La guerra è in atto da tre anni ma la luce è tornata a entrare dalle finestre e ad accendere i colori pastello delle pareti. Le vocine degli alunni, sempre più numerose, si sentono di nuovo a lezione, nei momenti di gioco e nelle recite con costumi tradizionali. I disegni sui muri sono sempre più grandi e colorati. I piccoli di Bucha stanno imparando di nuovo a stare insieme e a superare il trauma della guerra grazie a psicologi e insegnanti. Quando si entra nell’asilo Arcobaleno della cittadina simbolo degli orrori della guerra sembra quasi dimenticarsi del conflitto russo-ucraino, scoppiato il 24 febbraio 2022. A ricordarlo a gran voce, i rifugi antiaerei obbligatori per le scuole, che sono stati allestiti come classi colorate, dove poter continuare a fare lezione e giocare. Gli alunni dai 2 ai 10 anni sono tornati a scuola il 17 gennaio 2023; dei 326 iscritti prima della guerra ne sono tornati 230. Oggi sono 700. La struttura nera distrutta dai bombardamenti ha lasciato posto a un edificio colorato, che ricorda nelle forme le case delle fiabe. La ricostruzione è stata possibile grazie a Cesvi, organizzazione umanitaria nata a Bergamo 40 anni fa, la prima a entrare a Bucha, subito dopo la scoperta dei cadaveri abbandonati ai bordi delle strade.
“Si è saputo di questo dramma di Bucha tra fine marzo e inizio aprile 2022, c’è stata la scoperta delle devastazioni terrificanti fatte dai russi – racconta la presidente Gloria Zavatta – Ci siamo mossi subito. Nelle situazioni di emergenza si fa un’analisi dei bisogni delle prime necessità e parlando con le autorità era emersa l’esigenza di scuole perché i bambini non potevano più stare insieme, restavano in famiglia ma isolati dai loro coetanei”.
Questi tre anni di conflitto hanno portato alla distruzione di 3600 scuole ucraina con migliaia di bambini che non sono più tornati in presenza a lezione. Un milione e mezzo di minori soffrono di traumi psicologici e rischiano di crescere senza un’adeguata istruzione. Per questo Marzia Lazzari, capo missione in Ucraina per Cesvi da poco tornata dal Paese, pensa alla scuola di Bucha con orgoglio: “L’ho visitata a ottobre. I bambini stanno interagendo sempre di più tra di loro. La scuola è sempre più colorata e nei rifugi antiaerei il grigio dei blocchi di cemento ha lasciato spazio ai disegni. Ho trovato questo senso di rinnovamento continuo, grazie ai disegni dei bambini e agli insegnanti che organizzano attività extracurriculari per poter rendere più bello il tutto”. Bucha sta tornando alla normalità anche se la guerra non è finita, come dimostrano gli edifici distrutti della vicina Irpin e i bombardamenti nell’est del Paese. Lì le scuole sono ancora chiuse ma l’attività didattica, online, non si è mai fermata. “Adesso stiamo lavorando soprattutto nelle regioni di Kharkiv e del Donetsk, dove non si va a scuola da cinque anni – spiega Lazzari – Lavoriamo anche a dieci chilometri dalla linea del fronte dove le scuole continuano a essere chiuse, perché è obbligatorio avere un rifugio antiaereo, nel quale potersi riparare in caso di allarme. E gli allarmi nell’est sono continui”.
I piccoli di Bucha non hanno ritrovato tutti i loro compagni, alcuni sono scappati all’estero, altri nelle regioni che in quel momento sembravano più sicure come Zakrapattya e Lviv. Oggi gli iscritti non hanno meno di 2 anni “perché quando c’è l’allarme e devi scendere nel rifugio è difficile gestire i più piccoli che piangono” spiega la direttrice Natalia Rozmaita. Tre anni di guerra hanno insegnato ai più piccoli “il senso intangibile di stare insieme, la gioia di poter affrontare le situazioni, anche durante gli allarmi, nei bunker, nei rifugi, dove però sono presenti dei giochi, le attività, i dashboard per poter fare lezione” racconta Lazzari. Il ritorno in presenza nelle scuole, dotate di rifugi, aiuta anche le famiglie a tornare a lavorare e riconquistare un po’ di normalità. “La scuola è il luogo dove i bambini possono esprimere attraverso i giochi il loro lato più emotivo e riescono a trovare insieme il modo per affrontare l’incertezza che comunque continua a esistere” evidenzia Lazzari. Tre anni dopo, rispetto all’est, Bucha ha recuperato un po’ di tranquillità ma “continuano ad esserci gli allarmi, gli attacchi, i droni, i missili balistici” racconta la cooperante. Per questo Cesvi continua a dare supporto psicologico sia agli alunni che agli insegnanti. “Vorremmo farlo anche nell’est, dove il problema è invece ancora più forte e importante, perché in questo contesto i bambini sono soprattutto a casa”. In questi tre anni di guerra la scuola è stata il collante della società anche grazie agli insegnanti che hanno cercato di capire chi fosse scappato, chi rimasto, e costruire insieme alle famiglie un percorso educativo, anche online.
La scuola sempre più colorata di Bucha rappresenta la voglia di rinascere, la stessa dimostrata dalla semina dei girasoli, diventati simbolo dell’Ucraina, fioriti anche nella prima estate di conflitto; la stessa che emerge dalle storie personali: “Mi ricorderò sempre di una donna – racconta la presidente Zavatta – aveva perso il figlio di 8 anni sotto i bombardamenti e alla domanda su cosa farà alla fine della guerra ha risposto di essere ‘già in lista per adottare un bambino che ha più o meno l’età di mio figlio e che è rimasto orfano’. Questa è l’essenza della resistenza di un popolo”.
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