ecco cosa cambia per l’Europa

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Il riavvicinamento tra Russia e Stati Uniti con il segretario del Tesoro americano che evoca partnership economiche e geopolitiche ha tanti risvolti. Uno è sicuramente quello energetico, perché Stati Uniti e Russia sono rispettivamente il primo e secondo Paese al mondo per produzione di idrocarburi. È quindi difficile immaginare che le trattative non includano la questione energetica. Entrambi i Paesi hanno rapporti privilegiati con il Medio Oriente che è l’altra area chiave per la produzione e l’esportazione di petrolio e gas.



Un altro angolo di contatto è l’Artico. Le mire americane su Canada e Groenlandia hanno una contropartita russa; Mosca in questi mesi inaugura nuove navi rompighiaccio a propulsione nucleare. L’Artico è una regione chiave soprattutto dati i tentativi cinesi di diversificare le rotte commerciali verso l’Europa, evitando il Mar Rosso e Suez, passando a Nord.

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Un accordo tra Russia e Stati Uniti che includa gas e petrolio sarebbe reciprocamente vantaggioso soprattutto se si potesse in qualche modo regolare l’offerta. La Russia, che prima della guerra si appoggiava su ingegneria e componentistica europea, potrebbe appoggiarsi sulle aziende di servizi petrolifere e di componentistica americane che in questo campo hanno molto da offrire. Qualsiasi accordo metterebbe i consumatori, Europa in primis, in una posizione negoziale più debole.

Le trattative tra Trump e Putin riguardano in prima battuta l’Ucraina e l’Europa. Da più parti si è però speculato che questo riavvicinamento possa avvenire in ottica anti-cinese. Un accordo con la Russia potrebbe consentire agli Stati Uniti di concentrarsi sul Pacifico e su una potenza economica, la Cina, che vuole espandere la propria sfera di influenza. Questo è quanto emerge proprio in questi giorni con le esercitazioni navali cinesi davanti alle coste australiane.



Trump minaccia dazi contro l’Europa e contro la Cina e nessuno è ancora in grado di dire quale forma prenderà la guerra commerciale e nemmeno quali saranno le contropartite che verranno chieste all’Unione europea.

Intanto in questi giorni i produttori di Cognac francese si appellano all’Eliseo perché si trovi un accordo con la Cina che ha deciso di togliere il liquore dagli scaffali. Il settore transalpino perde 50 milioni di euro al mese dopo essere stato costretto a rinunciare al suo secondo mercato dopo quello americano. È una misura arrivata dopo la decisione dell’Ue di aumentare i dazi contro i veicoli elettrici cinesi.

Il Presidente dell’associazione dei produttori francese parla di un imminente disastro economico e sociale. Per un Paese agricolo come la Francia, con i suoi problemi finanziari e sociali, la questione è seria.

La Cina è leader nelle “tecnologie verdi” dalle auto elettriche alle batterie, passando per i pannelli solari e per quei metalli che oggi gli Stati Uniti chiedono all’Ucraina. Qualsiasi peggioramento delle relazioni commerciali con la Cina rischia di compromettere tutta la strategia green europea. All’Europa per rimettersi in pari servirebbero uno o due decenni.

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Se l’obiettivo dell’America è la Cina non è chiaro quale contropartita possa essere richiesta all’Europa per mantenere aperto il mercato statunitense.

Nelle decisioni di politica energetica europea non ci sono solo elementi economici e valutazioni finanziarie. Si deve introdurre un’altra variabile che è quella della sicurezza delle forniture rispetto a uno scenario geopolitico irriconoscibile rispetto al 2022. L’Ucraina è solo una parte di un cambiamento che include anche il Medio Oriente.

Le opzioni rimaste a Bruxelles non sono molte. L’Europa dovrebbe privilegiare le forniture di idrocarburi vicine in particolare nell’Africa mediterranea con la Russia arrivata in Libia e sviluppare il nucleare senza aspettare quello di “quarta generazione”.

A riguardo delle forniture americane ripetiamo la domanda che ha fatto l’ad di Total a Trump a Davos quando chiedeva al Presidente un impegno a lungo termine sulle forniture anche in caso di rialzi del prezzo della materia prima. Inevitabile in questo caso pensare alle ipotesi circolate durante i mesi più duri della crisi energetica europea quando l’esplosione al rialzo dei prezzi del gas, anche negli Stati Uniti, aveva fatto valutare all’Amministrazione Biden la possibilità di bloccare le esportazioni.

In Europa, sia a livello comunitario che di singoli Paesi, si dovrebbe cominciare a pensare in ottica “autarchica”; esattamente come sembra stiano facendo tutti gli altri.

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