Dov’è finito l’inverno? Stagioni al rallentatore mettono in crisi il nostro Appennino … di Roberto Nanni – GiornaleSM

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L’inverno, un tempo simbolo di paesaggi imbiancati e sport sulla neve, sta cambiando volto. Negli Appennini e nelle zone montane dell’Emilia-Romagna, le stagioni fredde si accorciano e gli accumuli nevosi sono sempre più ridotti, con ripercussioni rilevanti sia sull’ambiente che sull’economia locale.

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Secondo i dati del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), gennaio 2025 è stato il terzo più mite dal 1800 in Italia, confermando una tendenza preoccupante: temperature sempre più elevate e un livello dello zero termico innaturalmente alto impediscono la formazione e il mantenimento di un manto nevoso stabile sotto i 2000 metri. I dati della Fondazione CIMA fotografano una situazione allarmante: l’equivalente idrico nivale (SWE) al 10 gennaio 2025 si attesta su appena 1,71 miliardi di metri cubi, segnando un deficit del 63% rispetto alla media storica. Questo significa meno neve disponibile per alimentare la portata d’acqua nei fiumi in primavera ma anche un maggior stress idrico nei mesi più caldi.

Ma il problema non è solo quantitativo: l’irregolarità nivometrica è ormai una costante. Alle quote più elevate si registrano accumuli superiori alla media, ma bisogna salire ben oltre i 2000-2200 metri affinché la neve riesca a conservarsi. Nel frattempo, alle quote medio-basse, la fusione precoce e le precipitazioni sempre più spesso sotto forma di pioggia stanno trasformando radicalmente l’ecosistema appenninico con una notevole ripercussione in tutte le stagioni. Le nevicate si fanno più rade, spesso sostituite da piogge intense che, al contrario della neve, non garantiscono un rilascio graduale di acqua meteorica nei mesi successivi e possono aumentare il rischio di fenomeni estremi.

Oltre agli impatti economici e idrici, c’è quindi da sottolineare l’aspetto conservativo che la neve svolge nei confronti del terreno durante l’inverno. Un manto nevoso stabile agisce come un isolante naturale, proteggendo il terreno dall’erosione e prevenendo criticità di tipo idrogeologico come smottamenti, frane e dilavamenti. La mancanza di neve, invece, espone il terreno alle intemperie e alle fluttuazioni di temperatura, aumentando il rischio di instabilità del suolo e di fenomeni erosivi, con potenziali danni per l’ambiente e le infrastrutture locali.

Un’economia invernale aggrappata alle speranze

Le stazioni sciistiche dell’Emilia-Romagna, come il Cimone, Corno alle Scale e Cerreto Laghi, stanno affrontando stagioni sempre più difficili. La mancanza di neve ha ridotto drasticamente le prenotazioni, portando a pesanti perdite economiche per gli operatori del settore. L’innevamento artificiale, pur essendo una soluzione temporanea, comporta costi altissimi e un impatto ambientale significativo, rendendolo insostenibile nel lungo periodo.

A soffrire non sono solo gli impianti sciistici, ma anche le economie locali legate al turismo invernale. Agriturismi, noleggi di attrezzatura e ristoranti di montagna dipendono dalla presenza della dama bianca per attirare visitatori. L’ultima nevicata di metà febbraio, seppur accolta con speranza dagli operatori turistici, è stata insufficiente a compensare il deficit accumulato nei mesi precedenti. Senza un’inversione di tendenza, il rischio è la perdita di posti di lavoro e l’abbandono progressivo di queste aree.

Il modello turistico che cambia assieme al clima

Con le temperature in aumento (+1,5°C negli ultimi 50 anni), il tradizionale modello turistico invernale rischia di diventare insostenibile. Molti imprenditori del settore stanno cercando di reinventarsi, puntando su un’offerta turistica più ampia che includano trekking, escursioni, ciclismo, cultura, enogastronomia e benessere termale. Tuttavia, anche se la transizione verso un modello alternativo potrebbe diventare la nuova leva di un turismo montano più resiliente, d’altra parte, questo concetto richiede investimenti e strategie mirate che nel breve termine non sono certo facili da realizzare.

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Verso un futuro di opportunità o rassegnazione

L’Appennino Emiliano-Romagnolo sta cambiando volto, e con esso deve cambiare anche il modo in cui lo viviamo. Se il turismo invernale vuole sopravvivere, dovrà adattarsi rapidamente. Le comunità locali chiedono soluzioni concrete, ma il tempo stringe. La diversificazione dell’offerta, l’adozione di soluzioni tecnologiche sostenibili per l’innevamento artificiale, politiche concrete per ridurre le emissioni di gas serra e la tutela delle risorse idriche sono gli unici strumenti a disposizione. L’inverno sta scomparendo: la domanda ora è se sapremo trasformare il cambiamento in un’opportunità o se resteremo a guardare mentre la neve continuerà a guadagnare quote sempre più alte. Senza un’azione decisa, il rischio è che la montagna invernale, così come la conoscevamo, diventi solo un ricordo.



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