccisa dal suo desiderio di libertà e dall’importanza dell’«onore» per la sua famiglia. Racconta Menga in un’intervista che «l’occhio del “grande fratello” era in Pakistan: è alla famiglia in patria che bisogna rendere conto, non all’Italia. Saman usava molto lo smartphone, e i social hanno accorciato le distanze nel mondo».


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