Giustizia, è sfida efficienza – Il Quotidiano del Sud

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Sfida efficienza nella giustizia, investimenti per 10,535 mld di euro, l’1,2% della spesa pubblica, ben 5,5 mld assorbiti dal Dipartimento Organizzazione Giudiziaria


L’Italia investe nella giustizia 10,535 miliardi di euro, pari all’1,2% della spesa pubblica complessiva.
Si tratta di un impegno economico significativo che, tuttavia, non si traduce ancora in un’adeguata efficienza del sistema. Il 2023 ha segnato un record storico nelle spese di giustizia, liquidate spesso in ritardo dagli uffici giudiziari e sostenute dall’Erario, superando per la prima volta il miliardo di euro in costi operativi.

Il quadro della spesa

Il bilancio del Ministero della Giustizia fotografa una realtà in continua evoluzione. Dei 10,04 miliardi stanziati per il 2024, con un incremento dello 0,22% rispetto all’anno precedente, quasi la metà (5,5 miliardi) viene assorbita dal Dipartimento dell’Organizzazione giudiziaria, il cuore operativo dei tribunali italiani. Si tratta di una tendenza ricorrente: a eccezione del 2020, i costi per le spese di giustizia sono andati via via aumentando, passando dai 907 milioni del 2018 al miliardo e 34 milioni del 2023.

Conto e carta

difficile da pignorare

 

Nel confronto europeo, l’Italia si posiziona in una fascia intermedia con una spesa pro capite di 112 euro, superiore a Francia (104 euro) e Spagna (98 euro), ma significativamente inferiore a Germania (181 euro) e Lussemburgo, che detiene il record con 281 euro per abitante. L’incidenza sul PIL si attesta allo 0,34%, un valore in linea con gli altri grandi paesi europei.
Le voci

I costi sono indubbiamente vari e riguardano:
• le spese quali costi di viaggio, spese sostenute per lo svolgimento dell’incarico, per le intercettazioni, di custodia, di stampa, postali e telegrafiche, per la demolizione o riduzione di opere abusive o per il compimento o distruzione di opere nel processo civile;
• le indennità corrisposte a custodi, esperti, giudici popolari e magistrati onorari;
• gli onorari di professionisti quali, per esempio, Ctu o difensori per ammissione della parte al patrocinio gratuito;
• altre spese, regolate dal Testo unico in materia di spese di giustizia.

Le due voci più significative, sul piano quantitativo, sono gli onorari da corrispondere agli avvocati per assicurare il diritto di difesa (+13,8%) e le intercettazioni (4,95%). I primi sono in aumento costante, ma il ministero nella Relazione sull’amministrazione della giustizia depositata in Parlamento lo scorso gennaio ha precisato che non può intervenire nella liquidazione di questa spesa, poiché è di competenza dell’autorità giudiziaria e regolata dalla legge. Per quanto riguarda i costi delle intercettazioni, a dispetto delle previsioni, la riforma delle tariffe per i fornitori di apparecchi di ascolto non ha avuto l’impatto previsto.

Le spese variano da 3 euro al giorno per telefoni fissi o mobili fino a 150 euro al giorno per dispositivi Android, includendo audio, video, localizzazione e dati da app di messaggistica. L’infezione con virus informatico (c.d. trojan) e l’installazione ambientale costano 250 euro, pagabili solo in caso di esito positivo. Le microspie su persone o oggetti arrivano a 120 euro al giorno, mentre la sorveglianza fissa costa 70 euro al giorno.
Sono, invece, diminuiti i costi dei magistrati onorari, passati da 108 a 91 milioni.

Le criticità del sistema

Il nodo cruciale non risiede tanto nell’entità della spesa, quanto nella gestione delle risorse umane. Con soli 12,2 magistrati ogni 100mila abitanti, l’Italia si colloca al 21° posto su 27 paesi UE. Il confronto con la Germania è impietoso: il sistema tedesco può contare su una forza lavoro doppia, con 24,7 magistrati per 100mila abitanti. Parallelamente, le spese operative continuano a crescere.
Gli interventi del Pnrr

Per colmare queste lacune, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ha destinato 2,3 miliardi di euro alla modernizzazione del sistema giudiziario. Il piano prevede l’assunzione di 19mila unità tra giovani laureati, diplomati e tecnici, seppur con contratti a tempo determinato. Ad oggi, il monitoraggio della Fondazione Openpolis indica un avanzamento del 94,58% nelle riforme e del 74,55% negli investimenti previsti.

La sfida dei tempi processuali

Il tallone d’Achille resta la durata dei processi civili, che colloca l’Italia al penultimo posto in Europa. I numeri sono eloquenti: servono 540 giorni per un giudizio di primo grado, 753 per il secondo e 1.063 per il terzo. Gli obiettivi del Pnrr sono ambiziosi: ridurre del 40% la durata media dei procedimenti entro giugno 2026 rispetto al 2019, percentuale che sale al 90% per i giudizi pendenti a fine 2022.
Tuttavia, i dati attuali relativi a uno studio condotto dall’Ocpi (Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani dell’Università Cattolica Sacro Cuore) mostrano una riduzione del solo 17%, suggerendo che, mantenendo questo ritmo, si arriverebbe a un calo del 24%, ben lontano dal target prefissato del 40%.

Qualche segnale positivo emerge dalla riduzione dei casi pendenti. Nel 2023 si è infatti registrato un calo del 50% per i Tribunali e del 43,4% per le Corti d’Appello: risultati incoraggianti, considerando che restano ancora due anni per raggiungere quell’obiettivo di riduzione del 90%.
Il sistema giudiziario italiano si trova quindi a un bivio: nonostante un investimento economico sostanzialmente in linea con gli standard europei, la vera sfida risiede nell’ottimizzazione delle risorse e nell’accelerazione dei processi di riforma.
Il Pnrr rappresenta un’opportunità storica per questa trasformazione, ma i primi risultati suggeriscono che il percorso di miglioramento richiederà uno sforzo ulteriore e più incisivo per centrare gli obiettivi prefissati.

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