Comunità energetiche rinnovabili: un nuovo modello di energia condivisa

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Le comunità energetiche rinnovabili (CER) stanno emergendo come una risposta concreta alla transizione ecologica e alla democratizzazione dell’energia. Si tratta di modelli di produzione e consumo collettivo di energia da fonti rinnovabili, che permettono di ridurre i costi, abbattere le emissioni e creare valore sociale sul territorio. Per capire meglio come funzionano e quali vantaggi offrono, ne abbiamo parlato con Luca Varotto, laureato in Scienze Economiche e referente di ènostra, cooperativa che fornisce ai soci energia al 100% rinnovabile con un modello partecipativo, per le Comunità Energetiche Rinnovabili a Padova.

Che cosa sono le comunità energetiche rinnovabili e perché sono importanti?

Le CER sono un modello innovativo di produzione e consumo di energia decentralizzata. Funzionano grazie alla collaborazione tra piccoli produttori e consumatori che si trovano nelle vicinanze di un impianto a fonti rinnovabili (fotovoltaico, eolico, biomasse, idroelettrico). Possono essere costituite da privati cittadini, enti pubblici o aziende che si uniscono in forma associativa o cooperativa per condividere l’energia prodotta.

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Oltre all’aspetto energetico, c’è una forte dimensione sociale: le comunità energetiche rafforzano il senso di appartenenza territoriale e rispondono ai bisogni locali, promuovendo la democrazia energetica. I cittadini non sono più spettatori passivi, ma attori attivi che scelgono quale energia utilizzare e come destinare i ricavi. L’energia diventa un bene comune, con un ritorno economico e sociale per tutti i partecipanti.

Come si crea una comunità energetica?

Il nostro approccio prevede cinque fasi principali:

  1. Mappatura del territorio – Analizziamo il contesto sociale ed energetico per identificare soggetti interessati a condividere obiettivi comuni, come la lotta alla povertà energetica e la riqualificazione degli spazi urbani. Possono essere coinvolti cittadini, associazioni o enti locali.
  2. Analisi tecnica – Individuiamo le superfici su cui installare impianti rinnovabili e stimiamo la produzione energetica, tenendo conto della localizzazione geografica. Studiamo il fabbisogno di energia e i potenziali flussi di consumo e scambio all’interno della CER.
  3. Definizione economica – Calcoliamo la sostenibilità della comunità, valutando se i ricavi della vendita e dello scambio di energia coprono i costi di gestione. Ad esempio, una cooperativa ha costi diversi da un’associazione, quindi il modello organizzativo è fondamentale.
  4. Struttura legale – La comunità deve avere un’identità giuridica per operare in autonomia. Si sceglie la forma più adatta (associazione, cooperativa, consorzio).
  5. Attivazione e gestione – La comunità avvia le attività e utilizza gli incentivi per finanziare progetti locali e redistribuire i benefici tra i membri.

Come funziona lo scambio di energia allinterno di una CER?

Facciamo un esempio pratico: un privato con un impianto fotovoltaico produce energia. Quella che non consuma viene immessa in rete e condivisa con gli altri membri della comunità. Se, nello stesso momento, un altro membro sta consumando energia, viene premiata questa contemporaneità con un incentivo economico, che viene accreditato sul conto della comunità.

L’energia condivisa può quindi tradursi in un risparmio per i partecipanti, ma anche in risorse destinate a progetti sociali sul territorio, come eventi comunitari o interventi per la sostenibilità ambientale.

Quali vantaggi porta una comunità energetica?

Ci sono benefici economici, ambientali e sociali.

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  • Economici: chi ha un impianto fotovoltaico può massimizzare il valore dell’energia prodotta, mentre chi non ce l’ha può accedere a energia rinnovabile e ottenere un incentivo.
  • Ambientali: si riducono le emissioni di CO₂ e si aumenta la produzione di energia pulita.
  • Sociali: si rafforza la partecipazione dei cittadini, che possono decidere come usare i ricavi della comunità per progetti locali.

Ci sono esempi concreti in Veneto?

Sì, diversi. Ad Albignasego, il Comune e alcuni privati hanno avviato una CER dove parte degli incentivi viene destinata a progetti di educazione ambientale e contrasto alla vulnerabilità sociale. A Belluno, più associazioni culturali hanno creato una comunità energetica per autofinanziarsi e coinvolgere attivamente il territorio. A Vicenza, la diocesi ha lanciato una CER in cui i ricavi vengono utilizzati per sostenere persone in difficoltà e favorire l’inserimento lavorativo.

Qual è il futuro delle comunità energetiche?

In Veneto si stanno sviluppando progetti innovativi, come le CER di Area Vasta, che uniscono più piccole comunità sotto un’unica gestione, riducendo i costi e ampliando i benefici. Inoltre, si sta valutando un modello in cui gli incentivi vengano distribuiti solo ai produttori e progetti territoriali, in modo da incentivare nuovi investimenti e aumentare l’impatto sociale delle progettualità di comunità delle CER.

Un altro sviluppo interessante riguarda la creazione di sportelli energia, punti di riferimento fisici dove i cittadini possono ricevere consulenza su risparmio energetico, incentivi e fornitori. L’obiettivo è passare da una logica individuale a una collettiva, facendo massa critica per negoziare in futuro condizioni migliori con i fornitori di energia.

Possiamo parlare di una rivoluzione energetica?

Sì, perché le comunità energetiche non sono solo una soluzione tecnica, ma un cambiamento culturale. Le persone tornano a condividere risorse, a collaborare e a sentirsi parte di qualcosa di più grande. Non si tratta solo di risparmiare in bolletta, ma di costruire un modello sostenibile per il futuro, basato su partecipazione, equità e rispetto per l’ambiente.

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