Contratti farlocchi, stipendi da fame e alloggi degradati: stranieri nella morsa della mala

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Due, tre euro all’ora per lavorare sei giorni su sette (e a volte pure la domenica) dalle sei di mattina alle 17. Assunti come florovivaisti o addetti alla manutenzione del verde, in realtà mandati a rimuovere rifiuti rimasti incagliati durante lo smaltimento.
Dalle indagini che la Procura distrettuale antimafia di Campobasso ha appena concluso – avvisando i 47 indagati che hanno 20 giorni di tempo per esperire i mezzi di difesa prima della richiesta di rinvio a giudizio – emerge uno spaccato inquietante di sfruttamento della manodopera straniera.
Le società coinvolte nell’inchiesta – che in connessione con realtà imprenditoriali del Foggiano (una delle quali anche colpita da interdittiva) – si erano organizzate in modo stabile per compiere una serie di reati, secondo la prospettazione dell’accusa risultante dai riscontri di Carabinieri, Noe e Guardia di Finanza: traffico di rifiuti, falsità nei registri aziendali di carico e scarico dei rifiuti, sfruttamento della manodopera, corruzione dei pubblici ufficiali preposti al rilascio di atti amministrativi, turbata libertà degli incanti, emissione o utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, condotte volte nel complesso ad aumentare l’effettivo volume d’affari aziendale, intercettando il flusso di rifiuti prodotti nella provincia di Foggia, con conseguente arricchimento personale. Un sodalizio che, in base a quanto ricostruito dal procuratore Nicola D’Angelo e dal sostituto Vittorio Gallucci, si era strutturato secondo un organigramma ben definito.
Gli extracomunitari reclutati come florovivaisti, e pagati una miseria approfittando del fatto che avevano necessità di un’occupazione per il permesso di soggiorno o per mandare qualche soldo alle loro famiglie, erano adibiti a mansioni pericolose, lavoravano in mezzo a cavi elettrici e pezzi di ferro sparsi a terra. Non avevano periodi di riposo né ferie. Non solo. Venivano fatti alloggiare in strutture degradate e degradanti, sporche, fredde, infestate dai topi e col bagno senza elettricità. Naturalmente, alla minima rimostranza sugli orari infiniti di lavoro e sulle condizioni massacranti in cui erano costretti a operare, venivano minacciati – da alcuni degli indagati – anche facendo riferimento al possesso di una pistola che «funziona molto bene».
Dalla ditta che aveva fornito la manodopera, però, le società venivano pagate secondo le tariffe “apparenti pattuite. La “cresta” è finita in parte all’estero, sul conto di uno degli indagati, e in parte è servita a finanziare aumenti di capitale.
Altro filone dell’inchiesta riguarda la turbativa di bandi pubblici. In un caso, tre compagini – con la mediazione di una delle persone iscritte nel registro degli indagati – si sono accordate per non rispondere a una procedura a evidenza pubblica, facendo andare così il bando deserto e consentendo che il servizio di raccolta e gestione rifiuti venisse prorogato in capo a una di esse che già se ne occupava. In un altro episodio, lo stesso mediatore dopo aver convinto una ditta “vittima” del sodalizio a non partecipare a un appalto e concordato con un correo la sua astensione dall’incanto in cambio di successivi subappalti e collaborazioni, ha permesso l’aggiudicazione a una delle due società che figurano fra gli indagati dalla Dda. Senza concorrenti e con un ribasso minimo.
Sia che fossero debiti commerciali della propria azienda sia che fossero invece debiti per l’acquisto di droga, sono tanti gli episodi ricostruiti dagli investigatori a dimostrazione del clima di intimidazione che nel basso Molise ha preso piede e consistenza. Prestiti di 20mila euro lievitavano a 50mila con gli interessi. Prestiti di più elevata consistenza, anche oltre 200mila euro (magari contratti per avviare un’attività) diventavano un incubo senza fine. Ho ceduto il credito a terzi, ora sono affari tuoi, veditela con loro, questa è gente che non scherza: così, in sintesi, è iniziato quello di un imprenditore della costa. «… là (in provincia di Foggia, ndr) sono estorsioni, non sono debiti». E, ancora, «perché quelli di Foggia lo hanno saputo e l’hanno mandato a chiamare (…) anche perché quelli sono venuti da Napoli.. questi sono di Castello di Cisterna… questi ti sparano con un niente… ma non perché ti devono mettere paura… altro che… altro che lui dice dei Kalashnikov… questi vengono qua e lo ammazzano».
Captate attraverso intercettazioni telefoniche e ambientali, le conversazioni ascoltate dagli inquirenti della Dda sono rivelatrici di un assalto quotidiano all’economia e alla società bassomolisana, portato avanti con azioni sistematiche di intimidazioni, ricatti ed estorsioni che vedono protagonisti esponenti della Società foggiana, della criminalità organizzata dell’alta Puglia ma anche personaggi locali, molisani, con una spiccata propensione a delinquere.
Una situazione da allarme rosso, che va ben oltre gli allarmi sui tentativi di infiltrazione.
ppm



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