Anche le donne che hanno patito l’aborto spontaneo dopo la 13esima settimana di gestazione avranno diritto al congedo di maternità. Una nuova legge, che arriva dalla Germania, che di fatto riconosce per la prima volta il dolore – fisico ed emotivo – per la perdita di un figlio in grembo. Dolore che, spesso – purtroppo – viene sottaciuto e sottovalutato.
La nuova legge
La nuova legge tedesca, che dunque tutela questo delicato risvolto della salute femminile, è stata approvata nei giorni scorsi ed entrerà in vigore dal prossimo 1° giugno. Tutto è nato da una proposta legislativa di iniziativa popolare, lanciata dall’attivista Natascha Sagorski, la quale, dopo aver attraversato essa stessa il dramma dell’aborto spontaneo, nel 2023 ha lanciato una petizione, raccogliendo più di 70mila firme. L’iniziativa ha riscosso il plauso della stampa liberal in Germania e anche in altri Paesi, Italia compresa. La legge tedesca è stata infatti accolta come una vittoria per i diritti delle donne. Godendo di un congedo, pertanto, le donne che hanno perso un figlio prima della nascita, potranno ricevere tutti gli aiuti psicologici di cui hanno bisogno, senza essere abbandonate alla solitudine e all’incomprensione.
Ancora ignorato il dolore post aborto procurato
Eppure… non tutto è oro ciò che luccica. In primo luogo, la nuova legge tedesca tutela esclusivamente le donne reduci da un aborto spontaneo. Nessuna menzione per chi, per qualsivoglia ragione, interrompa volontariamente la propria gravidanza. Un modo implicito per riconoscere l’“eticità” dell’aborto volontario, detto anche aborto procurato, che, in maniera arbitraria e ideologica, viene messo al riparo da qualunque discussione, evitando finanche dei semplici contrappesi legislativi, che, alla lunga, ne mostrerebbero la natura dannosa per i diritti delle donne, come mostra una vasta letteratura scientifica, deliberatamente trascurata dai sostenitori dell’aborto a tutti i costi.
Sagramoso: «anche in Italia legge da migliorare»
«In Italia quando una donna mette al mondo un figlio venuto a mancare dopo il 180° giorno di gestazione, ha diritto all’indennità per astensione obbligatoria per i tre mesi successivi alla data effettiva del parto», ricorda Rachele Sagramoso, ostetrica, blogger e scrittrice, intervistata da Pro Vita & Famiglia. «Questo non solo è legittimo, ma dal punto di vista ostetrico potrebbe essere migliorato». Sagramoso si dice quindi «assolutamente d’accordo sul fatto che tutte le donne che perdono il loro bambino a partire da quando quasi tutte hanno già comunicato la gravidanza anche perché magari non si sentono in forma (quindi tradizionalmente a partire dalla 12°-13° settimana) e debbono aver bisogno dell’intervento farmacologico e medico per far nascere il loro piccino venuto a mancare (ecco perché è scorretto definirli “bambini mai nati”), abbiano il diritto di dedicarsi al loro dolore, alla loro famiglia, agli altri figli».
Secondo Sagramoso, inoltre, «far osservare un periodo di congedo di maternità anche in caso di lutto perinatale potrebbe farne comprendere l’importanza. Ovvero potrebbe mutare la considerazione verso il fatto che la gravidanza sia effettivamente fisiologica e che l’interruzione (qualunque interruzione) sia patologica sia dal punto di vista fisico, sia soprattutto dal punto di vista psichico. Far osservare questo periodo restituirebbe la preziosità concreta della persona-embrione/feto per la donna, facendo diventare il concepito una persona per la quale si ha l’ovvio diritto di piangere la scomparsa».
Il limite della legge: prima delle 13 settimane non è vita?
Tornando alla nuova legge tedesca, risulta paradossale che la normativa in questione sia inquadrata nella fattispecie di “congedo di maternità” soltanto a partire dalla 13esima settimana di gestazione. Sulla base di quale presupposto medico-scientifico, verificandosi nei primi tre mesi di gravidanza, la perdita del bambino dovrebbe essere meno dolorosa per la madre e meno meritevole di attenzioni e cure? Forse perché, secondo gli estensori della legge tedesca, la vita umana inizierebbe a partire dalla 13esima settimana gestazionale? Poiché sappiamo, come afferma la scienza, che la vita umana inizia fin dal concepimento, ci ritroviamo di fronte all’ennesimo limite posto convenzionalmente da una norma sulla definizione di vita.
Un limite convenzionale che non dà giustizia alla vita
«Capita, talvolta, che le donne arrivino alla nona o undicesima settimana senza sapere di essere incinte o di esserlo state», spiega sempre Rachele Sagramoso. Il limite imposto dalla legge è «solo di comodità e va purtroppo considerato che spesso le donne che perdono un bambino durante la gravidanza non lo annunciano, non lo dicono quasi a nessuno, soprattutto poiché temono per la loro privacy sbattuta sulla bocca di tutti: la perdita di un figlio è spesso visto come un fallimento, per una donna». Lo stesso limite – in egual modo arbitrato e anti-scientifico – sappiamo purtroppo essere presente anche in altre norme, a partire dalla “nostra” Legge 194.
Riconoscere il lutto con il seppellimento
A questo proposito, rimanendo sulla legislazione italiana, sarebbe auspicabile un affinamento delle norme che già riconoscono la facoltà da parte dei genitori di seppellire i corpi dei propri figli abortiti spontaneamente, attraverso un’opera di vera e corretta informazione e sensibilizzazione nei confronti delle donne, che finora – in questo ambito non è mai avvenuta davvero. Secondo Sagramoso, «concedere alle donne che hanno perso la loro creatura uno sportello di ascolto psicologico e ostetrico, potrebbe mettere in luce, in un secondo momento, il bisogno che anche le donne che hanno interrotto volontariamente la gravidanza, possono averne bisogno, dimostrando che esiste la depressione post-aborto e che l’ideologia abortista la vuole sotterrare per evitare di perdere seguito e accoliti».
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