Elly Schlein premier e Pedullà ministro? Se la sinistra governasse sarebbe un grosso guaio – Libero Quotidiano

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Elly Schlein è stata abbastanza chiara nell’illustrare i punti all’ordine del giorno del Consiglio dei ministri convocato d’urgenza per dettare l’indirizzo di governo sul quadro internazionale determinato dall’imprevedibile Donald Trump, che si permette di fare esattamente quello che ha detto in campagna elettorale. La presidenta, come ha sempre voluto farsi chiamare su suggerimento di Laura Boldrini in lotta irriducibile con i participi, in linea con i princìpi dettati da Walter Veltroni ha manifestato nel suo discorso non solo profonda preoccupazione ma anche profonda soddisfazione. Sulle ali dell’entusiasmo stava per chiosare con un «proletari di tutto il mondo unitevi», ma poi si è ricordata che non è proprio proletaria e non ha neppure prole, e non valgono come gioielli Fratoianni e Bonelli.

Cosa fare poi sull’intenzione di Trump di autolicenziarsi da guardiano della libertà europea e di bussare a quattrini per mantenere la Nato? Schlein, dopo aver chiesto un minuto di raccoglimento nel segno di riconoscenza per l’avveramento dello slogan «Yankee go home!», si è avventurata nella sua originale sintassi chiamando i ministri a ponderare se per l’Italia fosse più conveniente una crociana «palingenetica obliterazione dell’io cosciente», o «l’immedesimazione infuturibile».

 

Il ministro della cultura Gaetano Pedullà, che oltre 5 stelle non c’è mai andato, di fronte alle 50 degli Stati Uniti è subito sbiancato, mentre quello della giustizia Giuseppe Conte si detergeva la fronte e il ciuffo con la pochette. Poi è intervenuto nel sottolineare che a lui gli americani non piacciono affatto dal momento in cui decorò il curriculum vitae con un’esperienza universitaria da professore un po’ generosa, e quelli là l’avevano sgamato. Era il periodo dell’alleanza con Salvini, che Conte da quando è vicepremier ha resettato con una serie di «non ricordo» come neanche Toninelli davanti ai giudici del Processo Open Arms a Palermo.

Il paventato ritiro della Nato dalle basi americane è stato ritenuto dal ministro alle infrastrutture e all’edilizia Ilaria Salis (dimessasi da eurodeputata per mettere energie e idee al servizio del suo Paese dopo aver fatto abrogare dal parlamento l’accordo di estradizione con l’Ungheria) come l’occasione storica per dirottare nelle caserme gli occupanti delle case popolari, dotandoli di bombolette spray multicolore per dare spazio libero all’estro artistico e nuova veste sgargiante alle monotone tinte mimetiche. Ristrutturazione a costo zero, come ha evidenziato compiaciuto il ministro del lavoro Maurizio Landini, senza stare troppo a spaccare il capello sul salario minimo. Quanto a Gaza e al progetto di resort, è da respingere senza se e senza ma fino a quando le Coop italiane non saranno ammesse alla gara d’appalto. Tutti d’accordo e via alla votazione.

All’unanimità è stato deciso quindi di dare mandato al giovane Romano Prodi di vergare una supplica al presidente Trump, implorandolo di avere un occhio di riguardo nei confronti dell’Italia, memore del fatto che senza Cristoforo Colombo lui e si suoi familiari avrebbero continuato a coltivare patate in qualche fattoria della Germania. È stato quindi stabilito di portare la quota di Pil per armamenti e sostegno Nato non al 5% come voluto dagli Usa ma al 7,5% come gesto di buona volontà, previo sconto sul gas per alleggerire le bollette. All’unanimità anche l’appoggio del governo rosso-giallo-rosso-verde alla ricostruzione di Gaza secondo il progetto trumpiano. Le ultime parole della presidenta sono state: «E non si dica che il centrosinistra non è compatto e non è coerente». Poi le è apparsa Giorgia Meloni senza cappellino e si è svegliata.

 

 

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