La Cina intende puntare sulla cosiddetta diplomazia della sicurezza per rafforzare le proprie relazioni con gli altri Paesi, soprattutto quelli in via di sviluppo, e al contempo dare l’impressione di essere una nazione desiderosa di collaborare con loro per contrastare le attività illegali anche oltre i propri confini. È così, accordo dopo accordo, Pechino ha stretto particolari intese bilaterali con molteplici governi coinvolgendo le proprie forze dell’ordine. O meglio: il Dragone le ha messe al servizio di nazioni terze per aiutare queste ultime a consolidare la sicurezza nei loro territorio e garantire, di pari passo, quella dei propri cittadini operativi all’estero. I più maligni sono convinti che dietro ad un simile piano ci sia un chiaro disegno volto ad espandere l’influenza politica, mentre i funzionari cinesi ripetono che tutto rientrerebbe in uno sforzo condiviso con terzi per risolvere un problema (la criminalità, le minacce terroristiche) che interessa all’intero pianeta.
Accordi di polizia: le mosse di Pechino
L’ascesa della Cina come seconda economia mondiale ha guidato gli sforzi di Pechino nello stabilire relazioni più strette con le nazioni nelle quali ha investimenti e attività turistiche significativi. Queste partnership possono aiutare a rafforzare l’immagine del Dragone come partner cooperativo per la sicurezza, dando al presidente cinese Xi Jinping leva e influenza sulla governance locale e globale.
Un esempio? Prendiamo l’intero Sud Est asiatico. Quest’area è particolarmente interessante per la sua crescente integrazione tecnologica e nella connettività internet. La criminalità informatica è dunque proliferata, e con lei sono sorti problemi come le frodi nelle telecomunicazioni. Ebbene, con la diplomazia della sicurezza la Cina non solo vuole progettere i suoi cittadini all’estero, ma estendere anche il suo soft power, dimostrando la sua capacità e responsabilità come leader globale. Grazie all’apporto giocato dalle forze dell’ordine cinesi in collaborazione con quelle thailandesi e birmane, circa 200 cittadini cinesi sono stati salvati dai centri di truffe online presenti in Myanmar.
E ancora, un altro esempio: nel Pacifico sud occidentale un gruppo di ufficiali di collegamento cinesi ha appena concluso l’addestramento tattico di polizia per gli ufficiali locali delle Isole Salomone. “Dato che l’influenza economica della Cina all’estero si sta espandendo in tutto il mondo, è sempre più necessario promuovere gli interessi della Cina all’estero, nonché la sicurezza dei cittadini cinesi all’estero“, ha spiegato al SCMP il professor Li Zhiyong, dell’Università di Pechino.
Tra collaborazione e preoccupazione
La diplomazia di polizia conferisce ai rappresentanti delle forze dell’ordine funzioni diplomatiche. Significa che lavorano per condividere informazioni, risolvere conflitti e promuovere sicurezza e stabilità. Comporta addestramento, pattugliamenti congiunti o esportazioni, oppure la donazione, di tecnologie e attrezzature a paesi economicamente sottosviluppati.
L’addestramento della polizia, come nel caso delle Isole Salomone, avviene piuttosto sotto forma di assistenza estera da parte della Cina, perché è qualcosa di cui le nazioni beneficiarie hanno bisogno. Certo, la diplomazia di polizia cinese è stata in gran parte portata avanti nell’ambito di meccanismi internazionali come l’Interpol, nonché nell’ambito della cooperazione antiterrorismo con gruppi regionali, tra cui la Shanghai Cooperation Organization, ma adesso sta decollando sempre di più attraverso accordi bilaterali.
Nel 2023 gli agenti di polizia cinesi sono stati dispiegati presso le ambasciate di almeno 48 Paesi, dove hanno collaborato e collaborano con le autorità locali preposte all’applicazione della legge per contrastare i crimini che coinvolgono o sono rivolti a cittadini cinesi “per proteggere meglio la sicurezza personale e i legittimi interessi dei cittadini e delle aziende cinesi“, ha spiegato il ministero della Pubblica Sicurezza di Pechino.
Tutto questo rientra in un’iniziativa lanciata dalla Cina nel 2022, la Global Security Initiative, un piano di sicurezza che si basa su principi opposti (accordi bilaterali in un quadro comune) rispetto a quelli alla base della “sicurezza collettiva” e della rete di alleanze degli Stati Uniti.
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