All’armi siam trumpisti. L’eco torva che arriva dall’America in Europa

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Se in una nostra democrazia parlamentare un potere emergente facesse un decimo di quello che sta facendo Trump alla Repubblica americana, per una volta grideremmo alla svolta autoritaria senza doverci sentire stoltamente propagandistici


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Trump ha deciso che il ministero della Giustizia, e negli Stati Uniti quel dipartimento dell’esecutivo ha il comando costituzionale sui procuratori e indirizza le loro scelte con un margine forte di arbitrarietà o insindacabilità, deve essergli leale e deve conformarsi al suo potere esecutivo in funzione del mandato popolare ottenuto con il voto. Le nomine da lui fatte alla testa del giudiziario sono conseguenza di questo progetto in via di esecuzione. E si vede che ne esce. Basti dire che il sindaco democratico di New York, Eric Adams, incriminato per corruzione, è passato armi e bagagli nelle file di Trump. Dopodiché sono state fatte cadere le indagini su di lui e quando un procuratore che è stato clerk del compianto Antonin Scalia, il giurista conservatore più illustre degli ultimi decenni, si è dimesso per protesta insieme a molti altri, una valanga di abbandoni, per tutta risposta il ministero della Giustizia ha obiettato che la protesta contro un legittimo comportamento dell’esecutivo non è accettabile, e il procuratore ribelle sarà indagato per questo. 

Trump ha deciso di purgare l’esercito. Purgare nel nostro linguaggio significa scaricare il personale sgradito politicamente con brutalità, tagliare mandati in corso, effettuare sostituzioni che diano garanzie di affidabile lealtà verso il potere che promuove la purga. Il presidente ha nominato al Pentagono e fatto ratificare dal Senato, che deve dare il suo consenso, un suo uomo controverso ma attivissimo nel realizzare i suoi desiderata. Il capo di stato maggiore è stato sostituito con un militare dal curriculum questionabile, con la scusa che ha promosso misure woke di integrazione delle diversità nella vita militare. Anche il capo della Marina è stato licenziato. Moltissimi funzionari e membri del personale civile sono in via di dismissione forzata. L’argomento a difesa di questi atti è sempre lo stesso. Il potere esecutivo è il presidente, personalmente, il suo potere deve riflettere una dimensione unitaria di intervento e decisione, dietro alla quale c’è una lunga storia costituzionale che va avanti da decenni. Nessuno scandalo. Anzi, il Wall Street Journal osserva che questo è il compimento del disegno dei Padri Fondatori della nazione. 

Trump ha deciso di limitare il vero potere del Congresso, il potere della borsa, cioè dell’allocazione delle risorse, e ha decretato di non volere spendere o di volere ridimensionare stanziamenti già decisi per agenzie che sono state chiuse, con insegne rimosse nei palazzi di Washington e altre plateali incursioni in queste authorities che fino a ieri avevano goduto di una relativa autonomia dall’esecutivo sotto la protezione del parlamento. Giustizia, esercito, parlamento: lo sconvolgimento è ammesso e con compiacimento in quanto riforma del deep state, cioè della burocrazia che si inframmette come potere intermediario tra la voce del popolo, il suo campione, e l’applicazione della divisione dei poteri e dello stato di diritto costituzionale, il rule of law.

L’Economist spiega in dettaglio che fino ad ora Trump non è arrivato a rigettare, disobbedendo, sentenze delle corti contrarie ai suoi decreti esecutivi, nel qual caso gli esperti giudicano che si aprirebbe una vera crisi costituzionale, ci è andato e ci va vicino ma senza varcare la linea rossa della sfida. L’America è in attesa, popolo e sistema, della sua prossima mossa, che in parte dipende dal comportamento della Corte Suprema, organismo dotato di forte autonomia teorica con una maggioranza conservatrice solida, promossa tra l’altro dalle tre nomine fatte nel corso del primo mandato di Trump. Il sistema americano è storicamente fatto di precedenti di ogni tipo, e non è difficile disquisire, distinguere, sottilizzare su provvedimenti che nel contesto attuale sembrano indicare una virata di tipo illiberale nella sua stessa struttura di decisione e funzionamento. Il presidenzialismo però è sempre stato sottoposto a garanzie, la prima è il potere del Congresso, la seconda è l’autonomia di coscienza e di comportamento delle magistrature, anche quando sottoposte agli orientamenti del potere esecutivo, la terza è la fedeltà dell’esercito alla Costituzione, la quarta è la libertà di stampa e di parola. 

Da qui, dall’Europa incasinata e floscia, si può partecipare alla generale disquisizione in punta di penna e di vocabolario sul significato di queste mosse di Trump, del piano che le sottende, degli uomini e delle istituzioni di potere che le promuovono, in particolare l’ufficio coordinato da Russell Vought. E lo si può fare con intelligenza, senza isterismi, con souplesse perfino.

Una cosa è certa. Se in una nostra democrazia parlamentare fondata sui partiti, o anche in un sistema semipresidenziale come quello francese, un potere emergente facesse un quinto o un sesto o un decimo di quello che sta facendo Trump alla Repubblica americana, dopo aver cercato di rubare un’elezione presidenziale con la rivolta di Washington del 6 gennaio 2021, per una volta grideremmo al fascismo e alla svolta autoritaria senza doverci sentire stoltamente propagandistici o ideologici.



  • Giuliano Ferrara
    Fondatore
  • “Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.





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